Catanzaro. 50 anni fa la Serie A: “Mammì, Mammì è finita la Serie B”

Era Angelo di nome, poi divenne Angelo di fatto. Un Angelo sceso dal cielo per donare, grazie a gol miracolosi, le due storiche, indimenticabili, vittorie che fecero l’impresa trasformando l’Unione Sportiva Catanzaro, nella “Stella del Sud anni’70”. Quella contro il Bari, il 27 giugno 1971, esattamente 50 anni fa, a Napoli, che valse la Serie A e quella contro la Juventus, il 30 gennaio 1972, al vecchio Militare. 

Fonte: Soccer Illustrated

Angelo Mammì, piccolo di statura (non superava il metro e 68 cm), semi sconosciuto centravanti di provincia era nato a Reggio Calabria, il 17 marzo del 1943 quando ormai il conflitto mondiale per l’Italia aveva preso una brutta piega. Carriera sportiva e agonistica partita nel 1962, dalla Serie D, nel Locri. Quindi, nel 1966, dopo aver giocato con Nocerina e Internapoli, il trasferimento al Lecce, in Serie C fino al 1970, ove collezionò 102 presenze e 25 reti. Poca roba per riciclarsi centrattacco di sfondamento con la dinamite al piede. Acquistato, a modico prezzo, dal presidente catanzarese Nicola Ceravolo, fu assegnato “in dono” al mister Gianni Seghedoni, perché lo trasformasse nella punta di diamante del team dove il catenaccio era il credo assoluto e “primo: non prenderle” era la parola d’ordine. Mammì, calabrese dal carattere chiuso e introverso, fece quel che poté, in una formazione destinata alla tattica del contropiede tanto che di gol risolutivi ne segno nove e pure di buona fattura.

Fu così che al termine della stagione 1970-71 il Catanzaro pur vincendo 17 incontri, pareggiandone 13 e perdendone 8 (record già colto nel ’66-67) si ritrovò – in classifica finale – a pari punti col Bari e l’Atalanta, mentre il Mantova, primo assoluto, acquisì sul campo e anzitempo, la meritata promozione. La Lega Calcio, per assegnare le due restanti promozioni, dispose la disputa di spareggi con un mini-torneo all’italiana. L’Atalanta si aggiudicò la prima gara travolgendo il Bari (2-0) e successivamente i giallorossi a Bologna (1-0). E fu così che per Catanzaro e Bari, “regine del Sud”, la terza ed ultima partita, a Napoli, sul campo neutro del San Paolo si tramutò di colpo nella finalissima.

“I presenti lo videro pulcino Calimero, farsi ancor più piccoletto, accartocciarsi sul pallone, saettare e saltare, come birilli, i giganti della difesa pugliese, fino a riuscire a calibrare un finto e sbilanciato traversone”

Era il 27 giugno del 1971. Cinquemila supporters calabresi si riversarono all’ombra del Vesuvio utilizzando pullman, auto private e persino i vagoni di un intero treno speciale. La rappresentanza barese più folta e numerosa (a dir poco il doppio) orchestrò un tifo infernale lasciando poco spazio all’effervescenza della fantasiosa platea calabrese. Il tema tattico dell’incontro fu subito evidente sin dal fischio d’inizio: il Bari scatenato e proteso all’attacco e il Catanzaro arroccato in difesa, pronto a mordere, come un cobra, in contropiede. Cané, al secolo Faustinho Jarbas, un carioca sulla via della pensione, attaccante di cui, in gioventù, si diceva che a Rio de Janeiro giocasse 4 partite in 2 giorni, era scatenato e guidava gli assalti dei galletti al fortino giallorosso. Più volte parve che i bruzi fossero sul punto di vacillare e cedere agli assalti dei pugliesi. Il canovaccio si protrasse per ottanta, emozionanti e coinvolgenti minuti di gioco, durante i quali nemmeno un maestro del brivido avrebbe saputo somministrare edulcorate pillole di puro thrilling.

Al punto in cui il “sergente di ferro” Gianni Seghedoni principiava a farsi persuaso che difficilmente le cose potessero girare a favore della sua formazione, la Dea Bendata, dall’alto dei cieli, ordinò alla Sfiga, (che al contrario ci vede benissimo) di puntare lo sguardo esplicitamente sul Bari. Fu così che al Catanzaro e a Mammì si prospettò, inattesa, l’occasioncella unica, forse irripetibile, valevole la promozione. All’80’ la saettante, geometrica, triangolazione degli attaccanti Braca – Franzon – Gori consentì all’ala di incunearsi e fuggire a ridosso del limite sinistro dell’area di rigore dei galletti.
Maurizio Gori era “trottolino amoroso”, esile, mingherlino al punto che ogni tanto s’illudeva, e incantava tifosi e avversari, lasciando creder loro di racchiudere in sé le qualità che avevano reso celebre Omar Sivori, il “cabezòn”. I presenti lo videro pulcino Calimero, farsi ancor più piccoletto, accartocciarsi sul pallone, saettare e saltare, come birilli, i giganti della difesa pugliese, fino a riuscire a calibrare un finto e sbilanciato traversone, a metà tra il cross e il tiro in porta. Il pallone, roteante a spicchi bianconeri, attraversò l’area biancorossa pulito, volteggiando in stile aquilone, e il portiere Spalazzi, spintosi in uscita, ingannato dalle vibrazioni, perse lo sprint per agganciarlo o respingerlo. All’ultimo istante la sfera di cuoio, virò diabolica, inclinando la parabola, proprio al di sotto dei guanti dell’estremo difensore barese, dove solitario, dimenticato, snobbato, ma ben appostato, nella selva difensiva, c’era quell’Angelo, dalle ali invisibili, che era Mammì.

I tifosi festeggiarono a lungo cantando sulle note di un celebre motivo musicale sanremese del francese Antoine: “Mammì … Mammì … E’ finita la serie B!”

Ammirammo l’umile figura atletica, elevarsi, volare in alto sotto il cielo del San Paolo, e colpire di testa, a mo’ d’ariete, che incorna a fronte piena e senza pietà il pallone che altrimenti sarebbe finito innocuo oltre la linea bianca di fondo. Non ebbe riguardi Mammì, né per l’incolpevole Spalazzi e tantomeno per il Bari. Frontalmente catapultò nella porta avversaria quella sfera che altrimenti sarebbe rimbalzata, perdendosi, nelle praterie delle occasioni sfumate. L’appuntamento con la Storia s’era presentato. Lui era stato altrettanto puntuale per acciuffare dai capelli la grande, eroica occasione di tutta una vita.
La rete a maglie quadrate barese fu scossa dal fremito all’unisono del boato della folla di fede giallorossa. I supporters e i giocatori pugliesi restarono impietriti, increduli. Tanto gioco, mille occasioni, per poi subire la punizione, condannati ai sensi dell’articolo unico della legge (mai scritta) del contropiede. Le rigide teorie seghedoniane avevano avuto la meglio sul calcio-champagne praticato dal coach Toneatto. Era l’81’ e il Bari furente poteva sperare nei nove minuti residui per ribaltare l’esito. I biancorossi ci provarono e da galletti si travestirono da sparvieri per il restante tempo residuo che pareva infinito. A pochi secondi dalle 19 in punto, di quel caldissimo pomeriggio del 27 giugno 1971, il triplice fischio finale decretò la fine dell’assedio barese. Il Catanzaro (e la Calabria), per la prima volta, dopo quarantadue anni dalla fondazione, storicamente approdavano vittoriosi nell’Olimpo del Soccer italiano.
I tifosi festeggiarono a lungo cantando sulle note di un celebre motivo musicale sanremese del francese Antoine: “Mammì … Mammì … E’ finita la serie B!”