Catanzaro. Gli elenchi dei massoni si comprano in edicola: parola di Sergio Abramo

Catanzaro è un comune “massoneria-free”: è quanto affermava e afferma ancora il sindaco della città, Sergio Abramo detto ormai Sergiun per via delle sue frequenti frequentazioni padane, sulle pagine della Gazzetta del Sud di Catanzaro con un comunicato del 23 febbraio 2021 rimasto “storico”: «… Preso atto delle dichiarazioni di tutti i funzionari e dirigenti in servizio presso questa amministrazione nessuno risulta iscritto ad alcuna loggia massonica o risulta appartenere ad associazioni, riservate o meno, o comunque i cui ambiti possono interferire con lo svolgimento dell’attività di ufficio». Così il sindaco Sergio Abramo ha risposto all’interrogazione scritta che era stata presentata dal consigliere Jonny Corsi. L’esponente dell’opposizione aveva chiesto di conoscere «se all’interno dell’amministrazione municipale di Catanzaro vi siano dirigenti o funzionari che siano associati in forma legittima ad eventuali logge della Massoneria». «Se allo stato – ulteriore quesito – anche in merito alla conoscenza dell’adesione di personale di questa amministrazione ad eventuali logge della massoneria, vi siano dirigenti che in deroga a quanto disposto dall’ANAC, per un criterio di infungibilità non siano stati sottoposti alla rotazione prevista degli incarichi». E ancora: «Se il controllo della trasparenza degli atti che si riconduce alla conoscenza degli aderenti ad eventuali logge della massoneria, sia stato effettuato da questo ente locale anche all’interno delle società controllate o partecipate».

Quindi a distanza di poco più di un mese, il sindaco di Catanzaro rispondendo all’interrogazione certifica che non esiste la massomafia e che il sistema Catanzaro è soltanto un’invenzione ed una nota di colore folkloristico. C’è di più, afferma che «che gli elenchi dei soggetti iscritti in forma legittima alle logge massoniche sono pubblici, e di conseguenza sono facilmente reperibili e consultabili». Se quello che scrive il sindaco Sergio Abramo è vero, allora il Procuratore Gratteri non ha capito niente! Gli sarebbe bastato passare, come consiglia Abramo, alla prima edicola e chiedere la pubblicazione aggiornata degli elenchi di tutti gli appartenenti alle logge della massoneria delle diverse obbedienze in Italia, quindi anche a quanti sono residenti nella città di Catanzaro, massomafia-free…

Siamo ritornati alla certezza che se la massoneria non esiste a Catanzaro, anche la ‘ndrangheta non c’è ed anche su questo il Procuratore Gratteri si è trasformato in un “cacciatore di farfalle”, come amano affermare i tanti che lo denigrano dietro le spalle, quell’esercito di avvocati e colletti bianchi collusi, perché in Calabria sono tutti buoni, bravi e belli e la mafia è quella dei pascoli con coppola e pure ignorante, sempre ammesso che esista, è chiaro…

Insomma è tutto uno scherzo messo in piedi da soggetti come Gratteri solo per un vezzo di visibilità, che però hanno un peso importante sulle casse dello stato, allo stesso modo del costo per il mantenimento della Commissione parlamentare di inchiesta sulle mafie, spese inutili perché quello che si dice e si pensa…non esiste. Ecco che allora gli atti prodotti il 21 dicembre 2017 dalla presidente Bindi sono stati inutili, perché come avviene a Catanzaro, gli elenchi dei componenti delle logge italiane della massoneria li avrebbe potuti anche lei trovare all’edicola, magari quella posta all’angolo di Palazzo San Macuto…

Eppure negli atti citati la Commissione scriveva: «[…] inoltre, la Commissione procede alle indagini anche con i poteri propri della magistratura requirente, attraverso i mezzi di prova e i mezzi di ricerca della prova disciplinati dal codice di procedura penale, in ossequio a quanto previsto dall’articolo 82 della Costituzione. Nel merito, l’esame era diretto ad acquisire elementi conoscitivi sul comportamento e sulle prassi delle “obbedienze” al fine di verificare se, a una parte significativa della massoneria ufficiale o considerata “regolare” risultasse, più da vicino, l’eventuale interesse della mafia nei suoi confronti, e, in caso positivo, quali fossero i rimedi da loro adottati e quelli adottabili in sede legislativa e, comunque, quale fosse il suo eventuale vulnus strutturale che potesse consentire o facilitare l’infiltrazione mafiosa». Ed ancora: «[…] l’unanime rifiuto, più o meno netto ma sempre apparso pretestuoso, di consegnare alla Commissione gli elenchi degli iscritti alle rispettive “obbedienze”, invocando, a sostegno della propria posizione, le più disparate ragioni e, comunque, da parte di tutti, la legge sulla “privacy” che, a loro dire, li avrebbero obbligati a mantenere riservati i nominativi degli accoliti, pena la violazione di norma di Stato».

La Commissione parlamentare antimafia il 1° marzo 2017 deliberava all’unanimità di acquisire gli atti di interesse – l’elenco degli appartenenti alla massoneria – presso le sedi centrali delle quattro “obbedienze”, attraverso gli strumenti delle perquisizioni e del sequestro disciplinati dagli articoli 247 e seguenti del codice di procedura penale. Riassunto: la Bindi come Gratteri non sapevano che per conoscere chi appartiene alla massoneria basta fare un salto in edicola…e chiedere di Abramo! O al massimo, per non destare sospetti, “mi manda Sergiun” accompagnato da un gesto con la bocca del tipo “aumm aumm”, “capisciamme”. 

Catanzaro è una città che è stata vilipesa dall’azione della Procura di Catanzaro. Se tutto è regolare e le inchieste sulla massomafia sono un bluff, ecco che allora le intercettazioni e le verifiche che emergono dagli atti di indagine sono prove costruite ad arte da Gratteri e la politica cittadina, l’imprenditoria, i colletti bianchi, la massoneria, pezzi di ‘ndrangheta, i servitori infedeli e la Chiesa anche locale sono quei pezzi del Lego con i quali proprio il Procuratore della Dda di Catanzaro non ha saputo giocare!

Noi non ne siamo convinti. Crediamo che nella città di Catanzaro, come del resto a Cosenza, la sua città “gemella” per grembiule e cappuccio, ci sia un’omertà ostinata, quella che Abramo da una parte e Occhiuto dall’altra recitano con sconsiderata incoscienza, sputando controvento e pestando con gli scarponi la credibilità di tutta la magistratura onesta ed i risultati finora raggiunti, in una complicità diffusa con quanti tacciono pure avendo la golden share di una moralità riconosciuta per titolo, come la Curia cittadina, sia a Catanzaro sia a Cosenza.

Ma nella città capoluogo c’è dell’altro. C’è la netta sensazione che per una necessità di sopravvivenza del sistema Catanzaro, sia lecito replicare la “parabola dei talenti” (Matteo 25,14-30). In verità questa parabola non è un’esaltazione, un applauso all’efficienza, non è un’apologia di chi sa guadagnare profitti, non è un inno alla meritocrazia, ma è una vera e propria contestazione verso il cristiano che sovente è tiepido, senza iniziativa, contento di quello che fa e opera, pauroso di fronte al cambiamento richiesto da nuove sfide o dalle mutate condizioni culturali della società.

Che la Chiesa calabrese, come abbiamo più volte affermato, abbia avuto necessità di vergognarsi più volte, questo è ormai un fatto riconosciuto. Ha sempre oscillato, anche nelle mura della città di Catanzaro, in abbracci pericolosi in alcuni casi con la massoneria ed in altri con la ‘ndrangheta. Basterebbe solo citare le carte dell’inchiesta “Jonny” della Dda di Catanzaro che ha portato alla condanna per associazione mafiosa, di Leonardo Sacco (ex leader della “Fraternità Misericordia di Isola Capo Rizzuto) a 17 anni e 4 mesi e dell’ex parroco di Isola Capo Rizzuto, Edoardo Scordio condannato a 14 anni e 6 mesi. Dall’informativa dei Carabinieri del Ros, allegata al fascicolo di indagine si legge che tutta la vicenda ruota attorno a una trentina di milioni di euro sottratti alle casse del Cara di Crotone in circa 10 anni, trasformato per le esigenze delle ‘ndrine locali. Uno dei tanti esempi dell’impegno delle Chiese locali in affari di ‘ndrangheta ed in stretta assonanza con la massoneria, come ha sottoscritto l’operazione “Basso profilo” per la città di Catanzaro: la città della massomafia.

Scribi e farisei di ogni sorta e ogni tempo hanno adattato ai loro ignobili scopi la figura di Gesù Cristo facendone vessillo di arroganza e sottomissione, icona da idolatrare e temere, strumento di ricatto e di superstizione. In suo nome si è ucciso e si uccide, si è mentito e si mente, si è affamato e si affama, si è violentato e si violenta, si è punito e si punisce, si è ingannato e si inganna… L’immaginetta di un Gesù prima vendicativo e poi buonista ha formato generazioni di credenti convinti che la dimensione del vero cristiano si limiti ad un sufficiente buon comportamento individuale e, nella migliore delle ipotesi, ad una solidarietà del tempo libero o della fugace seppur magari cospicua offerta. Quella Chiesa che alleva i suoi figli prediletti a Vangelo e santini nella zona grigia del pascolo.

Eppure la Chiesa studia, pubblica, pontifica, insegna e Catanzaro è una fucina di iniziative e di esortazioni. E’ sempre don Giovanni Scarpino che cura la pubblicazione “La ‘ndrangheta è l’antivangelo” che raccoglie i documenti e pronunciamenti della Chiesa calabrese in materia di contrasto alla criminalità organizzata. Come disse il presidente dei vescovi calabresi in occasione della presentazione, monsignor Vincenzo Bertolone, che «la mafia non ha nulla a che spartire con il cristianesimo»… sarà vero?

Era il 1° ottobre 2019 e la Chiesa calabrese presentava il Corso annuale “La Chiesa di fronte alla ‘ndrangheta” voluto dalla CEC all’interno del percorso di studio dell’Istituto Teologico Calabro “San Pio X” della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale. Un corso che i vescovi hanno voluto aprire a tutti coloro che «in ragione del loro impegno nella Chiesa intendono introdursi nella conoscenza più pertinente del fenomeno ‘ndranghetista e dei connessi problemi sotto il profilo religioso ed ecclesiale». «Si può fare antimafia in tante forme. Ci impegniamo a formare sacerdoti con la schiena dritta. Capaci di dire sì e no», ha aggiunto Bertolone durante la conferenza stampa, moderata dal direttore regionale delle comunicazioni Sociali, don Giovanni Scarpino e che ha visto gli interventi anche del vicepresidente della CEC monsignor Francesco Milito, e del direttore dell’istituto Teologico calabro monsignor Gaetano Currà. «Che preti saremmo se noi ce ne andassimo da questo territorio…eppure in passato mi è stato sconsigliato di fare questo corso qui in Calabria. Racconto questo episodio per spiegare come la mentalità può e deve cambiare solo col tempo e con l’impegno di tutti», ha spiegato Bertolone, che è stato postulatore della causa di beatificazione di padre Puglisi.

Là dove la “piovra” della criminalità organizzata «attecchisce e miete ancora vittime, la Chiesa non si limita a far eco, ma dichiara di possedere l’antidoto al veleno mafioso, convinta che contro ogni mafia non basti denunciare, prevenire, punire, ma occorra annunciare da capo il Vangelo della misericordia, della pace e della conversione, in uno sforzo corale di nuova evangelizzazione». Così scrive il presidente della CEC monsignor Vincenzo Bertolone nel volume “La ‘ndrangheta è l’antivangelo”. Quella nuova evangelizzazione che proprio nella città di Catanzaro si è rivelata con il silenzio della Curia, e con le miserie dell’assessore Danilo Russo, punto di incontro e di collegamento nelle istituzioni fra Fede e compasso.

Belle parole, grandi impegni, che purtroppo si scontrano con la realtà di frequentazione proprio della Chiesa catanzarese con gli ambienti che dice di voler combattere, almeno in termini di costruzione ed istruzione delle coscienze dei nuovi “ministri” di Dio, attraverso i suoi rappresentanti più in vista, quelli che sottoscrivono le “intenzioni” ed i messaggi di Fede e di speranza. La responsabilità della Curia catanzarese è evidente quanto meno in termini morali ed i collegamenti che emergono dai documenti della Procura di Catanzaro sono imbarazzanti. Emerge che sono sempre gli stessi metodi, immutati nel tempo, che governano le scelte della Chiesa e della Curia a Catanzaro: prestare le segrete stanze ai criminali di ogni tempo, mafiosi, massoni, speculatori, finanzieri senza scrupoli, politici corrotti e tanti illustri colletti bianchi e porpora. Solo di alcuni di questi, dei più piccoli e più sacrificabili tra i pesci, si sono potute ricostruire e si stanno ricostruendo le singole storie, anche quelle dai tratti criminali e senza mai una conseguenza per gli alti prelati, protetti dalle solide e suntuose mura di alabastro e dal silenzio compiacente dei mass-media, anche locali, il cui controllo di consolida anche attraverso la politica compiacente e dai gruppi di potere legate alle obbedienze delle logge.

C’è una responsabilità anche della Curia catanzarese che per immobilismo o asservimento alla logica di collaborazione con le “obbedienze” della massoneria ha lasciato intatte situazioni di imbarazzo tanto da mettere in predicato la figura autentica di “santità” di Natuzza Evolo, per tutti i calabresi “mamma Natuzza”, il cui postulatore per la causa di beatificazione è stato proprio Monsignor Bertolone, Vescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della CEC.

E’ sempre Famiglia Cristiana che ci ricorda che ci sono anche vescovi che continuano a ignorare l’esortazione rivolta loro da papa Francesco di non essere mai padri-padroni. L’avevano ricordata in una lettera a monsignor Luigi Renzo, vescovo “dimissionato” di Mileto-Nicotera-Tropea, un gruppo dei soci fondatori della Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime, nata per impulso della mistica calabrese Natuzza Evolo, portandone a termine l’opera a Paravati.

Renzo, dopo che il suo predecessore, il compianto Domenico Tarcisio Cortese, aveva sottoscritto lo statuto della Fondazione, e riconosciuto con decreto la stessa, aveva revocato tale decreto e impedito ogni celebrazione eucaristica (anche quella per gli anziani disabili che vi sono ricoverati) nel complesso sorto dove operò Natuzza, salvo sporadiche deroghe per le celebrazioni presiedute personalmente con grande battage dei media locali. Tutto perché l’assemblea dei soci aveva bocciato quasi all’unanimità le modifiche statutarie che Renzo diceva di volere per ossequio alla Dottrina. Tra i pochi favorevoli, fin dal principio, l’avvocato Marcello Collocache non fa un mistero della sua appartenenza alla massoneria, presentandosi quale presidente del collegio circoscrizionale dei maestri venerabili della Calabria. Questi è diventato presidente della Fondazione in quanto Renzo ha costretto alle dimissioni, dopo averlo minacciato di sospensione a divinis se non avesse convinto i soci ad approvare le sue modifiche, don Pasquale Barone, sacerdote che fu tra i direttori spirituali della mistica, insieme con padre Michele Cordiano, l’ex segretario della Fondazione. Pure lui costretto a dimettersi e, trasferito altrove dal vescovo, con una bolla che qualcuno ha visto come una “punizione”.

Non tutto però è andato per il verso giusto e anche Colloca si è dovuto dimettere per manifesto disaccordo con la sovranità dell’assemblea plenaria. Ebbene, il 30 dicembre 2017, Renzo gli aveva scritto per «ringraziarlo del garbo e dello stile collaborativo» manifestato nella vertenza tra lui e la Fondazione e per chiedergli «di fare uno sforzo sovrumano, ritirando le dimissioni sue e degli altri (i due consiglieri a lui fedeli, ndr) per riprendere il cammino interrotto. È un sacrificio che dobbiamo a Natuzza più che agli uomini. Certo che farà ogni sforzo, nel rinnovarle la mia profonda ed immutata stima per la squisita collaborazione fornita in questi mesi (…) Le rinnovo gli auguri di ogni bene». Termini davvero molto affettuosi ed elogiativi quelli del vescovo verso il legale aderente alla massoneria.

Colloca discende da una famiglia molto cara a Natuzza che, come confermano molti documenti fra i quali i diari del professor Libero Giampà, tentò sempre con abnegazione di convertire i massoni, accorrendo anche al capezzale di iscritti a logge agonizzanti assieme a sacerdoti come don Giuseppe Tomaselli, esortandoli al pentimento. Un apostolato, questo, molto simile a quello incarnato da San Pio di Pietrelcina. Ma come mai il vescovo, che ricorda giustamente il dovere dell’obbedienza verso la dottrina cattolica e le autorità ecclesiastiche, poi dimenticava o metteva da parte la dichiarazione del 1983? Questa dimenticanza evidentemente rischia di incombere anche sull’intera conferenza episcopale calabrese presieduta da monsignor Vincenzo Bertolone e non solo sul suo destino, ormai segnato.

Ebbene la Cec aveva espresso il pubblico appoggio a Renzo, che si era spinto fino addirittura ad annullare atti sovrani e di oggetto amministrativo (non certo relativi al culto) di una fondazione di cui la diocesi non è socia e che ha agito in perfetta conformità con quanto disposto dal codice civile e dalle norme del proprio statuto. La Cec aveva anche ricordato la “dovuta obbedienza”, non prendendo quindi alcuna posizione su un argomento di forte rottura con la dottrina cattolica come la vicinanza netta tra Renzo e Colloca – quella inconciliabilità fra Chiesa e massoneria –, che poi ha segnato l’intera crisi di una realtà cresciuta con grande frutto spirituale in oltre un trentennio. Né dimenticanze, né deroghe sarebbero consentite, lo dice chiaramente la dichiarazione firmata da Ratzinger: «Non compete alle autorità ecclesiastiche locali pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito». Dimenticarsene può solo rendere più debole la Chiesa contro certe ramificazioni occulte. E non è certo un caso se il Vaticano ha insistito per ottenere le dimissioni di Renzo.

Qui si ferma la nostra analisi e la ricostruzione dei fatti dove la Chiesa calabrese è alleata con la massoneria, per come conferma trattandosi degli attori che governano la CEC, che la Curia di Catanzaro sia la terza gamba del sistema Catanzaro, che insieme alla politica ed alla massomafia, governano i processi di sviluppo della città, facendo affari, nella logica cristiana dell’ostia e del pugnale…come avremo modo di raccontare ancora.