Catanzaro alla deriva per colpa della politica marcia (di Giancarlo Spadanuda)

Egr. Dr. Carchidi,

la Sua coraggiosa testata giornalistica sta producendo inchiesta su Catanzaro e le sue malefatte. Il 23.06.21 è stato pubblicato su “La Nuova Calabria” il mio articolo di cui appresso, da cui si evince che a ridurre la mia città così come la descrivo (culturalmente ed economicamente) è stata certa politica marcia. Se Lei lo ritiene opportuno può pubblicare la presente, anche con la mia firma, ovviamente.

di GIANCARLO SPADANUDA, professore e ingegnere

“A margine del gradevole articolo “Lettera aperta dell’Avv. Vittorio Colosimo” (https://www.lanuovacalabria.it/lettera-aperta-dellavv-vittorio-colosimo-alla-citta-sta-a-noi-anziani-e-giovani-fare-la-nuova-catanzaro) sulla speranza di una “nuova Catanzaro”, riprendo alcune osservazioni da un mio articolo: Nuova emigrazione e coscienza del non-essere. Il silenzio ha ucciso la nostra Calabria” (e quindi anche Catanzaro).

Sorvolo sui luoghi comuni di massomafia, malaffare, ecc… di cui tutti parlano e quasi nessuno (tranne Gratteri) fa niente, nonchè sugli indicatori statistici nazionali che pongono Catanzaro quasi agli ultimi posti. Tant’è vero che in certi convegni, ove sono più numerosi quelli seduti al tavolo della “presidenza” che gli ascoltatori, si parla di tutto lo scibile umano: dal coccodrillo africano, al gatto mammone, a Topolino, evitando, però, solo di affrontare la tragica realtà locale. Alcune Associazioni fanno quello che sanno fare: fiumi e fiumi di parole senza senso, con riferimento ai gloriosi passati catanzaresi che si perdono nella storia, senza idee nuove e proposte operative coraggiose.

Certi cosiddetti “intellettuali” pur di apparire qualche secondo in TV, continuano a presentare libri che nessuno mai leggerà, perché illeggibili. Il rapporto con la realtà “ugly” (brutta, deforme e sgradevole), così come (ingiustamente) è stata definita Catanzaro da un noto giornalista della BBC, è un immobile rapporto di contemplazione che offre unicamente un serena coscienza di non-essere. La vita del catanzarese medio sembra allora non trovare altra via di liberazione se non quella del sesso e del denaro; ma neppure il sesso ha il potere di liberarlo dall’alienazione e dal culto feticistico del denaro; non gli resta altro che affrontare la presenza costante della disperazione nella normale condizione di vita: la domenica a vedere la partita di calcio allo stadio (ora neppure quella!) o dinanzi alla TV-spazzatura.

I giovani perbene non ne possono proprio più: sono saturi, anche se è vero che di tutta l’erba non si può fare un fascio. E se ne vanno; fuggono “dall’inferno calabrese”: è ripresa l’emigrazione, non solo intellettuale, come decine e decine di anni fa. Essi, beffati, non hanno avuto, nemmeno stavolta, la loro nemesi storica.

Perciò ben vengano gli articoli a cui mi riferisco: sono una speranza per questa città. Se è vero che gli uomini non le case fanno la città, è anche vero, reciprocamente, che la città è maestra dell’uomo”.