di Alberto Laise
Bisogna chiudere, in Calabria, una stagione fallimentare che ha visto come protagonista Mario Oliverio. E’ quasi pleonastico elencare le ragioni di un fallimento che non ha nemmeno soluzioni di continuità rispetto a chi lo ha preceduto ed ora, se non si ha il coraggio di cambiare rotta, rischia di ripresentarsi sotto spoglie diverse. E, non si può far finta che non sia così, le responsabilità di questo fallimento sono tutte in capo al Presidente della Regione: il mito dell’uomo solo al comando, la presuntuosa idea dell’autosufficienza politica, ha portato da un lato il centrosinistra calabrese all’implosione, dall’altro ha aperto uno scontro continuo prima con il suo stesso governo (vedi i rapporti con Scura) poi con il nuovo governo in materia sanitaria. Il prezzo, altissimo, è pagato quotidianamente dai cittadini.
Ed allora, se non si vuole consegnare la Regione alla destra, occorre ripensare proprio ad un nuovo centrosinistra. E questo non può che passare dal superamento della figura del Presidente. La sua testarda superficialità ed arroganza nel non voler discutere con i partiti, persino con il suo partito, lascia sul campo macerie. Ha raso al suolo ogni ponte con la sinistra preferendo ascoltare “cattivi consiglieri” che gli imposero di non assegnare l’assessorato al candidato proposto da SEL/Sinistra Italiana, legittimando il ruolo di un mediocre ed insignificante consigliere regionale la cui azione non lascia traccia. Ha “collocato” i suoi uomini, spesso segretari regionali dei partiti che lo hanno appoggiato, all’interno della macchina regionale per ripagarli per la lealtà alla sua figura piuttosto che al partito che li aveva eletti. Questo ha creato un cortocircuito politico che, alla fine, presenta il conto proprio al Presidente.
Ed oggi, dopo le parole chiare in merito alla necessità di un suo superamento dette dalla segreteria nazionale, a cercare di tenerlo a galla sono solo fantomatici “comitati pro Oliverio” svuotati d’ogni rappresentatività e dirigenti oramai usurati e corrosi come Adamo ovvero ascari di corte come Guglielmelli. Ed è, quindi, obbligata la scelta di superare una figura ed un sistema di potere che nulla ha costruito in Calabria e che ha disperso quell’enorme carico di speranza che, al contrario, aveva ereditato dalle urne.
Non so se il superamento di questo sistema possa riaprire una collaborazione tra la sinistra ed il PD, tra le forze sociali ed i i sindacati, so che però, questa sarebbe l’unica strada affinché si possa sperare d’arginare la deriva sovranista e leghista in Calabria. E non facciamoci illusioni rispetto a ciò che avviene al governo nazionale: la Lega è in difficoltà nei numeri parlamentari – anche e soprattutto per la scarsa capacità “istituzionale” di Salvini – ma è tremendamente forte e radicata nel Paese, anche qui in Calabria. Le contestazioni di Soverato fanno ben sperare ma sono poca cosa se non si offre una proposta politica seria e nuova. Quindi occorre responsabilità , occorre superare le divisioni, occorre ricostruire rapporti politici e sociali ora sfilacciati se non recisi.
Occorre individuare una figura che abbia la credibilità ed il “profumo” di nuovo che i cittadini chiedono a gran voce. Ed occorre andare oltre anche nelle liste, semmai si realizzerà una “ricostruzione”: allontanare gli impresentabili, e ne abbiamo tanti, chi ha il puzzo della vicinanza alla criminalità , chi ha la persistente capacità d’essere trasformista ed uomo per tutte le stagioni. Evitare quelle figure che oggi sono di destra, domani di sinistra e dopodomani chissà cosa. Quelle figure che, elette con la lista “Oliverio Presidente”, tanto per intenderci, ora sono collocate con la destra più razzista. Bisogna premiare i territori partendo dalle assemblee locali, dagli amministratori, dai militanti e dai cittadini. E non si ceda alla lusinga delle “primarie”, non si cada nella trappola della legge regionale – altra tragedia a cui Oliverio non ha voluto porre rimedio – che le “propone” come soluzione. Abbiamo visto troppe volte come funzionano, come siano preda facili dei comitati d’affari, come non siano quel meccanismo democratico che tutti speravamo. Ed ancor di più non si accettino perché previste dallo statuto del PD: sarebbe la pietra tombale sulla ricostruzione di un percorso comune.