Calabria. Le “accuse mondiali” e il paradosso: per don Ernesto Magorno la ‘ndrangheta non esiste

Possiamo indignarci quanto vogliamo, ma nulla – se non un moto collettivo di orgoglio che cancelli per sempre la squallida paranza politica che ci governa – può cambiare l’idea che il “resto del mondo” ha della Calabria: una terra governata dalla mafia. È così che ci vedano gli altri: coppola e lupara. Quanti calabresi in giro per il mondo si sono sentiti appellati in questo modo?

Generalizzare non è mai cosa buona: in Calabria la maggioranza dei cittadini sono persone perbene, oneste, rispettose delle regole e della legge che con la ‘ndrangheta non hanno niente a che a fare, ma va anche detto, senza peli sulla lingua, che in Calabria esiste una forte e compatta componente di ‘ndranghetisti “semplici” e ‘ndranghetisti massoni, che di fatto controlla non solo la “cosa pubblica” ma anche tutto il resto dell’economia che gira in Calabria. Questo nessuno lo può negare. Le cose stanno così: a governare la Calabria una potente lobby massomafiosa che da sempre posiziona i propri sodali nei posti chiave delle istituzioni (Comuni, Regione, questure, tribunali, caserme, prefetture, sanità, e uffici vari), assumendone il totale controllo, e garantendosi l’immunità. Tutto è deciso nelle segrete stanze dei fratelli. E nessuno può opporsi alle loro decisioni. I cittadini che vorrebbero ribellarsi a questo spesso e volentieri sono minacciati proprio da componenti appartenenti allo stato. Non è facile opporsi a questo sistema. Spesso la rassegnazione e il conformismo “al sistema” hanno il sopravvento. È lo stato (parallelo) ad opporsi all’emancipazione sociale e culturale di questa nostra bellissima terra.

Del resto basta guardare le candidature proposte dalla falsa politica regionale per capire che non c’è scampo da questo sistema: bancarottieri, corruttori, massomafiosi, puttanieri, ladri di stato, opportunisti, parassiti sociali, prenditori senza scrupoli, e distruttori della cosa pubblica. Personaggi, che va detto, più di qualcuno vota. Non arrivano in Parlamento per virtù dello spirito santo. Il legame clientelare tra il politico e l’elettore è un dato istituzionalizzato da noi. Fa parte della “cultura pubblica” accriccarsi ad un politico per vedersi riconosciuti i propri diritti. E poi si sa: la povertà e il bisogno sono da sempre funzionali al potere. Per questo la gente continua a votarli. Visto che non esiste una stato in Calbria, l’unico modo per risolvere i propri problemi è il deputato amico (degli amici). Deputato che una volta seduto col culo sulla poltrona farà quello che ha sempre fatto: una beata mi**hia. Per dirla alla Cetto. Il calabrese onesto non ha alternativa a tutto questo, se non l’astensionismo.

Tutto ciò avviene, ovviamente, nel silenzio totale delle procure, a cominciare da quella di Catanzaro impegnata a smantellare pericolose organizzazioni dedite alla truffa alla Totò (vedi operazione “stato teocratico Antartico di San Giorgio”). Certo, approfittarsi dell’ingenuità della gente oltre ad essere un obbrobrio morale, è anche un reato penale che va punito, ma spacciare tale operazione per la soluzione dei problemi della Calabria, a fronte del sistematico saccheggio della cosa pubblica, ci sembra eccessivo. O meglio un alibi per coprire il mancato coraggio ad affrontare i massomafiosi.

E se a questo ci aggiungiamo anche le dichiarazioni di certi politici, come quelle espresse da don Ernesto Magorno che afferma che in Calabria la ‘ndrangheta non esiste, voi capite che difendersi da certe “accuse mondiali” diventa difficile. Sentire pronunciare queste parole da un senatore delle Repubblica che non ha mai chiarito il perché si trovasse nell’auto del braccio destro del boss Muto (intercettato dal Ros) a decantare i tanti favori fatti al boss, è la rappresentazione plastica di quanto fino adesso sostenuto. Se a difendere la dignità e l’onorabilità della stragrande maggioranza dei calabresi sono personaggi ambigui come don Magorno, è chiaro che il giudizio che il resto del mondo ha di noi fa fatica a cambiare, e la colpa non può essere ascritta ai calabresi (almeno alla stragrande maggioranza) se qualcuno ha deciso che per pubblicizzare il “centro trasfusione bisogna affidarsi all’immagine di Dracula”.