Vi stiamo raccontando la storia di un “buco economico” da 100 milioni di euro, creato ad arte in pochi anni dalla classe dirigente catanzarese alla Fondazione Campanella, un carrozzone infinito che è servito solo ed esclusivamente ad alimentare i serbatoi elettorali dei politici della città capoluogo della Calabria. Un pozzo senza fondo (http://www.iacchite.blog/catanzaro-fondazione-campanella-come-si-crea-un-buco-economico-per-rastrellare-migliaia-di-voti/).
Nell’elenco dei colpevoli non si può trascurare la politica, che è stata un timoniere strabico: ha scelto manager fedeli e accelerato l’avvicinamento al precipizio. La storia della Campanella è legata al fedelissimo “amico” di Claudio Parente, il dg Antonio Belcastro, quello che al giornalista che chiedeva quale fosse l’attività di ricerca del centro, riuscì a rispondere che: “la ricerca si faceva perché abbiamo visto i topini e, a me, tra l’altro, dispiace”.
Un manager per tutte le stagioni. Infatti è il direttore generale della Mater Domini. Perfettamente bipartisan pure Anselmo Torchia: presidente della Fondazione ai tempi del servizio di Report, lo era ancora qualche mese dopo, quando le telecamere de La 7 lo immortalarono mentre teneva un incontro elettorale al quale partecipavano molti dipendenti della Fondazione Campanella, molti “suoi” dipendenti. Quasi tutti con un contratto appeso ai chiari di luna elettorali. Torchia, però, non aveva deciso di scendere in campo con il centrosinistra che lo aveva nominato, ma con l’UdC. Se si passa dalla politica è più facile governare il futuro della ricerca oncologica in Calabria.
Lo ha fatto pure un altro dei direttori generali designati negli ultimi anni: Sinibaldo Esposito, uomo di fiducia del Senatore Piero Aiello, ce ne sarebbe abbastanza per dimostrare che il sodalizio sanità-partiti non funziona.
Eppure si va avanti a suon di assunzioni senza concorso e promesse di inquadramento nei ranghi del servizio pubblico. Assunzioni in cambio di voti consensi alle elezioni Regionali e alle Amministrative del Comune di Catanzaro. Il solito ritornello: è stonato, ma produce consenso. E pure qualche atto anomalo.
Uno è particolarmente fuori dai canoni: la Fondazione ha lavorato anche se era priva di autorizzazione all’esercizio e all’accreditamento. Un fatto che emerge da una delibera, la numero 1235 dell’11 agosto 2009 dell’Asp di Catanzaro; Delibera che riporta il risultato di una visita ispettiva disposta dall’Azienda Sanitaria.
Il risultato è un “parere non favorevole al rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio e all’accreditamento della struttura sanitaria privata denominata Fondazione per la ricerca e la cura dei tumori Tommaso Campanella”.
La bocciatura basata su una serie di non conformità formali, non ha evitato, successivamente, il tentativo di conferire l’accreditamento alla Campanella in quanto struttura di “sperimentazione gestionale” o, addirittura, di considerarlo un passaggio «automatico» e un «falso problema» espressione usata in un verbale della commissione paritetica che risale al 14 maggio 2013. Un «falso problema» che però l’Asp di Catanzaro si era posta mandando un gruppo di esperti a ispezionare la struttura.
Per salvare l’idea della Fondazione bisognerebbe anche dimenticare i rilievi contenuti nella relazione Riccio-Serra. Che esprimeva, nel 2009, dubbi “circa le collaborazioni internazionali che l’ente intrattiene con analoghi centri di ricerca e cura di carattere scientifico esteri” .
I due prefetti che hanno firmato il report sottolineano che i dati trasmessi sono poco significativi: “Un elenco di istituzioni o professionisti con relativi numeri di telefono, senza indicazione alcuna circa le sperimentazioni nazionali e internazionali alle quali partecipa la Fondazione”.
Peraltro si chiude così il paragrafo sulla ricerca: “tutte le informazioni provenienti dalla Direzione della Tommaso Campanella sono apparse alla commissione insufficienti e delusive” . Questo aspetto del problema ci riporta indietro di qualche anno, infatti nel 2004, una delibera di giunta Regionale prevedeva la richiesta, da parte della Fondazione, del riconoscimento come IRCCS (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) entro i successivi tre anni.
Com’è andata a finire? Malissimo, dato che la domanda è stata avanzata con grande ritardo e, in ogni caso, il Ministero l’ha respinta a causa dell’esigua documentazione trasmessa e mai integrata nonostante le richieste arrivate da Roma.
Però intanto questa Fondazione che avrebbe dovuto rivoluzionare la medicina calabrese, ha portato qualche vantaggio all’Università di Catanzaro, che ha riversato nella Campanella 25 reparti senza vedere ridimensionato il proprio finanziamento storico. I fondi concessi all’ateneo dal protocollo, prevedono un’erogazione di risorse basata sul numero dei posti letto e non sulla “produzione”. Questa è, invece il criterio privilegiato dal nuovo protocollo recepito con un decreto del commissario per il Piano di rientro e mai sottoscritto dalle parti, probabilmente perché tagliava gli stanziamenti a favore dell’ateneo. Che, invece, con la proroga del vecchio accordo, sono paradossalmente aumentati. Succede perché i 50 milioni che prima venivano assegnati per 150 posti letto, adesso finiscono nei forzieri dell’accademia anche se i posti sono diventati 111. Condizioni favorevoli, insomma. E lo sono ancor di più se si pensa che i reparti trasferiti nel 2005 sono rimasti alla Campanella – assieme ai costi che si portano dietro per almeno dieci mesi di troppo, anche se una legge regionale diceva il contrario
Eppure la Procura della Repubblica di Catanzaro nell’anno 2015 aveva messo sotto attenzione proprio l’attività della Fondazione Campanella, per capire come si svolgeva il rapporto fra la stessa Fondazione, l’Università Magna Graecia e la politica.
Dall’inziale iscrizione del registro degli indagati di tutto il CdA su una ipotesi di reato di false comunicazione, i magistrati avevano chiesto al Tribunale fallimentare la dichiarazione del fallimento stesso della Fondazione Campanella sul presupposto di una critica situazione finanziaria, quello che poi si dimostrerà negli anni il buco di cento milioni di euro, come ebbe a dire il frastornato commissario Cotticelli.
Quello che doveva essere un Polo oncologico di eccellenza per i calabresi si è trasformato di fatto in un buco contabile, dai risvolti ancora non chiariti, che ha seppellito le speranze di cura e bruciato molti milioni di euro.
Si chiuse con un nulla di fatto l’indagine nei confronti del vertice dell’ex polo oncologico di Catanzaro al centro di un’indagine sulla situazione dei bilanci.
La Procura della Repubblica di Catanzaro nel 2016 chiese l’archiviazione per dieci persone indagate per i reati di false comunicazioni sociali nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della Fondazione Campanella, l’ex polo oncologico di Catanzaro.
L’archiviazione fu chiesta per gli ex presidenti Anselmo Torchia e Paolo Falzea, i componenti del consiglio di amministrazione Manlio De Pasquale, Oscar Tamburrini, Giovanni Mosca, Ferdinando Salvatore Cosco, Elio Scaramuzzino; i revisori dei conti Francesco Muraca, Franco Scarpino e Giovanna Natale.
Eppure in Calabria è da anni che ci si chiede: che fine hanno fatto i milioni di contributi erogati alla Fondazione Campanella?
Sono anni che si cerca di scalfire un muro di gomma che protegge con il placet della politica regionale il disastro della Fondazione Campanella, tanto che ci si chiede – da sempre – quale sia stato l’apporto oggettivo nella cura delle malattie oncologiche…
Come sempre un nulla di fatto. Il muro resta sempre impenetrabile alle domande dei cittadini, ma perfettamente permeabile alle richieste della politica ed alle esigenze della massomafia.
Negli anni si sono avvicendati i Presidenti di Regione (di tutti i colori), sono stati sostituiti i vertici della Fondazione Campanella, ma la musica non è mai cambiata, è sempre rimasto una specie di “peccato originale”, quello che condannava alla morte ancora prima del parto, questo nuovo carrozzone di interesse politico e massomafioso, quello che tutti sapevano e che nessuno diceva per specifico interesse.
In un ragionamento logicamente corretto in apparenza, quello che in realtà è falso, c’è il sofisma della Fondazione Campanella, cioè essere o non essere IRCCS. E’ questo il peccato originale, tanto che nei fatti la Fondazione Campanella nel gestire il polo oncologico dell’azienda Mater Domini aveva saltato tutti i passaggi, quelli previsti dalla Legge 288/2003, che stabilisce limiti e procedure per il riconoscimento da parte del Ministero del titolo di IRCCS.
Nel 2004 nella fretta di concludere l’affare politico, fu Chiaravalloti a cucire su misura il vestito con l’apporto dell’allora Magnifico Rettore Salvatore Venuta, per la nascente Fondazione Campanella, una piattaforma di consenso elettorale e di governo della sanità, senza alcuna preoccupazione dei disastri finanziari, già dietro la porta, tanto alla fine sono sempre i cittadini imbecilli a pagare…I l giocattolo utile alle esigenze diffuse, quello che garantisce il voto e la pax con la massomafia, anche universitaria giusto per capirci!
Eppure la legge è chiara nei suoi termini per il riconoscimento dell’IRCCS: all’articolo 14 dice che il riconoscimento viene effettuata dal Ministero della Salute previa nomina di una o più sottocommissioni di valutazione su richiesta della regione competente per territorio. All’articolo 2, invece, modula la possibilità che gli Ircss possono essere trasformati in Fondazioni: “Sono enti fondatori il ministero della Salute, la Regione ed il Comune in cui l’Istituto da trasformare ha la sede effettiva di attività e, quando siano presenti, i soggetti rappresentativi degli interessi originari. Altri enti pubblici e soggetti privati, che condividano gli scopi della fondazione ed intendano contribuire al loro raggiungimento, possono aderire in qualità di partecipanti, purché in assenza di conflitto di interessi: gli statuti, in conformità al presente decreto legislativo, disciplinano le modalità e le condizioni della loro partecipazione, ivi compreso l’apporto patrimoniale loro richiesto all’atto della adesione e le modalità di rappresentanza nel consiglio di amministrazione”.
Nello Statuto della vergogna era anche stabilito, con una clausola: “che entro tre anni sarebbe dovuta essere riconosciuta come IRCCS”.
Questo non avvenne mai. Anzi lo stesso Anselmo Torchia, presidente del CdA della Fondazione Campanella, ebbe a scoprire di gestire una Fondazione che di fatto non aveva alcuna natura giuridica, era il mese di marzo 2006, quando lo stesso Torchia ebbe a dichiarare: “che il CdA da me presieduto si è insediato solo nel marzo 2006 e che ci siamo resi conto quasi subito che addirittura il precedente consiglio di amministrazione presieduto dall’avv. Raffaele Mirigliani non aveva nemmeno ancora proceduto alla richiesta di riconoscimento della personalità giuridica che, prontamente richiesta alla Prefettura dal sottoscritto, veniva ottenuta nell’aprile del 2006”.
In altre parole a provvedere a riconoscerla come IRCCS è lo stesso Ministero della Salute che aveva inviato una commissione e sonoramente bocciata la Fondazione Campanella! Il muro di gomma rimbalza ancora.