Catanzaro, la teologia della massomafia: silenzio e omertà

E’ ormai da tempo che cerchiamo di capire cosa è la massomafia e quanto questo fenomeno ha inquinato la vita della città di Catanzaro ed il suo futuro. Da ogni punto da cui siamo partiti con la narrazione di fatti e avvenimenti siamo sempre ritornati, quasi per una “volontà” divina al punto di partenza: il sistema Catanzaro.

E’ una corsa all’ultimo treno che allontana i titolari del sistema, Tallini e Abramo ed i tanti scagnozzi, sperano tutti, dalle tanto temute manette. Questo è il clima che si respira in città ormai da tempo mentre gli occhi di tutti restano puntati sul palazzo di giustizia e sulle azioni della Dda guidata dal procuratore Gratteri.

Catanzaro è la città della massomafia e la porta d’ingresso l’ha aperta l’operazione Basso profilo, svelando un mondo all’interno del quale si è trovato di tutto. Dall’imprenditore osannato ed invidiato ma colluso con le cosche di ‘ndrangheta, al politico anello di raccordo con il mondo di mezzo che usa la funzione pubblica per affari di famiglia, ai colletti bianchi ed ai servitori dello Stato il cui grado di infedeltà è da misurare con la scala Richter, quella che misura e certifica i terremoti. Nel mezzo c’è la massoneria, quella che il procuratore Gratteri definisce deviata e la Chiesa, intesa come istituzione che è collante ed allo stesso tempo concime del sistema, perché fornisce l’appoggio, la terza gamba, ad un meccanismo che fra ostia e incenso, continua a fare affari con il mondo sommerso incasellando i suoi uomini nei posti di potere e, come ha sempre fatto da almeno un decennio, orienta controllando la politica cittadina. Questa è l’azione della Chiesa locale sotto la giuda “illuminata” del vescovo Bertolone.

L’impressione che ne abbiamo ricavato è che tutta la polvere che viene sollevata dalle attività della Dda di Catanzaro, qualcuno cerchi di usarla per nascondere, mimetizzando, le vere intenzioni non tanto di chi sembra apparire nella catena di governo, ma di chi realmente ne guida i fili, quelli che legano la massomafia alla politica ed alla Chiesa di Catanzaro. L’agitazione è palpabile e si manifesta da una parte, quella della Chiesa, con un silenzio assoluto alzando il livello scenografico della liturgia e moltiplicando il coro all’interno delle basiliche cittadine. Dall’altra parte, quello proprio della politica, tutti si agitano in modo scomposto, pestandosi i piedi l’un l’altro, facendo passi avanti e tanti indietro, dicendo oggi quello che smentiscono domani.

Tutti sanno bene, ma lo negano puntualmente, che Gratteri è sulla strada giusta, che il sistema Catanzaro è al bivio della scomparsa per iniziativa della magistratura, che il suono delle sirene è di nuovo vicino e che il tempo è tiranno perché ormai manca. Il dialogo si è interrotto per causa di forza maggiore, il tintinnio delle manette molti lo risentono ecco perché la politica cittadina, quella che pensa di avere ancora una sua dignità ed una ragione, è ritornata a sproloquiare, parlano tanto per non dire nulla ed ognuno di loro si sente “l’unto del momento” con tutte le soluzioni pronte in tasca. Sono sempre “gli altri” che sbagliano. Ognuno pretende di avere la “golden share”, snobbando “il vicino di banco” di oggi che può diventare “vicino di cella” domani e, c’è sempre chi sdegna di condividere lo spazio (ormai residuo) con chi la pensa diversamente. Ormai non si tratta nemmeno di consensi, ma di momentanee adesioni motivati da scopi opportunistici, mentre Gratteri scandisce il tempo ed il prossimo time-out.

A Catanzaro sopravvive un grande equivoco, quello di sempre, quello che aveva delineato il giudice Paolo Borsellino: «si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati».

Non fa scandalo a questo punto almeno non in modo visibile restando nel solco dello sgomento e dell’indignazione silente di una città priva di spina dorsale, qual è Catanzaro sapere che esiste all’interno dell’amministrazione municipale una consolidata appartenenza alle obbedienze di loggia. Quella che si manifesta con gruppi politici fai da te, come Catanzaro da Vivere, l’aggregato che si regge usando i buoni uffici con la curia e con la sanità calabrese, che passa da Fondazione Campanella per arrivare ai nostri giorni al Sant’Anna Hospital, che si è cercato di fare fallire per comprarlo in saldo.

Da “Catanzaro da Vivere” a “Vivere usando Catanzaro” il passo è breve perché risponde ad una scenografia già vista negli anni dove tutti i riferimenti del gruppo masso-sanitario hanno recitato un ruolo ben definito che peraltro non ha sempre voluto bene alla città. L’attivismo di Baldo Esposito quando era direttore generale della Fondazione Campanella, quel mostro giuridico sanitario che ha lasciato sul campo un debito di 100 milioni di euro, è diventato un ricordo che non è pervenuto nella vicenda del Sant’Anna Hospital. I silenzi di Esposito, presidente della commissione regionale sulla sanità suonano per tutti i cittadini come un disimpegno “imposto” da quanti dietro le quinte, conosciuti a pochi, hanno tentato di uccidere una realtà sanitaria di primo livello per poi smembrarla e comprarla all’asta. Sono queste le sensazioni che tutti hanno percepito, soprattutto i dipendenti della clinica catanzarese ed i pazienti calabresi ormai stanchi di giochi sulla pelle della malattia, solo per rispondere ad una logica del denaro e degli amici massoni.

C’è poi il presidente del Consiglio comunale di Catanzaro, Marco Polimeni che promosso a “delfino”, almeno fino a ieri, dal sindaco Sergio Abramo, accarezza con una certa sicurezza di abbracciare quanto prima la fascia tricolore di primo cittadino. Anche lui è organico al sistema Catanzaro ed alla logica dell’obbedienza della lista/loggia “Catanzaro da Vivere” quella che traffica con la sanità calabrese e con gli speculatori di malattia. Non si dimentichi che è sempre lui l’ex dipendente del duo Parente e Poggi, conosciuti a Catanzaro come il gatto e la volpe, che ha forzato anche illegalmente la procedura cercando di regalare agli imprenditori riconosciuti in città come “Vivere Insieme” beni pubblici, i famosi suoli della speculazione Corvo-Aranceto sulla quale finalmente anche la procura di Catanzaro ha messo le mani…

Danilo Russo

Tutti cultori delle conserve e della dispensa, dove di nascosto si immergono le mani nella marmellata, quella degli altri sempre! Ecco che arriva il “figlio” prediletto della curia locale, l’assessore al personale Danilo Russo, inventore della “parentopoli” minimalista nel comune di Catanzaro, quella che nel silenzio fra una preghiera laica ed un cero votivo ha favorito l’assunzione della cugina in un asilo comunale, la dottoressa Erminia Marta Marino. Ma, cosa volete che sia! E’ l’esigenza di rispondere ad un bisogno della famiglia, quella tradizionale, quella ecclesiale di vita consacrata e quella del cappuccio e grembiule, quindi non è tema di scandalo perché questo è il sistema Catanzaro, benedetto e redento in via dell’Arcivescovado nei palazzi della curia.

Il cerchio si chiude con Tonino De Marco, il “direttore scientifico” del programma di Agenda Urbana, l’uomo che con cadenza annuale rimbalza dal comune di Catanzaro al provincia di Catanzaro e viceversa, per conservare un incarico “gratuito” aggirando la norma della impossibilità di proroga. Quel Tonino De Marco “candidato” a sindaco del “piccolo centro” nelle elezioni amministrative del 2017, l’esperimento politico proprio di Catanzaro da Vivere e dei suoi maggiorenti. Mentre il progetto politico abortiva, come abbiamo visto nelle intercettazioni di Basso profilo, per diverse motivazioni e per l’azione esterna di soggetti al momento coperti da “omissis” e riferibili alla massomafia, Catanzaro da Vivere ricollocatosi al fianco di Abramo ha continuato a ramificarsi nell’Amministrazione comunale, replicando il “metodo di assunzione” lo stesso usato da De Marco per garantire la dottoressa Rosalba Gallo che è l’ultima beneficiaria del sistema Catanzaro, da noi rintracciata mutuando il metodo Wiesenthal.

Queste vicende come le altre sono ormai nella conoscenza della procura di Catanzaro, quella che proprio ultimamente ha passato di aspirapolvere il Settore Politiche Sociali, dove c’era stata la distrazione sulla pratica dell’assessore Russo a favore della cugina, dove esistono altre pratiche ben più scottanti, dove l’intreccio con consiglieri comunali “faccendieri” è noto, ma che oggi diventa di conoscenza anche dei “Sostituti” del procuratore Gratteri, che hanno fatto fare anticipatamente le “pulizie di primavera” negli uffici comunali. Chi vivrà vedrà!

Non siamo in un gioco di società come il Monòpoli, non è un attività ludica aperta alla partecipazione collettiva, perché resta un “gioco protetto” dove si accede essendo “liberi muratori” o perché destinatari dell’invocazione di favore e di benevolenza, quali figli prediletti e benedetti della curia cittadina. Siamo ritornati alla ragione di tutto dove la Chiesa è postulatrice di massomafia: nel nome del padre, del figlio e…del compasso.

Ma, i cittadini di Catanzaro come quelli di Cosenza e di ogni altra città calabrese territorio di conquista della ‘ndrangheta e della massoneria, non sono sempre e solo “inquilini”, invadenti e magari rumorosi. Sono “i cittadini” e per questo, per una ritrovata dignità che quotidianamente veniamo contattati ed informati, con tanto di documenti, di quanto possa essere ormai debordata la presenza criminale, anche dei colletti bianchi, nella storia e nel futuro delle nostre comunità. In questa narrazione degli ultimi o dei diseredati di ogni diritto civico, la Chiesa ha il suo ruolo, la sua funzione non più fisiologica, ma patologica quella che denuncia proprio Papa Francesco quando afferma che: “la corruzione spuzza!”.

Siamo ritornati al sistema Catanzaro, la cui lettura ci è stata facilitata dal manuale che è stata l’indagine Basso profilo, almeno nella sua prima edizione, fatto salvo la possibilità di ulteriori capitoli, quelli che si sussurra siano in fase di lancio.

L’effetto domino ci ha portato ad inquadrare come la Chiesa (l’istituzione) sia impantanata fino al pallio nella zona d’ombra che ha condizionato la vita della città di Catanzaro. Abbiamo trovato vescovi che riuscivano ad addomesticare le verifiche tributarie della Guardia di Finanza, usando i buoni uffici con qualche generale disponibile. Quella che doveva essere la “vigna del Signore” è diventata una coltivazione degna del miglior cartello colombiano, non certo per il prodotto coltivato, ma per la decadenza morale quella che inesorabilmente è diventata la caratteristica degli infiltrati con il clergyman. Mafia o massomafia poca è la differenza sostanziale nella città capoluogo di regione. Sono fenomeni che ci sono e che nessuno vuole vedere, è la caratteristica del sistema Catanzaro, dove anche l’istituzione Chiesa attraverso la curia cittadina ha recitato e recita un ruolo: quello di aver abbandonato il “cammino del buon pastore” per diventare buon speculatore.

Oggi in molti sono nella trincea della difesa. La politica “affaristica” che ancora sta leccandosi le ferite di Gratteri e sta adottando il metodo del sottotraccia; le obbedienze della massoneria incriccata con la politica e con la ‘ndrangheta, quella dei colletti bianchi e dei collettori d’impresa e soprattutto la Chiesa che al pari delle “logge” difende la sua segretezza con la regola del silenzio, uno stratagemma diseducativo rispetto alla prescrizione di trasparenza e di insegnamento. Siamo alla teologia della massomafia: silenzio e omertà.

Non ci ha scandalizzato aver trovato traccia della storia della Chiesa calabrese e di quella catanzarese nei faldoni dell’inchiesta Basso profilo, perché coppola, cappuccio e zucchetto sono gli elementi cardine della storia del sistema Catanzaro: quel know how esclusivo dove il Vangelo si contamina con i santini della “massomafia” per un esigenza di cassa ed il pulpito diventa palcoscenico utile da dove dispensare “pizzini”.

Nella captazione del 21 marzo 2018 effettuata dalla Guardia di Finanza, Antonio Gallo, il principino,  l’imprenditore anello di congiunzione fra la politica cittadina e le ‘ndrine e le locali del crotonese, parla con don Giovanni Scarpino, giornalista pubblicista, vice direttore del settimanale della Conferenza Episcopale Calabra “Calabria Ecclesia Magazine” e redattore del giornale della diocesi metropolita di Catanzaro-Squillace “Comunità nuova”. Nella stessa diocesi di Catanzaro riveste il ruolo di Cancelliere nella Curia metropolitana di Catanzaro-Squillace e di parroco di “San Massimiliano Maria Kolbe”, oltre che docente nell’Istituto Teologico Calabro “San Pio X” di Catanzaro e Direttore regionale dell’Ufficio Comunicazioni e Cultura della CEC (Conferenza Episcopale Calabra), oltre che riferimento del “Movimento Apostolico”. Non è certamente l’ultimo prete della Chiesa catanzarese, ma il collaboratore più diretto e cancelliere della curia del Vescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone presidente della Cec (Conferenza Episcopale Calabra).

Parliamo di “panni sporchi” della curia catanzarese, quelli che certificano la relazione fra ‘ndrangheta e colletti bianchi, tramite Antonio Gallo detentore dei rapporti pericolosi con preti e prelati, come don Giovanni Scarpino ed il parroco di Vallefiorita, Marcello Froiio in un incontro all’interno di una gelateria a Roma. Non si tratta di una necessità spirituale del Gallo, ma è invece una richiesta di aiuto ai prelati nella convinzione di avere il fiato sul collo da parte degli investigatori guidati da Gratteri. È lì che Gallo si confessa. E il don subito lo rassicura raccontando un episodio che ha del tragicomico. “A questo qua – un sacerdote della diocesi di Catanzaro, don Nicola Rotundo – lo tartassavano…sono stati tre o quattro mesi là…chiusi…lui gli dava una stanzetta…quelli si chiudevano…no?…Lo abbiamo detto al Generale…il Vescovo…che era Ciliberti.. lo disse al Generale…vedi che questa è un’azienda perbene”…discorso chiuso e verifica della GdF conclusa nei confronti della Reti Sud di Catanzaro! “Sentire che il prelato aveva interessato un vescovo perché interpellasse un generale della Guardia di Finanza per intervenire sulla pattuglia – annotano gli investigatori – lascia quanto meno sbigottiti. Come sbigottiti lascia la facilità con cui gli indagati potevano avvicinare altri ufficiali della Gdf, da interpellare all’evenienza”.

Nicola Rotundo

Non scandalizza capire che alcune vicende hanno una speciale benedizione se trovano la riconoscenza dei riferimenti importanti della Chiesa calabrese, è un metodo riconosciuto. Il vescovo che si interessa alla conclusione di una vicenda tributaria di un suo sacerdote – don Nicola Rotundo già responsabile import-export dal 1996 al 2004 della Reti Sud srl – è Antonio Ciliberti, già vescovo della curia di Catanzaro-Squillace e predecessore dell’attuale presidente della Cec, Vincenzo Bertolone. Tutto viene narrato come se fosse un fatto di normalità, come se la curia locale oltre a curare le anime, curasse pure gli interessi economici dei suoi figli prediletti dalle verifiche della tributaria. Metodo consolidato, una specie di inquisizione al contrario dove la violenza della Chiesa non colpisce i nativi delle nuove terre, bensì il valore della trasparenza e dell’uguaglianza delle istituzioni, in tutte le declinazioni, nei confronti dei cittadini. Il vescovo Ciliberti era un affezionato ed un cultore “degli interessi della curia” rispetto alle istituzioni democratiche, fu anche indagato per false dichiarazioni al Pm, posizione poi stralciata, in un procedimento di concussione che riguardava un assessore della giunta Abramo, in relazione ad un affidamento alla Fondazione Città Solidale.

L’interessamento della Finanza sugli affari della famiglia Rotundo e di don Nicola, diventano il paradigma di come funziona il sistema Catanzaro e di quanto possa essere influente e determinante la “chiamata” di Santa Romana Chiesa, quella che ferma l’azione della macchina dello Stato e soprattutto discrimina in base ad un appartenenza, mutuando una logica di fratellanza non solo in Cristo, ma anche nel compasso. Don Nicola Rotundo è un sacerdote della Diocesi di Catanzaro-Squillace, ha conseguito il Dottorato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana in Roma ed è attualmente Docente Associato nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione S. Tommaso d’Aquino in Napoli e presso l’Istituto Teologico Calabro in Catanzaro, quindi non è certamente uno sprovveduto, rappresenta la curia e l’Ordinario di Catanzaro-Squillace – il vescovo – nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Betania ONLUS da maggio 2017, quella che resta la realtà sanitaria-imprenditoriale più importante della curia catanzarese e nel panorama dell’assistenza convenzionata al Servizio Sanitario Nazionale.

Nessuna vera riforma potrebbe mai essere costruita su questo fradiciume. “E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi altrimenti il vino nuovo spaccherebbe gli otri” (Luca 5, 33-39)

Facciamo un passo indietro per necessità di riassunto e torniamo ad un punto fermo, che non è un inciso, ma una realtà consolidata: la curia dell’Arcidiocesi di Catanzaro è un apparato organico che non solo cura le anime dei fedeli, ma in particolare cure le finanze e gli investimenti più redditizi.

Molte sono le necessità della curia cittadina. E’ presente nelle dinamiche politiche della città con i suoi assessori allevati alla regola della croce e del cappuccio, si interessa di speculazioni anche immobiliari, come avremo modo di analizzare nel seguito, ma soprattutto gestisce quello che è il business del futuro, la spina dorsale di ogni affare in Calabria, tutto quello che si coniuga con sanità e nel particolare con terza età o anziani e disabilità. Ecco che viene in evidenza Fondazione Betania Onlus, una delle realtà socio sanitarie e socio assistenziali più importanti della città e della regione.

Ma ci fermiamo qui, per il momento, perché proprio in queste ore la Fondazione Betania è tornata alla ribalta delle cronache per la “scalata” di uno dei suoi principali protagonisti.