Calabria. Dove finisce il tesoro della masso-‘ndrangheta? I fallimenti sono la chiave

di Saverio Di Giorno

Non è una questione di sfiducia o un tanto non cambia niente da bar, “pour parler”, ma è un dato che gli arresti dei nomi forti (che siano boss o politici, quando ci sono!), le indagini sui grandi potentati servono veramente a poco. Lo abbiamo visto in questi anni, le poche inchieste che hanno lambito i punti apicali di clan o gruppi corruttivi, non hanno impedito dopo pochi anni di riavere interi pezzi di economia comunque bloccati. Il motivo è che, mentre i nomi cambiano, il tesoro di clan, logge e potentati resta inviolato. E quella è benzina per nuove tangenti, nuovi acquisti. Dunque: dove finisce il tesoro della masso-ndrangheta?

Il trucco sono i fallimenti creati ad arte. Una piccola porta attraverso cui capitali illeciti diventano leciti e viceversa facendo della Calabria la fogna del capitalismo italiano. Una costante che ritroviamo in decine di indagini che siano quelle sui clan fino alla più recente sul cerchio magico di Occhiuto. Una volta decapitati i politici o i professionisti più in vista (e quindi bruciati) aizzando un’indagine, le società e le attività collegate falliscono e i capitali vengono riassorbiti dal sistema. Lo abbiamo visto negli anni con il clan Muto, toccato da decine di indagini, ma che riesce a piazzare soggetti borderline nell’economia della zona, lo vediamo con i vari Patitucci e Porcaro. Gli interlocutori politici tramontano, i capitali no.

Le procedure fallimentari: da Tricarico a Occhiuto, passando per iGreco

Il trucco, si diceva, sono le procedure fallimentari. Su tutte la provincia di Cosenza, è il terreno nel quale meglio si riesce a fallire. Intere società anche dal resto d’Italia scelgono la Calabria e più spesso Cosenza, Paola o Castrovillari per fallire. Può sembrare materia tecnica e noiosa, ma in realtà è il nodo fondamentale per capire come imprenditori furbi, clan di ‘ndrangheta e associazioni di corrotti e corruttori fanno volatilizzare i loro capitali. Imprenditori, clan e corrotti… si trovano d’accordo sui fallimenti E d’altra parte in questi anni ne abbiamo raccontati di diversi. Si pensi alla famigerata storia dell’ex clinica Tricarico, si pensi ai fallimenti delle società di Ferrero er Viperetta, si pensi all’intricata storia del gruppo imprenditoriale iGreco.

A proposito, per inciso, di recente il tribunale di Castrovillari ha condannato Saverio e Cataldo Greco per bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della società Alimentitaliani srl. Secondo la procura di Castrovillari, Saverio Greco ha compiuto operazioni dolose che hanno portato all’aggravamento del dissesto, tra cui la distrazione del contratto di fornitura con Ce. Di. Gros a favore della Fattorie Greco srl, controllata da Cataldo Greco, un danno da oltre 150 milioni di euro. Ma sulla vicenda pende la spada di Damocle della… prescrizione. 

Possiamo riannodare i fili della vicenda di piazza Fera/Bilotti e del bancarottiere Barbieri, fino alla più recente storia della caserma a Cetraro in mano a società fallite, ma anche delle proprietà tra il rendese e il cosentino riconducibili a membri dei clan della cittadina (su tutti Patitucci) che hanno società fallite. Da ultimo anche le inchieste che riguardano Occhiuto, le sue vigne e i contratti hanno di mezzo società fallite.

Già nel 2022, con i dati delle Camere di commercio alla mano registravamo l’anomalia tutta cosentina. Nello stesso articolo riassumevamo i principali protagonisti delle vicende, dai giudici che curano le vicende, ai curatori fallimentari, fino agli avvocati e i magistrati trovando alcune regolarità. Gli stessi professionisti, a volte in vista nella politica e nelle obbedienze locale e gli stessi uffici (Qui l’articolo https://www.iacchite.blog/fallimenti-pilotati-una-questione-tutta-cosentina-di-saverio-di-giorno/ ). Qui però vogliamo riassumere in parole semplici il processo.

Il sistema in poche semplici fasi

Riassumendo per grandi linee funziona così. Prima si crea ad hoc un fallimento drenando soldi e immobili alla società, e poi si manipola la procedura di insolvenza per riprendere di traverso ciò che prima è stato smembrato. In questo modo tutta una serie di soldi – potenzialmente anche di provenienza illecita – viene fatto sparire come per magia o trasformati in asset e immobili legittimi. E così i clan e i proventi delle tangenti, che costituiscono il tesoro della criminalità non vengono mai intaccati.

Prima della crisi ufficiale. Il clan o il gruppo di imprenditori rapaci prende il controllo dell’attività. Prestanomi, o finti aiuti di un’azienda già in difficoltà. O si crea la difficoltà: dalle intimidazioni ed estorsioni vero e propria fino a controlli e indagini, segnalazioni che creano problemi all’attività.

Sottrazioni di fondi. L’azienda comincia a pagare servizi o beni inesistenti. Acquisti e fatture gonfiate o fatte due o tre volte (si veda il caso della Asp calabresi). Ovviamente a società di amici. Si drenano soldi. Non solo: i beni vengono svenduti sottocosto. O cominciano a fioccare consulenze pagate d’oro a professionisti amici, parcelle. A Cosenza abbiamo professionisti delle parcelle d’oro. In alcuni casi i professionisti sono anche in conflitti d’interesse perché sono avvocati, geometri ecc. che fanno perizie ma occupano anche ruoli pubblici negli stessi comuni dove opera l’azienda.

Si crea debito. Il gruppo comincia quindi a creare e gonfiare debito verso creditori “amici”. Questo può essere utile per rivendicare poi una quota dell’attività nel fallimento.

Le scatole cinesi. Per occultare il legame diretto o lo stretto giro tra chi fallisce e riacquista si creano le famose scatole cinesi, ovvero società che a loro volta sono costituite da altre società, spesso anche all’estero e saltano per vari conti, rendendo difficile ricostruire il percorso.

Una volta che la società è solo un guscio vuoto, svuotata di tutto e i capitali sono finiti in mani illecite o sono volati via. Possono succedere due cose il concordato preventivo (controllato) o fallimento e aste. Di solito per le operazioni più grosse si preferisce il primo.

Proposta. L’azienda fa una proposta di concordato. Cioè chiede ai creditori di rimborsare una minima parte dei debiti reali. I creditori fittizi (creati prima) votano a favore costringendo gli altri a seguire (se ce ne sono di reali) che pur di rimanere senza soldi accettano. A quel punto o si liquidano i beni rimanenti, spesso riacquistati da società intestate a prestanome, che quindi sono ripuliti.

Società ad 1 euro. A questo punto avviene la famosa costituzione di società a 1 euro, cioè con capitale minimo. Che nasce nuova e fresca come una rosa libera da debiti precedenti e responsabilità legali. I soldi precedenti sono fluiti via e ritornano in società satellite come mostrate e questa è nuova di zecca. Autoriciclaggio.

La seconda opzione è che il curatore fallimentare si occupa della liquidazione. In questo caso in Calabria il curatore è uomo ben inserito, professionista, spesso anche appartenente a logge locali. Le aste tramite vere e proprie intimidazioni o gonfiando i prezzi vengono scoraggiate. Le si fa andare deserte. Poi man mano il prezzo scende e i beni possono essere acquistati da prestanome a poco e riutilizzati o rivenduti a prezzi giusti e ripuliti.

Che ruolo ha la magistratura, i clan e le logge in tutto questo? La magistratura può essere facilmente aizzata in una terra di fascicoli dormienti, ma questa è un’altra storia che vede protagonisti chiacchieroni e chiacchierati, intercettazioni, logge e compagnia cantante.