Come volevasi dimostrare: gli investigatori brancolano nel buio. Non sanno che pesci pigliare, o meglio che colpevoli pigliare, e come sempre accade in questi casi corrono ai ripari. Lo scopo è preparare l’opinione pubblica all’ennesimo loro insuccesso, e per giungere a questo affidano improbabili congetture sulla dinamica dei fatti, minimizzando l’accaduto (cosa gravissima), a qualche amica giornalista sperando di far passare l’idea tra la gente che tutto sommato non è successo niente di così preoccupante, perché “si fa presto a dire ‘ndrangheta”, e a lanciare allarmi attentati, mentre ancora è tutto da verificare. Ma i carabinieri dicono questo anche per attenuare l’ennesimo schiaffo ricevuto dalla malavita. Come se per loro contasse, o avesse valore, la “categoria e l’appartenenza del bombarolo”: quindi se non si tratta di ‘ndrangheta, non si può parlare di schiaffo ricevuto.
Dicono i carabinieri guidati dal capitano Passaquieti: la bomba non è opera della ‘ndrangheta, che a Cosenza non esiste, e potrebbe essere opera di cani sciolti. Come se questo, secondo il capitano Passaquieti, “annullasse” la pericolosità della bomba e i suoi eventuali effetti collaterali che per fortuna in questo caso non ci sono stati, ma solo per fortuna, o miracolo se preferite. E poi si continua a dire che a Cosenza la ‘ndrangheta non esiste, perciò dobbiamo stare tranquilli anche se scoppia una bomba in pieno centro e in piena movida, perché è opera di ciotariaddri di quartiere. E quindi meno pericolosi, evidentemente, seguendo il ragionamento dei carabinieri. Mah!
Non contenti di questa di questa assurda, quanto irresponsabile “giustificazione”, i carabinieri aggiungono anche alcuni elementi per minimizzare ancora di più quanto accaduto l’altra sera al Bilotti cafè: fanno scrivere alla giornalista che il proprietario del bar ha avuto, una ventina o più di anni fa, un problema con la giustizia per fatti di droga, e che il suo bar, aperto appena 5 mesi fa, a detta della giornalista che avrebbe ascoltato la gente che abita in via Caloprese, era frequentato da gentaglia. C’è di più: fanno sapere i carabinieri, sempre attraverso la penna della giornalista, che il proprietario del bar potrebbe aver contratto un forte debito, per l’acquisto di droga, e non potendo far fronte all’impegno economico potrebbe essere addirittura lui il responsabile dell’attentato, anche perché il locale risulta assicurato.
Ovvero: il proprietario del bar pressato da qualche pusher avrebbe organizzato, con lo stesso o con altri non si sa, l’attentato al bar, al fine di incassare l’assicurazione e potersi finalmente cacciare i debiti. E per far questo fa piazzare da qualcuno del tritolo, non si sa ancora la quantità, nel suo bar, con il rischio di colpire qualcuno visto l’orario e il luogo dell’esplosione. Cioè non si assicura, nel porre in essere questo atto criminale, che nessuno abbia a patirne qualche conseguenza. E per chiudere il cerchio i carabinieri fanno scrivere alla giornalista di aver ritrovato delle chiavi attaccate alla porta del bar saltato completamente in aria. Lanciando definitivamente il sospetto sul proprietario del bar, con conseguente ridimensionamento dell’allarme bomba e racket a Cosenza.
Ora, potrebbe anche darsi che è andata così, il che però non elimina la gravità del fatto. Se sono ‘ndranghetisti o cani sciolti, se è stato il proprietario oppure no, se c’è di mezzo la droga oppure no, rimane il fatto che qualcuno, su commissione o per racket, se ne va in giro per la città, da tempo, a piazzare bombe ad alto potenziale in pieno centro. Non curandosi di eventuali “danni collaterali”. Magari gli stessi che hanno incendiato le auto dei consiglieri, degli imprenditori, e diversi altri locali a Cosenza. Il dato è: esiste una banda, un locale di ‘ndrangheta, un gruppo di cani sciolti, chiamatelo come vi pare, che resta un problema per la città, checché ne dica la procura, che evidentemente deve continuare a coprire qualcuno. E nello stesso tempo rassicurare, attraverso queste favolette, che la ‘ndrangheta non esiste, i cittadini scossi dall’evento di ieri.
Il minimizzare l’evento da parte dei carabinieri e della procura è il segno evidente della loro scarsa propensione a risolvere “certi casi”, accampando scuse di ogni genere, che è quello abbiamo scritto ieri. Non sanno che fare e allora come sempre accade tirano fuori l’appello a “chi sa parli”. Ma è solo un appello di facciata, perché i carabinieri e la polizia non hanno bisogno di questo per seguire una pista, gli basterebbe attingere all’enorme bacino di confidenti a loro disposizione per arrivare alla soluzione, in men che non si dica, del caso. Così com’è avvenuto ultimamente per il ritrovamento dei tanti arsenali in città. Quello che conta è arrivare agli esecutori materiali per capire la vera matrice dell’attentato e fino a che non saranno chiare le loro identità quelle della procura restano solo scuse per distogliere l’attenzione della pubblica opinione dalla loro incapacità ad affrontare questo genere di reati, per non dire altro.
P.S.: non ho capito la storia del ritrovamento della chiavi nella porta. Quale porta? quella d’ingresso? Ma non è esploso tutto? E poi che significato ha questo ritrovamento, perchè anche io lascio sempre la chiave della porta del bagno nella toppa, anche quando esco.