Non dev’essere stata una decisione facile quella di Antonia Maria Iannicelli, la madre del piccolo Cocò Campolongo, ucciso e bruciato dalla ‘ndrangheta a Cassano Jonio a gennaio del 2014 insieme al nonno e alla sua compagna per una feroce vendetta che non ha risparmiato neanche un bambino di tre anni, potenziale pericoloso testimone.
Antonia ha deciso di raccontare la sua storia a “Cose nostre”, la trasmissione della Rai curata da Emilia Brandi, dal carcere dove si trova tuttora detenuta e sta scontando una pena a dieci anni per spaccio di droga. Oggi le manca solo un anno.
Cassano Jonio e la Piana di Sibari, oggi come ieri, sono una sorta di supermarket della droga. Qui si sono fronteggiati a lungo due clan, quello che fa capo agli Abbruzzese, detto il clan degli zingari e quello che fa capo alla famiglia Forastefano. Gli zingari sono arrivati nella frazione di Lauropoli negli anni ’70, occupando le case popolari di Timpone Rosso e dalla metà degli anni ’90 sono stati protagonisti di una guerra di mafia senza quartiere, che ha insanguinato per anni tutta la zona jonica. La mattanza è finita dopo due maxi operazioni delle procure antimafia, che hanno colpito, a distanza di qualche anno, tra il 2003 e il 2007, entrambi i clan.
Dalla pax mafiosa in poi, molti hanno intravisto la possibilità di realizzare grandi affari con la droga e per raggiungere questi obiettivi hanno utilizzato anche ragazzi e bambini. Il padre di Antonia, Giuseppe Iannicelli, detto Peppe o ‘a Peppa, era legato agli Abbruzzese e spacciava droga per loro conto nel centro storico: all’inizio era un pesce piccolo, entrava ed usciva dal carcere. “Ero troppo piccola – ricorda Antonia – e non capivo: mi dicevano che papà lavorava in quel carcere. Poi mamma mi ha spiegato tutto e ho capito che cosa c’era attorno alla mia famiglia… Un giorno papà mi ha telefonato con un cellulare che aveva “di nascosto” in carcere e mi chiese di recuperare una partita di eroina nella montagna di Cassano, non avevo ancora 15 anni e mi trovai subito in una storia più grande di me… I carabinieri circondarono la zona dove avevo preso la borsa e sequestrarono due chili di eroina. Mi portarono nel carcere minorile di Nisida, vicino Napoli, ma non dissi mai nulla a chi mi interrogava”.
Proprio in quel periodo, a casa Iannicelli, si presenta un ragazzo, Nicola Campolongo, che era stato compagno di giochi di Antonia fino a qualche tempo prima e dice alla madre che ha intenzione di aspettarla e di fidanzarsi con lei. Antonia, nel frattempo, entra in una casa famiglia ma decide di andare via e torna finalmente a casa, dopo tre anni, dal suo Nicola. “Avevo un carattere forte e determinato – ricorda Antonia – ed eravamo riusciti a fare un progetto di vita. Nicola lavorava e faceva il bracciante e quando avevo 17 anni è nata la nostra prima figlia, Desy, seguita un anno e qualche mese dopo dalla seconda, Ilenia. Ma i soldi erano pochi e non ce la facevamo ad andare avanti e così decisi di inserirmi di nuovo nello spaccio della droga. Il fatto che fossi la figlia di Peppe Iannicelli mi agevolava e così io e mio marito rientrammo nel “giro”. Andai anche a trovare papà, che era in carcere a Cassino, e lui mi disse di lasciar stare, che non era cosa mia e che io non ero furba come lui ma non lo ascoltai…”. Nel frattempo, all’inizio del 2011 nasce Nicola, per tutti il piccolo Cocò.
Ma la vita di Antonia e Nicola cambia ancora il 10 giugno 2011 quando i carabinieri bussano forte alla loro porta di casa e trovano le prove dello spaccio di droga: Antonia finisce di nuovo in carcere e il piccolo Cocò deve andare con lei. “Piangeva continuamente, stava male, non mangiava, mi chiedeva continuamente di aprire la finestra…”.
Intanto, nonno Giuseppe è tornato in libertà dopo sette anni di carcere e trova anche un lavoro: addetto alle pulizie nei bagni pubblici di Cassano. Ma non aveva certo messo da parte i suoi contatti con la criminalità e anzi adesso, dopo aver scontato la pena, pretendeva maggiore autonomia dal clan nella gestione delle piazze di spaccio. E’ in questo periodo che ad Antonia vengono concessi gli arresti domiciliari e che Cocò si lega al nonno.“Un giorno – riattacca Antonia – non rispettai i tempi per tornare a casa dopo aver fatto visita a mio marito nel carcere di Catanzaro e i carabinieri mi riportarono in carcere per evasione. Mi chiesero se volessi riportarmi Cocò e a quel punto decisi di affidare i miei figli a mio padre. Era stato lui stesso a chiedermelo dicendomi che era cambiato e che non voleva più tornare in carcere e io gli avevo creduto… che dovevo fare?”.
In realtà Peppe Iannicelli non solo non era cambiato ma insieme a Cosimo Donato e a Faustino Campilongo aveva creato una struttura autonoma e aveva ormai “rotto” con il clan degli zingari, che iniziava a minacciarlo costantemente. Peppe non girava più da solo, si era trovato una compagna marocchina e si portava sempre dietro anche Cocò, quasi come uno “scudo umano”, come scriveranno i media dopo la tragedia.Il racconto, a questo punto, diventa drammatico perché vengono ricostruiti i giorni della scomparsa di Cocò e del suo ritrovamento. Antonia ricorda di aver ascoltato in televisione, al Tg3 Calabria, della denuncia della scomparsa di suo padre e di suo figlio e di avere appreso dalla sorella che, purtroppo, era tutto vero. Ci sono voluti addirittura tre giorni prima che qualcuno si decidesse a chiamare i carabinieri e far trovare l’auto incendiata al cui interno c’erano i resti di Peppe Iannicelli, della sua compagna e del piccolo Cocò.
Antonia dice che suo padre “non se l’aspettava ed era andato tranquillamente a quell’appuntamento perché era stato attirato nella trappola da quei due…”. Ma dice anche che Donato e Campolongo (condannati all’ergastolo nello scorso mese di gennaio) non possono avere agito da soli: “Sono due bestie, li avevo conosciuti tramite mio padre e non hanno avuto pietà nel trascinarlo nella trappola, però sono ancora liberi quelli che veramente hanno sparato e che hanno mandato quei due… La ‘ndrangheta è una cosa brutta e spietata, io non perdonerò mai chi ha fatto questo alla mia famiglia: ho pagato tutto e a caro prezzo ma adesso sono stanca davvero…”.
L’intervista volge al termine e Antonia spiega quello che farà quando sarà fuori dal carcere: “Immagino la mia vita in un’altra città, non a Cassano… Ci tornerò solo per andare a trovare Cocò al cimitero. Voglio vivere onestamente con la mia famiglia e spero di poter trovare la serenità”.