Catanzaro. Almeno 25 gli appalti pubblici nei quali sono coinvolte le aziende del Gruppo Lobello

Stamattina la Dda di Catanzaro, diretta dal procuratore Gratteri, ha dato seguito a quello che aveva iniziato nel marzo scorso con il blitz “Coccodrillo” ai danni del Gruppo Lobello, attivo dell’edilizia calabrese e così è scattato un maxisequestro di beni per oltre 200 milioni di euro.

Nel corso della conferenza stampa successiva al blitz “Coccodrillo” della Dda di Catanzaro e della Guardia di Finanza, Carmelo Virno, comandante del nucleo di polizia economica, aveva affermato: “È un classico esempio di imprenditore colluso, con piena condivisione degli obiettivi. Il Gruppo Lobello è un gruppo imprenditoriale importante, con otto società e una serie di aziende parallele intestate a prestanome. Cinque società sono state sequestrate perché attraverso queste operavano nel mondo degli appalti pubblici. Con le aziende principali non potevano agire perché colpite da interdittive. Abbiamo sequestrato ruspe, gru, macchine, appartamenti”. E ancora: “Giuseppe Lobello doveva riscuotere le estorsioni della cosca Arena, evitando così che esponenti della cosca si esponessero sul territorio. Gli appalti pubblici sono tanti, almeno 25. L’organizzazione era ben collaudata: c’erano i tre Lobello e poi i parenti, come i cognati, la moglie di uno dei soggetti era a capo di un’azienda, più una serie di professionisti come Vincenzo Pasquino, ai domiciliari, che gestiva i conti correnti del gruppo. Alcuni ragionieri e commercialisti si occupavano di fatture e assegni”.

Il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla aveva poi spiegato che il “Gruppo Lobello” aveva il monopolio assoluto delle forniture di calcestruzzo per grandi opere come il megalotto della statale 106 sulla costa jonica catanzarese e crotonese insieme alle imprese di pertinenza dei Mazzagatti e degli Arena. “Lobello – aveva sottolineato il procuratore aggiunto – aveva rapporti diretti con personalità come Nicolino Grande Aracri e i capi del clan Arena ed era riuscito a creare il cosiddetto “alone” sul territorio, che gli consentiva di essere riconoscibile come imprenditore di riferimento dei clan più importanti della ‘ndrangheta. Aveva dunque un rapporto paritario con le cosche e così facendo distorceva inevitabilmente il meccanismo del mercato, sottomettendo di fatto anche i lavoratori alle sue dipendenze”.