Catanzaro, la città dei pochi pupari e tantissimi pupi (di Danilo Colacino)

di Danilo Colacino

Una fitta rete di intrecci. Un reticolato spesso inestricabile, in cui si mischiano pupari (spesso occulti e non sulla bocca di tutti, anzi in realtà perfetti sconosciuti per mutuare l’opera di Paolo Genovese, annoverabili nella schiera degli insospettabili superprofessionisti); sotto-pupari (i politici che decidono tanto, ma non tutto, da soli); aspiranti pupari (gente bramosa di entrare nel giro grosso e alla greppia di chi dà le carte perché per troppo tempo relegata al ruolo di incudine malgrado il sogno di diventare martello); accoliti e aventi causa dei rappresentanti delle tre categorie appena citate nonché, infine, alla base della piramide un esercito di pupi (persone senza la forza o l’abilità o semplicemente “il pelo sullo stomaco” per stare in cima, le quali si accontentano di razzolare qualche briciola nel cortile magari dopo la promessa e la successiva concessione di chi abita ai piani alti dello sfarinamento in basso di un po’ di pane).

La spessa coltre che avviluppa la città

Appena riassunto, in estrema sintesi sia chiaro, il “sistema Catanzaro”. Uno dei più chiusi della Calabria in cui puoi avere vicino parenti e amici (?) che hanno venduto l’anima al diavolo per i danè per dirla con Vecchioni (i quattrini di fronte a cui in tanti baratterebbero anche la madre o la consorte senza alcuna esitazione) e uno spicchio di potere. Io stesso so in prima persona cosa significhi con episodi eclatanti purtroppo vissuti. Al di là di tutto, però, molti lo sanno, altri lo intuiscono, parecchi lo ignorano: la cappa con cui è stata resa l’aria irrespirabile – pur essendo uguale alla nebbia di “Totò, Peppino e la malafemmina”, che come disse Mezzacapa “c’è ma non si vede” – copre tutto, persino i meccanismi di abilitazione all’esercizio di certe attività professionali. Eccome se c’è, dunque. Solo che appunto non si vede. O, più esattamente, non si vuol vedere.

L’ignavia del catanzarese

Se esiste un luogo dove l’indolenza o, molto peggio, l’acquiescenza è eletta a regola di vita, quello è Catanzaro. “Chi ci potimu fara, tantu cumandanu sempa iddi”, la frase tipica con cui si è soliti chinare il capo al massimo sfogandosi su Facebook. Nulla più. Ma non è paura. È qualcosa di assai diverso. E a riguardo cito un episodio che mi ha da sempre lasciato di stucco, assistendo alla pochezza di una mentalità tanto radicata quanto infima: la raccomandazione chiesta al bigliettaio del teatro. Sì, anche con abbonamenti o biglietti appena sottoscritti e pagati, a queste latitudini si domanda il piacere di ottenere il posto migliore in sala e non lo si fa rivolgendosi al direttore generale bensì all’ultima ruota del carro. E del resto, in proposito, in città si dice anche che “in ospedale meglio avere amico il portantino invece del primario”. In sostanza: anche il diritto acclarato e manifesto, quesito direbbero i raffinati giuristi, da noi si tramuta in favore e tutto ciò finisce con il distorcere ogni aspetto della vita quotidiana e di relazione, spingendo quasi chiunque ad assicurarsi denari e amicizia con cui si riesce a “farsi beffe (espressione edulcorata!) pure della Giustizia”.

La solitudine ma anche la libertà di chi “dice no”

In un circuito tanto vizioso e blindato sono in pochi, anzi in pochissimi, a “dire di no”. Persone considerate da Tso, se non peggio. Su tutti un coraggioso alto magistrato, neanche a dirlo il procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, con i fidati sostituti che lo coadiuvano. Ma anche alcuni giornalisti veri – con la libertà di scrivere quanto vedono e su fatti di cui hanno le prove (peraltro pur davanti a “fonti” che ti implorano di non fare il loro nome altrimenti sono rovinati, però fottendosene se rovinato ci finisce il povero indifeso cronista) – e qualcun altro, il quale pur sovente animato dallo spirito di rivalsa tira fuori le carte. Il guaio è che la Magistratura, quella sana di cui grazie a Dio il capoluogo gode, ha finora evidentemente fatto una fatica del Diavolo a trovare la “pistola fumante” per andare ad esempio a colpire quello che l’eroico e compianto giudice Giovanni Falcone chiamava il Terzo Livello (di cui la politica è solo una componente), sebbene non siano mancate importanti recenti iniziative giudiziarie in tale direzione, e soprattutto l’economia sommersa con una fiorente attività di riciclaggio di denaro sporco (inspiegabili i tanti boom malcelati da un finto superlavoro degli indefessi e capaci imprenditori, i quali ne sarebbero formidabili autori) in mano a teste di legno e prestanomi vari.

Le elezioni alle porte, l’unica occasione in cui in cima ai Tre Colli gli “affari vanno in crisi”

Come premesso, anche chi è danneggiato sui Tre Colli si comporta come i protagonisti di Anime Nere che di fronte a un problema con qualcuno lo rassicurano dicendo: “Veni ca parramu e ndi giustamu” (chiedo umilmente scusa all’amico, lo straordinario Gioacchino Criaco, per come ho scritto la frase del suo dialetto). Al massimo si delega genericamente a inquirenti e operatori dell’informazione il compito di…fare l’eroe, ma senza appoggiarli apertamente. Di nascosto, semmai. Solo un periodo, però, fa invece spesso eccezione a tale regola ferrea: l’appuntamento con le urne. Un momento che definirei: “Agosto, moglie mia non ti conosco”.

È il caso – ad esempio – delle ultime Amministrative in cui si è generata l’unica frattura davvero seria, neppure lontanamente paragonabile allo scontro in atto pur pesante fra la compagine Abramo-Esposito-Ferro da una parte e Tallini dall’altra, ovvero la rottura senza precedenti iniziata nell’autunno del 2016 tra il Sergìun e un tycoon locale del calibro di Floriano Noto. All’epoca la chiamarono la “guerra dei supermercati” per il permesso ad aprire concesso da Abramo a un marchio concorrente proprio a poche centinaia di metri dalla sede principale del gruppo Noto da cui nell’estate 2018 scaturì tra l’altro un’intervista assai “pepata” di Abramo – rilasciata a “Il Fatto Quotidiano” – sul suo ritrovato rapporto di amicizia e stima con il Re dell’Alimentare e soprattutto i “contorni” delle “vecchie incomprensioni fra i due di un anno prima”. Dichiarazioni poi in parte ritrattate, pardon meglio argomentate, dallo stesso Sergìun secondo i ben informati all’uopo consigliato dagli alleati del tempo. Ecco allora che le doppie elezioni per Regioni e Comune potrebbero creare altri sconquassi salvo non arrivi prima Don Nicola. Chissà. Certo è che il clima si va già surriscaldando. E a tal punto da far tremare molti.