Questa mattina è morta nella sua casa di San Nicola Arcella, in Calabria, Mabel Bocchi, una delle più grandi atlete italiane di ogni tempo. Aveva 72 anni ed è stata stroncata in pochi mesi da una malattia crudele.
di Giulia Arturi
Fonte: Gazzetta dello Sport
Una, due, tre, quattro vite. Mabèl Bocchi, leggenda della pallacanestro femminile, ha fatto la storia dello sport e poi è passata oltre. È morta oggi, a 72 anni, a San Nicola Arcella, in Calabria, dove stava trascorrendo il buon ritiro: guardando il mare, fumando uno dei suoi sigari, circondata dai suoi amati animali. Una grave malattia l’aveva colpita pochi mesi fa e ha avuto un epilogo purtroppo rapido. Mabèl è stata una delle giocatrici più forti di tutti i tempi: se dite la più forte, nessuno vi guarderà strano. Di atlete così se n’erano viste poche, anzi nessuna, in Italia. Ci ha lanciato nel futuro: era una lunga che ancora non esisteva. Alta, dinamica, fisicamente inarrestabile, saltava talmente tanto che l’atletica provò a strapparla al basket. Ha dominato gli anni ’70 in Italia e in Europa. Dici Bocchi, dici Geas. È stata la protagonista di uno dei cicli più vincenti del basket: dal 1970 al 1978 le rossonere vinsero otto scudetti e la prima storica Coppa dei Campioni dell’intero sport femminile italiano. “Io c’ero”. Ancora oggi, a Sesto, se parlate del Geas, vi diranno: “Certo, Bocchi e compagne. C’ero anche io a Nizza nel 1978”. 30 maggio 1978: quella finale che ha segnato la storia di una città e dello sport. Nata a Parma e cresciuta ad Avellino, la mamma Carmensita era argentina: da qui il nome Mabèl (rigorosamente con l’accento sulla e). Poi Milano: fu portata a Sesto a 18 anni da Maumary, l’imprenditore artefice di quella squadra. Chiuse la carriera a Torino, ormai tormentata dagli infortuni: sul parquet aveva lasciato tutto.
Di carattere — Grintosa e irriducibile, in campo e fuori, ha sempre difeso le sue idee con ardore e orgoglio. Non ha mai sopportato le ingiustizie. Da sindacalista-giocatrice lottò per i pari diritti nello sport femminile che in quegli anni abbandonava la sua dimensione pionieristica e cominciava a imporsi. La diaria uguale tra uomini e donne, il medico anche per la squadra femminile. Se oggi ci sembra scandaloso il contrario, è anche merito suo, che si prese pure una squalifica. In Nazionale ha giocato 113 partite, segnando oltre mille punti. Dopo quei faticosissimi raduni a Cortina, correndo in montagna, su e giù, lei e la sua amica di sempre, il playmaker Rosi Bozzolo, ogni tanto di nascosto, si concedevano l’autostop per tornare in albergo. In azzurro vinse il bronzo europeo del 1974 e ai Mondiali di Cali, nel 1975, in Colombia — dove di fatto è l’MVP — arrivò la consacrazione.
Pioniera — Gli schemi non li ha rotti solo nel paradigma sportivo. Si era laureata all’Isef a 21 anni (quella che ora è la facoltà di Scienze Motorie), diventando subito dopo una giovanissima docente universitaria. Dopo la pallacanestro, la sua nuova vita è cominciata ancora da protagonista: presentò la Domenica Sportiva, divenne un volto popolare in tv. Per tanti anni è stata preziosa collaboratrice della Gazzetta dello Sport e del Corriere della Sera. È stata consigliera comunale e membro della Giunta di Sesto San Giovanni, pittrice, artista materica, e il suo amore per gli animali era sconfinato. Le sue mille acconciature parlavano di lei: le piaceva cambiare, i suoi capelli seguivano il suo umore. E gli amori, come lei, sempre liberi: “Sono sempre stata un’avventuriera, ribelle, la vita borghese non mi piace”, raccontava alla Gazzetta dello Sport. Si è fidanzata anche con un guerriero masai: un’esperienza, ma che le fece scoprire l’Africa. Verrebbe voglia di prendere il sigaro e ascoltarle tutte queste storie, che raccontava ridendo di gusto. Qualche anno fa si era ritirata in Calabria dove vive la sorella Ambra, che lascia insieme al fratello Norberto e ai nipoti. Non si perdeva un match di Sinner: il tennis l’aveva conquistata. Così come la pace del suo giardino e quella vista, dalla casa sulla collina: l’azzurro del mar Tirreno la sagoma dell’Isola Dino. Riposa in pace, cara Mabel.









