Piercamillo Davigo è stato condannato a 1 anno e tre mesi e 20mila euro di risarcimento. Lo ha stabilito il tribunale di Brescia nel processo per la rivelazione e utilizzazione di segreto sui verbali della Loggia Ungheria resi alla Procura di Milano dall’ex legale esterno di Eni, Piero Amara, nei confronti del pm simbolo di Mani Pulite. All’imputato la corte ha riconosciuto le attenuanti generiche. Il dispositivo di sentenza, le cui motivazioni saranno note tra 30 giorni, è stato letto nell’aula della Corte d’Assise dal presidente della prima sezione penale, Roberto Spanò, al termine di un processo iniziato il 24 maggio 2022. Prima che la camera di Consiglio si riunisse i difensori di Davigo avevano chiesto di assolvere l’ex magistrato. «Chiediamo l’assoluzione con la più ampia formula liberatoria», ha spiegato nella sua arringa il legale Domenico Pulitanò con il collega Francesco Borasi. Come già annunciato in occasione dell’ultima udienza l’ex componente del Csm non era presente in aula. La difesa ha già annunciato che farà appello. I pm avevano chiesto la condanna a un anno e quattro mesi.
Come nasce il caso Amara e la Loggia Ungheria
I fatti legati al processo risalgono al 2019, 2020, quando Davigo rivelò ad alcuni membri del Csm suoi colleghi e anche al deputato del Movimento 5 Stelle, Nicola Morra le dichiarazioni di Piero Amara, ex legale esterno di Eni, che in una serie di verbali parlava dell’esistenza di una loggia massonica segreta chiamata Ungheria. Queste carte finirono nelle mani di Davigo tramite Storari, magistrato milanese che lavorò sul caso Eni-Nigeria. Sono verbali che, in pieno lockdown, il pm milanese gli aveva consegnato per autotutelarsi, a suo dire, di un freno messo alle indagini dai vertici del suo ufficio. Davigo non aprì però alcuna pratica. A ridosso della votazione per escluderlo dal Csm i verbali furono trafugati dal suo studio a Roma e mandati a Repubblica, Fatto Quotidiano e al consigliere Nino Di Matteo. Quest’ultimo ne parò durante una assemblea plenaria del Csm, facendo scoppiare il caso Ungheria.