I voti del boss per il Consiglio regionale e il patto non rispettato da un avvocato catanzarese. La vicenda viene fuori dagli atti dell’inchiesta Alibante che ha svelato le infiltrazioni della cosca Bagalà nel settore turistico e nell’attività politica dei paesi della costa tirrenica catanzarese.
A svelare il presunto accordo con una “toga” del capoluogo è proprio lo storico boss Carmelo Bagalà che in due dialoghi intercettati dagli inquirenti racconta lo stesso episodio. In pratica alcuni anni fa durante la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale un avvocato di Catanzaro si sarebbe recato dal boss per chiedergli una mano nella raccolta delle preferenze, in cambio avrebbe offerto la sua opera per far dissequestrare alcuni immobili alla famiglia Bagalà. Il capobastone, racconta di essere stato ai patti, non così invece avrebbe fatto il legale.
Durante le indagini i carabinieri hanno intercettato un dialogo tra il boss Bagalà e l’architetto Vincenzo Dattilo anche lui finito nell’inchiesta della Dda di Catanzaro. Il discorso, è annotato in un’informativa della polizia giudiziaria, si incentrava sull’interferenza della cosca nella politica calabrese. Carmelo Bagalà, scrivono gli inquirenti, «ribadiva che in virtù della sua appartenenza alla criminalità organizzata, non poteva schierarsi apertamente con una coalizione, ma per aiutare gli “amici” candidati doveva “muoversi” in maniera riservata («ma se c’è qualcuno che ti interessa proprio… a un amico come te che cazzo… si tiene la bocca chiusa, diamogli una mano a questo, questo amico…»).
Il boss avrebbe quindi confidato una sua precedente esperienza, raccontando che, alcuni anni fa, «aveva sancito un patto elettorale politico mafioso» con un avvocato all’epoca dei fatti, era candidato al Consiglio Regionale della Calabria.
L’aspirante consigliere, in cambio dei voti della cosca Bagalà, avrebbe promesso al boss il suo impegno per fargli restituire alcuni beni che erano stati oggetto di una misura patrimoniale. “Mi ha detto: “… io vi dò una mano per la casa… però voi mi dovete trovare almeno cento voti nella vostra zona…”.
Il boss, stando a quanto da lui stesso riferito nel dialogo intercettato, si sarebbe impegnato in prima persona durante la campagna elettorale effettuata nei Comuni di San Mago d’Aquino, Falerna, e Nocera Terinese e sarebbe riuscito a raccogliere oltre 200 voti per l’avvocato. “… Infatti me l’hanno dato il voto… gliene ho trovato 220… mi sono tirato 220 voti… li ho trovati tra San Mango, Nocera e Falerna… mi ha preso solo per il culo… Niente, i beni se li sono presi… Mi diceva delle cose che non erano vere”.
L’episodio viene raccontato dal boss una seconda volta mentre si trova in auto con una coppia. Ancora una volta spiegava che in passato aveva sancito un patto elettorale politico-mafioso con un avvocato candidato al Consiglio regionale della Calabria. Carmelo Bagalà svela addirittura che i suoi compaesani erano increduli dopo lo spoglio visto che nessuno in paese conosceva quell’avvocato. Conferma anche il motivo dell’accordo… Nell’informativa si aggiunge anche che gli inquirenti hanno riscontrato che in effetti i beni della famiglia Bagalà erano stati oggetto di sequestro, che l’avvocato fu davvero candidato e che pur ottenendo un buon risultato non fu eletto. Fonte: Gazzetta del Sud
Fin qui l’articolo di oggi sulla Gazzetta del Sud. L’informativa dell’operazione Alibante tuttavia viene ripresa anche da altri media, come per esempio Calabria 7, e all’interno dell’articolo firmato da Gabriella Passariello, ad un certo punto c’è un passaggio – lo stesso citato anche dalla Gazzetta del Sud ma senza un particolare determinante – nel quale si riferisce che il famoso avvocato, che pur avendo conseguito un buon risultato, ottenendo 4.604 voti, non fu eletto. Il passaggio-chiave che appare a Calabria 7 ma non sulla Gazzetta è dunque il numero preciso dei voti che avrebbe collezionato l’avvocato. Di conseguenza, non ci è stato difficile andare a controllare quanti voti avesse preso nelle elezioni regionali del 2010 (quelle vinte da Peppe Dj Scopelliti…) un avvocato di Catanzaro candidato con la lista-simbolo dei corrotti, dei massoni deviati e dei riciclati come l’Udc, il partito – tanto per essere chiari – di Francesco Talarico e Lorenzo Cesa.
Con Francesco Talarico, tra l’altro, messo in bella evidenza come capolista e come candidato con più voti per la causa massomafiosa del “modello Reggio” trasferito alla Regione. E così si materializza il numero magico 4604 accanto al nome dell’avvocato catanzarese Anselmo Torchia, che i lettori catanzaresi di Iacchite’ conoscono molto bene per le sue “prodezze” delle quali ci siamo occupati molto spesso in passato. Per il momento non le rispolveriamo, attendiamo solo che il suo nome venga al più presto depennato dalle liste che verranno presentate all’inizio di settembre. Intelligenti pauca.