Catanzaro, il “mistero” dei fascicoli che scompaiono e riappaiono in Tribunale

«[…] Eserciterò quanto in mio diritto per ripagare questi atteggiamenti attraverso le conoscenze mie e di mio padre nonché rivalermi per i danni all’immagine lesa! […]».

In sole due righe si racchiude e si sintetizza il verbo di quel codice massomafioso che è ormai da tempo la caratteristica della città di Catanzaro. Il “sistema” dove legalità ed illegalità camminano a braccetto sotto lo sguardo benevolo della ‘ndrangheta che ha comprato la politica, protetta da grembiuli e cappucci e benedetta dalla chiesa sporca di Calabria, ma che soprattutto gode dei favori degli infedeli dello stato e dei “colletti bianchi” distribuiti nella burocrazia e nel mondo delle professioni.

Questo è il magma su cui si regge il “sistema Catanzaro” dove il valore della Legge diventa una pernacchia, dove la politica massomafiosa si sente protetta dalla benevolenza di quanti vestono la toga, capaci di manipolare la verità, secondo l’assunto che: “per gli amici la Legge non si applica, si interpreta”. In questa cornice di criminalità diffusa tutto quello che emerge è sempre poco, se il centro del malaffare è racchiuso fra le mura del Tribunale di Catanzaro, dove l’azione di bonifica messa in campo dal procuratore Nicola Gratteri viene osteggiata ed a volte anche ridicolizzata nel tentativo di isolarlo, sempre di nascosto, perché potrebbe mettere in predicato il valore della giustizia e dei tanti organi che, almeno a parole, dicono di difendere. Il grado di colpevolezza o di benevolenza al sistema è diffuso, tanto che spiega come alcuni fascicoli possano sparire dal radar della giustizia, mentre altri riappaiono, anche se secretati, e diventano arma bianca per colpire quegli amori sbocciati e subito traditi nel talamo della politica.

Era il 23 ottobre 2020 quando a Catanzaro è stata celebrata un’udienza particolare. Nell’ambito di un procedimento riguardante il fallimento della Farmaeko, una delle società controllate dall’allora presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini, secondo il narrato della Procura, ma un imprenditore catanzarese si è opposto alla richiesta di archiviazione della procura di Catanzaro tirando fuori un asso nella manica che il suo avvocato, Antonio Lomonaco, custodiva gelosamente, ben sapendo che si trattava di documenti secretati.

L’avvocato Antonio Lomonaco ha infatti depositato una serie di documenti. Una parte riguarda proprio il fascicolo che analizza i rapporti tra politica e imprenditoria locale. Un filone investigativo che sarebbe nato da un’ulteriore indagine che è stata già chiusa dalla procura, e che era stata seguita personalmente dal procuratore aggiunto DDA dell’epoca Dott. Bombardieri. Da qui la discovery parziale di alcuni atti di indagine. Tra le altre cose un diagramma che descrive i rapporti dell’ex presidente Tallini e in cui l’esponente di Forza Italia viene identificato come socio occulto della Farmaeko.  Altri “link” sono invece coperti da omissis così come i nomi dei possibili indagati.

E’ un calcio nei denti, la rottura di una solidarietà politica ormai diventata quasi una faida che contrappone proprio Mimmo Tallini all’ex assessore comunale Massimo Lomonaco, padre dell’avvocato che deposita il plico secretato e costellato di omissis, dal quale si articola e si ricollega la successiva operazione “Farmabusiness”: quel terremoto politico-giudiziario con aspetti di mafiosità che scuote il territorio di Catanzaro.

Il deposito dei documenti è il colpo al cuore alla politica massomafiosa rappresentata dal clan di Tallini, ma è allo stesso tempo la vendetta postuma consumata proprio dai Lomonaco – padre e figlio – perché fu proprio Tallini a determinare la cacciata del Massimo Lomonaco dal circuito che conta della politica cittadina. La politica, quella del sistema Catanzaro non è un fatto sconosciuto nella famiglia Lomonaco. Tutti conoscevano i traffici e le disponibilità dell’assessore Massimo Lomonaco, prestanome di Tallini e soggetto facilitatore del consenso inquinato.

L’amministratore amante delle “pasterelle” e delle pastette, il vero “Laqualunque” della compravendita di voti, di rilascio di licenze commerciali e di carte d’identità quelle “piccanti” nei segni particolari… La cancellazione delle multe e le lottizzazioni sono la migliore caratteristica amministrativa di Massimo Lomonaco, al pari dei posti di lavoro quelli dei concorsi truccati da riservare in quota agli amici, quello che in sostanza è il cliché del sistema Catanzaro, dove la politica non è solo puttana, ma rozza e triviale. Non si rintracciano altri elementi di qualità nella storia politica di Massimo Lomonaco, fatto salvo il suo riavvicinamento ad un altro campione di legalità come il suo Movimento Officine del Sud, il re delle cliniche truccate Claudio Parente, diventato presentabile per trasposizione dinastica per la lista di Forza Mafia alle elezioni regionali solo perché prestanome del capo ‘ndrina Mimmo Tallini.

Politica e morale: un binomio controverso nella città di Catanzaro, dove la morale è nel cesso e la politica fa affari, pronta a pugnalare al bisogno non solo i cittadini, ma anche i fratelli riconosciuti, come è successo con l’assessore Lomonaco appunto, destituito della sua carica, tanto che la scazzottata con il sindaco Abramo fece breccia nelle cronache giornalistiche.

Questo è il quadro di riferimento e la storia che ci serve nella narrazione di un altro fatto, ben più eclatante perché è lo spaccato della corruzione e del malaffare che galleggia nel palazzo di giustizia della città di Catanzaro, dove la giustizia non si esercita, ma si compone al bisogno secondo i soggetti interessati e dove i documenti si materializzano e si smaterializzano, seguendo la magia oscura dei grembiuli e dei colletti bianchi.

Questo è un ulteriore elemento di verifica che proprio il procuratore Nicola Gratteri dovrebbe attenzionare, cercando di capire: chi e perché fa sparire i fascicoli dalle cancellerie? Chi e perché insabbia negli armadi tanti procedimenti? E chi e perché si presta alla riesumazione su richiesta di fascicoli secretati e omissati?