«Imprenditore colluso, appartenente alla ‘ndrangheta non solo intraneo ma pure organizzatore». Con queste parole i giudici del Tribunale di Catanzaro descrivono Antonio Gallo e Umberto Gigliotta. Il “Principino” e “Mister Centomila” il 15 luglio scorso sono stati condannati a 30 anni di carcere al termine del processo di primo grado, nato dall’inchiesta Basso profilo, davanti alla prima sezione penale presieduta da Beatrice Fogari.
Fino a quel momento le loro erano immagini di due giovani imprenditori rampanti capaci di conquistare sempre più ampie fette di mercato. Gallo nel settore dell’antiinfortunistica, Gigliotta nell’immobiliare. Due imperi economici però, secondo gli inquirenti, nati e cresciuti sotto l’ala protettrice della criminalità organizzata locale. Tanto che nei mesi scorsi sono scattati i sigilli.
A ottobre la Dia ha sequestrato beni riconducibili a Gallo per un valore di 15 milioni di euro: 7 imprese con il loro compendio aziendale; quote societarie, 11 beni immobili, 30 beni mobili, 23 rapporti finanziari e infine diversi orologi di lusso e lingotti d’oro. Ad aprile erano finiti sotto chiave beni per 4 milioni di euro appartenuto a Gigliotta: immobili ubicati tra Catanzaro, Borgia, Settingiano, Tiriolo e Ricadi, autovetture anche di lusso, conti correnti e deposito a risparmio.
Il sistema Gallo Antonio Gallo avrebbe fatto da “cerniera” tra il mondo criminale, quello imprenditoriale fino ad arrivare al livello politico istituzionale. I giudici lo definiscono come la «catena di collegamento tra i vari reggenti delle diverse locali del territorio di riferimento, dal catanzarese al crotonese, assicurando non solo la sua disponibilità e messa a disposizione, ma anche fruendo, da tale sua posizione, di indiscussi vantaggi che hanno condotto la sua attività imprenditoriale a una prepotente affermazione sul mercato con tutto quanto ne consegue in termini di accumulo di ricchezza». La sentenza sottolinea alcuni dialoghi in cui lo stesso imprenditore sottolineava “la sua posizione in seno al contesto mafioso e della stima di cui godeva agli occhi di alcuni massimi esponenti dell’organizzazione: Nicolino Grande Aracri in primis e Carmine Arena”. Le dichiarazioni dei pentiti in uno con il materiale intercettivo raccolto dagli investigatori della Dia “restituisce il riflesso di un imprenditore che innervava il tessuto connettivo tra le varie articolazioni dell’associazione a livello provinciale, intrattenendo rapporti affaristici coi reggenti delle locali e divenendo strumento attuativo degli interessi dell’associazione che condivideva e perpetuava”. Un legame che affonderebbe nel tempo. I giudici hanno sottolineato infatti che proprio Gallo “scortava” Sergio Iazzolino (poi ucciso in un agguato nel marzo 2004) proprio per garantirgli l’incolumità. Gallo avrebbe quindi potuto godere di piena autonomia, tanto da essere l’organizzatore del sistema di false fatturazioni. Illeciti, sostengono i giudici, che sono la manifestazione dell’infungibilità del ruolo di coordinamento del Gallo, che giungeva ad impiegare il proprio patrimonio personale per la creazione delle imprese fittiziamente intestate a soggetti risultati essere meri prestanome. Infine, i giudici ritengono non ricevibile la tesi esposta dall’imputato e cioè di essere una vittima della criminalità organizzata. Risulta comprovata per il Tribunale la sua afferenza al contesto ‘ndranghetistico e la compartecipazione agli affari criminali dai quali traeva l’ingente profitto fonte del suo patrimonio.
L’ascesa di Gigliotta Mister Centomila secondo quanto emerso nel processo avrebbe iniziato a gestire i soldi della cosca crotonese dei Trapasso attraverso la sua agenzia immobiliare a Lido. Secondo il pentito Santino Mirarchi, Gigliotta sarebbe riuscito ad accaparrarsi diversi immobili in zona perché aveva amicizie per le aste giudiziarie, giudici e avvocati gli davano dritte per le aste. Da qui in poi sarebbe diventato l’uomo che gestiva e investiva i proventi illeciti del clan. Anche il noto locale Mops sarebbe stato gestito da Gigliotta per conto dei Trapasso. Per gli inquirenti, Gigliotta avrebbe coadiuvato il clan Trapasso anche nel settore dell’usura e nella creazione di un’organizzazione dedita all’emissione di fatture false per operazioni inesistenti. Un business di cui avrebbero beneficiato le cosche di San Leonardo di Cutro e il clan dei Gaglianesi di Catanzaro. Riscontri sono stati rinvenuti anche nelle chat del cellulare sequestrato a Gigliotta.
A Tommaso Trapasso, suo testimone di nozze, scriveva: “Lo sai che per me è un onore essere con voi”. Per i giudici le dichiarazioni dei pentiti si rivelano genuine e attendibili nonché suffragate da plurimi elementi di riscontro come le cambiali rinvenute durante le perquisizioni. Lo stesso Gigliotta temeva di essere coinvolto in indagini della Dda. Sul cellulare di Mister Centomila è stato trovato un video attinente al provvedimento di fermo dell’operazione Jonny che ha svelato gli interessi dei clan sul Cara di Isola. E’ stato possibile rilevare come Gigliotta avesse inserito nel campo trova la parola, agenzia immobiliare. In effetti, alcuni pentiti già all’epoca avevano fatto riferimento all’agenzia di Gigliotta. Per i giudici questa circostanza dimostra il timore dell’imputato attese le attività illecite poste in essere in contesti ‘ndranfgetistici. Secondo quanto si legge nelle motivazioni, Gigliotta sarebbe stato il soggetto a capo di un settore di attività del sodalizio e cioè quello della falsa fatturazione, cui il Gigliotta era freneticamente dedito. Un’attività destinata a foraggiare il crimine associato.