Nel viaggio a ritroso nelle “prodezze” della curia di Catanzaro passando dalla porta di Lucifero si incontra un’altra realtà votata non alla santità, ma all’oscuramento dei fatti e dei misfatti, quella che nella sostanza è una holding del profitto di preti affaristi, la Barconi S.p.A., meglio conosciuta come Fondazione Città Solidale.
A guidarla da sempre è un altro “rais” della genia sicula oggi diventato superstite dopo la fuga del suo conterraneo Bertolone, al secolo padre Piero Puglisi, il palazzinaro di Squillace Lido ed esponente della staffetta della curia di Catanzaro, quella sempre sul filo dell’illegalità.
Frugare nelle tasche dell’anima è quello che una volta veniva chiamato esame di coscienza, capire non già quello che vogliamo, ma cosa siamo stati e come vogliamo essere. E’ peraltro la prima forma di solidarietà diffusa, quella che opera l’informazione libera che ha il coraggio di frugare nelle tasche, in questo caso in quelle della curia di Catanzaro, tirando fuori pezzi di verità non narrata, quelli che se messi insieme portano alla soluzione del cubo di Rubik: i misteri del vescovo che scappa!
Padre Piero Puglisi non è un esempio di pastore infallibile, bensì è il cliché di un bracconiere dal vissuto da pecora isterica in quel recinto affollato da prelati affaristi che è la vera caratteristica della Chiesa di Catanzaro. La sua è una presenza sulla soglia della falsità e del malaffare, come la gestione di Fondazione Città Solidale, dove si narra di maltrattamenti nascosti, le cui denunce per complicità diffuse con la massomafia e con il contributo del vescovo Bertolone, sono state sepolte nei cassetti mentre le persone ancora aspettano una giustizia terrena prima di quella divina. Le sue responsabilità incrociano il destino di tanti giovani, i migranti che generano profitto, ma anche quelle degli anziani di Fondazione Betania, dove da vice presidente ha cercato di piazzare sul mercato piccoli rami d’azienda, quelle strutture che sono inutilizzate per la mancanza di un idea, di una proposta che ormai manca nel pensiero e nella progettualità di Betania ripiegata su se stessa da una logica criminale che continua a fare cassa sul progetto Anziani S.p.A. non garantendo cure e verità.
Il dubbio come discernimento non sembra appartenere a padre Piero Puglisi, anche se fu lui a fare affiggere nei tazebao della Fondazione Betania la sua forte reprimenda contro la gestione della stessa, una denuncia scomparsa magicamente dopo poche ore, riportando il suo pensiero alla logica dell’obbedienza del mistero della curia di Catanzaro: silenzio ed omertà. Tutto questo gli ha lasciato mano libera per continuare a depredare il patrimonio di Betania, seppellendone le speranze senza però disseppellire i crimini, rendendosi complice dei suoi misteri di morte e di stragismo silenzioso. A padre Piero Puglisi poco importa, come a tanti altri a ben guardare, disperdere un patrimonio di umanità e di buona pratica di cura, quello che era il sigillo di autenticità di Fondazione Betania, il suo obiettivo è mantenere in vita la sua holding sullo sfruttamento dei migranti definita Città Solidale che, a differenza di altre realtà, gode dei privilegi esclusivi di cassa della curia cittadina, senza competizione e senza professionalità, solo perché dispone a suo piacimento e con la copertura del sistema dei fondi della Caritas diocesana.
Prima di addentrarci nell’osservazione del pianeta “carità” della curia di Catanzaro con annessi misteri e con comprovati disordini ambientali ed umani rispetto al dettato della Santa Sede, ci soffermiamo su quella che è la caratteristica più autenticamente umana del presule di Squillace Lido, padre Piero Puglisi, già bracconiere dei migranti e riconosciuto palazzinaro incallito.
E’ storia che padre Piero Puglisi, non potendo mutuare le doti incendiarie dell’imperatore Nerone ha tentato più volte di ridurre ad un cumulo di macerie la parrocchia di San Nicola Vescovo, della quale è parroco, nella frazione di Squillace Lido. Ad oggi il suo tentativo di riedificare una chiesa monumentale a futura memoria della sua grandezza di uomo e non già di sacerdote non è riuscito, lasciando nel popolo una serie di domande irrisolte e di dubbi sul perché? Sul piatto ballano 2,5 milioni di euro concessi con i buoni uffici di Bertolone dalla CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, la cui destinazione non può essere stralciata per altre urgenze, sarebbe uno sgarbo alle piccole grandezze professate dai prelati affaristi, ma deve rientrare nel novero della caratteristica di padre Piero, quello di fare speculazione edilizia per confermare la sua caratteristica di palazzinaro. E’ questa la sua quinta essenza, quella che gli ha portato altri guai, come aver commesso reati edilizi tanto da aprire una controversia proprio con lo stesso comune di Squillace.
L’uomo ed il sacerdote sono l’atroce contrappasso della filosofia della curia di Bertolone, quella ritenuta a tutti gli effetti zona franca, titolare di una extraterritorialità pretesa e non riconosciuta, che ha consentito negli anni ai prelati di alzare la sottana e pisciare anche sulle indicazioni, i suggerimenti ed i moniti che provengono dai Sacri Palazzi Vaticani. Le parole di Papa Francesco non hanno cittadinanza nella curia potente del vescovo massomafioso, dei suoi complici con la tonaca e dalle protezioni diffuse fra politica corrotta e ‘ndrangheta, quel pezzo di brutta narrazione raccontataci da Basso Profilo, l’indagine della DDA di Nicola Gratteri. E’ l’apoteosi inversa che considera la Calabria terra di Santi, senza indagare nelle retrovie inquinate da preti affaristi che intendono la Provvidenza come mezzo per riempire i loro forzieri privati e che usano le omelie come messaggi di potenza e minaccia, un coagulo che santifica sugli altari la mano del Diavolo.
Non manca mai il contributo di padre Piero Puglisi, intraneo alla logica del vescovo ormai in fuga, mai eretico alle regole quello che sarebbe in ultima analisi un valore a difesa di una visione pastorale, bensì sodale ad un principio che è percorso comune nella curia di Catanzaro, quello che resta estraneo a quanto dettato dal successore di Pietro, tanto da consolidare un extra ommes geograficamente circoscritto e sottoscritto dal Verbo di Bertolone.
Così mentre Papa Francesco dice no ai tariffari per le messe e i sacramenti, una posizione confermata da un documento della Congregazione per il Clero, perché ritenuta una pratica sbagliata messa in atto da preti affaristi, quella forma “di corruzione che scandalizza il popolo” come sottolinea sempre Papa Francesco, aggiungendo che “le Chiese non devono mai diventare case di affari perché la redenzione di Gesù è sempre gratuita”, cosa fa padre Piero Puglisi? Aumenta il listino prezzi e trasforma un’offerta che, per sua natura, deve essere un atto libero da parte dell’offerente in “mazzetta” imposta e soprattutto non contabilizzata perché in nero.
Così mentre Roma non conosce e la curia catanzarese volutamente si distrae, assistiamo alla mutazione di padre Piero il bracconiere dei migranti, da prete palazzinaro in allibratore di sacramenti, sempre secondo la regola di Bertolone: silenzio e omertà.
Non ha perso tempo padre Piero Puglisi dopo la sua nomina di rettore del Santuario della Madonna del Ponte di Squillace, avvenuta i primi giorni di luglio 2021 su indicazione del vescovo latitante, e dopo una veloce mano di pittura giusto per rinfrescare il palcoscenico ha imposto il “suo” listino prezzi. Avete capito bene, perché sulle esortazioni di Papa Francesco e le disposizioni della Santa Sede, lui, padre Piero ci piscia, decide e dispone autonomamente, tanto che tutte le coppie che hanno deciso di celebrare il loro matrimonio nel “suo” Santuario hanno dovuto versare nelle sue tasche la somma di 300 euro per singolo sacramento, ovviamente in nero.
La saldatura con il sistema Catanzaro è ormai una pratica consolidata nella curia di Catanzaro e nel reticolo che si estende sul territorio della diocesi, dove la sensazione del profumo non è certamente quello dell’incenso, ma ben altro. La Chiesa catanzarese è affetta da un male incurabile, quello del denaro che ha soppiantato il giuramento della povertà, visto che quello della castità è ormai andato ramengo, così come fra le righe ci hanno fatto capire, qualche giorno addietro i seminaristi del Pio X di Catanzaro.
Ci verrebbe da dire che rimane almeno quello della carità, ma anche in questo caso il dubbio ci assale per una serie di evidenze che dicono il contrario e, ci consegnano uno spaccato fatto di complicità, di malversazioni e di mancata trasparenza degli atti e della destinazione dei fondi, soprattutto quelli che provengono dall’8 per mille, che non sono certamente bruscolini, ma qualche milione di euro per la Caritas diocesana di Catanzaro.
Questo argomento l’avevamo già trattato in tempi non sospetti, come si usa dire, quando il vescovo Bertolone era saldamente in sella e lo avevamo anche sfidato, senza usare il piombo ed il veleno, almeno noi, dalle nostre colonne a rendere pubblici i bilanci della Caritas diocesana. Risposta, come era prevedibile, nessuna sempre per la regola: silenzio e omertà. Ci ritorniamo oggi alla luce dei disastri causati dal Covid-19 e dalle tante risposte volutamente fallite, in termini di carità cristiana, che la curia di Catanzaro ha mancato evitando di fare una figura barbina solo per l’iniziativa autonoma di alcune parrocchie, nella città di Catanzaro e fuori di essa, che da sempre operano secondo il dettato cristiano andando incontro al bisogno, quello che si è moltiplicato esponenzialmente con la pandemia.