“Con il ponte la mia Messina sarà ancora più isolata” (di Nadia Terranova)

di Nadia Terranova

«Siciliana di dove?» mi hanno sempre chiesto, e poi: «Ah, di Messina! Ci sono passato».

Su “Messina-ci-sono-passato” ho scritto quattro romanzi, alcuni racconti, innumerevoli volte mi sono espressa per: chiedere che il paesaggio dello Stretto diventasse patrimonio Unesco, e chiedere ai miei interlocutori se sapevano che a “Messina-ci-sono-passato” ci sono due tele di Caravaggio, numero superiore a Siracusa (che di tele ne ha una, e ne ha saputo fare turismo) e a Palermo (che dopo il furto del 1969 non ha più la sua).

Quando associo Caravaggio a Messina l’interlocutore-ci-sono-passato si smarrisce: «Ma come, da quella bretella bruttina, inquinata, incasinatissima, che ho fatto mentre scappavo verso Siracusa, verso Palermo, si diramavano strade interessanti?». Vedi cosa sfugge agli occhi del turismo predatore?

Così, l’opposizione mia, di tanti, di tutti – il movimento è sempre stato trasversale, partiticamente, anche se tanti compagni di cortei e bandiere di ieri vicini a questo governo oggi tacciono, «ed è una morte un po’ peggiore» – l’opposizione mia, dicevo, e di tanti, è sempre stata: invece del ponte. Tutto quello che potremmo fare non perché a Messina si passasse ancora più veloci, ancora più sbuffanti, ma perché si avesse voglia di fermarsi e di capirla.

E ogni tanto ritorna, come oggi, col mio telefono impazzito come ciclicamente accade ogni volta che un politico, ieri Berlusconi oggi Salvini domani chissà, si sveglia e si ricorda che Messina esiste perché una volta c’è passato, e non solo esiste ma sai quanti bei soldi può portare in Lombardia, e sai come si può asfaltare con un bel ponte che porti dritto, più veloce possibile, a Siracusa o a Palermo o chissà dove, e pace per i suoi Caravaggio, pace per la sua spiaggia ritenuta la più bella d’Italia dal National Geographic (i cantieri la distruggeranno per sempre), pace per gli espropri, per la città che morirà definitamente dopo il sisma del 1908, ah no, scusate: ci saranno i cantieri, i posti di lavoro.

Certo. Messina come un cantiere, ridiamo per non piangere, e sapete perché? Perché Messina è un cantiere dal 1908, uno di quei cantieri eterni ai quali non si è mai fatto prendere forma, per il delitto politico dell’abbandono e del disinteresse che oggi si trasforma in colonialismo selvaggio.

Leggo che alcuni “No Ponte” stanno cedendo, magari Salvini ha ragione, dicono e scrivono, potenza del non essersi mai davvero occupati di una città nella sua interezza: di aver sempre pensato a Messina come ci-sono-passato e ritenere, oggi, che in fondo è meglio passarci più veloce. «Saggia sei tu che sola osi il contrario?» sta chiedendo Creonte ad Antigone.

La risposta la sapete. Non si può che stare dalla giusta parte anche quando altri corrono alla sirena del potere e dell’acquiescenza. «Io son poi da solo, e loro sono tutti», dice l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij (la traduzione è di Paolo Nori). Invece del ponte, noi siam poi da soli – di là sono tutti, a passare sopra ai luoghi, alle teste, alla bellezza e alle esigenze vere di una città che oggi è di nuovo dolorosamente trattata come colonia selvaggia.