Catanzaro, processi e mazzette: cosa nasconde il silenzio di Borrelli?

La prima regola della casta dei magistrati è: cane non mangia cane. Coprire i “colleghi che sbagliano” fa parte dei doveri che ogni fratello magistrato è tenuto ad osservare. I panni sporchi, se serve, si lavano in famiglia. Per Catanzaro e Cosenza, veri e propri verminai della giustizia corrotta, è competente la procura di Salerno. Nel corso degli anni ha fatto epoca la battaglia di magistrati come Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani e Aldo Apicella, che avevano sostenuto Luigi De Magistris nel gran casino di Why Not. Ma anche loro erano finiti sotto la scure del Csm dei poteri forti. Ma è stata solo una lodevole eccezione in un contesto di tolleranza nei confronti dei magistrati corrotti, che negli anni hanno fatto calare una cappa sulla giustizia.

Da qualche anno a questa parte pare che le cose siano cambiate. Infatti è oramai noto a tutti che alcuni pm, su tutti Masini e Senatore, è da molto tempo che lavorano a diverse inchieste che riguardano la diffusa corruzione nel distretto giudiziario di Catanzaro. Sono almeno 15 i magistrati iscritti nel registro degli indagati per corruzione e collusione. Inchiesta di cui, però, ed è arrivato il momento di dirlo, non si vede mai la fine. Capiamo che le indagini non sono semplici – anche se è bastato veramente poco per incastrare un personaggio come Petrini che agiva quasi alla luce del sole tanto si sentiva intoccabile, un atteggiamento in uso a tutti i corrotti al pari di Petrini –  ma dopo tanti anni di investigazioni un minimo di “risultanza” i cittadini se l’aspettano. Invece pare essere calato il silenzio su quella che doveva essere la mamma di tutte le inchieste sulla corruzione dei magistrati in Calabria. Specie dopo lo scandalo Palamara. E allora come spiegare l’immobilità della procura di Salerno rispetto a tutte queste inchieste? Perché nessuna di queste è arrivata  a conclusione?

Di sicuro, per quel che ci riguarda, c’è la serietà e l’onesta di Masini e Senatore, che abbiamo capito fanno quello che possono. È evidente che c’è qualcuno che frena, ma chi è?

Avevamo sperato che con l’arrivo del procuratore capo Borrelli “il tutto” avrebbe subito una accelerazione, ma così non è stato, l’impressione, invece, è quella di una procura che ha tirato il freno a mano. L’arrivo di Borrelli pare abbia avuto l’effetto contrario a quello sperato. L’accelerazione sperata, in virtù del suo passato lavorativo, che tutti si aspettavano, non c’è stata.

Già perché il procuratore Borrelli, finito suo malgrado nella chat di Palamara, ha lavorato per quasi 5 anni come procuratore aggiunto proprio nella Dda di Catanzaro, dal 2009 al 2014, all’epoca guidata dal procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo, quello che tuonò contro la fuga di notizia sui verbali del pentito Foggetti, annunciando una rigorosa indagine interna che non è mai partita. Cane non mangia cane.

Borrelli è stato collega per tanti anni di Luberto, Pierpaolo Bruni, Bombardieri. Di cose si presume ne abbia viste. Borrelli conosce bene il lavoro di quegli anni: il sistema Cosenza su tutti. Così come conosce i movimenti di Luberto, allontanato dalla Dda perché scoperto a nascondere verbali riguardanti intercettazioni di politici suoi amici. Difficile pensare che un investigatore del calibro di Borrelli non abbia mai notato movimenti strani. Che poi sono quelli che oggi la procura di Salerno da lui guidata sta “analizzando”. Borrelli era il braccio destro dell’allora procuratore capo Lombardo, tutto passava dalle sue mani. Compreso il lavoro di Luberto e Bruni. E dunque sa bene i contenuti dell’inchiesta avviata da Bruni sul Sistema Cosenza. Così come sa bene in che stato versa ad esempio il tribunale di Cosenza sotto il profilo della corruzione. Tutte informazioni importanti per le inchieste che la sua procura sta conducendo. Le avrà usate e condivise con i colleghi per accelerare la chiusura delle indagini sulla corruzione dei magistrati, oppure no?

Quello che a noi sembrava un valore aggiunto, il bagaglio di conoscenza di Borrelli, pare essere diventato un ostacolo al prosieguo delle inchieste. Almeno così a noi pare. E la prova sta tutta nell’inerzia dimostrata dalla procura di Salerno di concludere per lo meno una vicenda, come quella di Manna, che agli occhi della gente grida “vendetta”. La gente dice: se non sono stati capaci di prendere Manna che è ancora sindaco della città di Rende, beccato letteralmente con le mani nella marmellata, figuriamoci gli altri di cui non si sa niente. I corrotti possono dormine su sette cuscini. Anche qui cane non mangia cane. Ma questa è solo voce di popolo, una voce che ci auguriamo i fatti smentiscano presto.