Corap, da tragedia a farsa: le gravi colpe di Oliverio, “don” Irto e dei colletti bianchi

Tragedie, farse e commedie dello scenario CORAP

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 22/2021, ha inesorabilmente bocciato la legge regionale Calabria n. 47/2019 in virtù della quale (si fa per dire) la Regione Calabria per mano della gloriosa giunta Oliverio (compreso il presidente del Consiglio “don” Nicola Irto) aveva gettato il CORAP sua creatura nel baratro della liquidazione coatta amministrativa.

Ma come nasce l’ennesima tragedia/commedia inscenata dalla Regione più sbrindellata d’Italia?

Eravamo arrivati al punto in cui il commissario straordinario del CORAP Caldiero si era presentato dal Presidente del Consiglio Regionale “don” Nicola Irto convincendolo che la liquidazione fosse l’inevitabile epilogo cui era destinato il CORAP.

Cioè, dopo essere stato nominato dal governatore Oliverio commissario straordinario (il quinto!) di quell’Ente su base fiduciaria, riteneva di dover spingere lo stesso ente verso il fallimento, ben sapendo che egli stesso sarebbe stato chiamato a vestire i panni del liquidatore.

Cosa questa che, oltre ad essere di pessimo gusto, presentava almeno due profili di illegittimità. Il primo relativo all’incompatibilità fra il ruolo di amministratore e quello di liquidatore di un qualsivoglia organismo; il secondo connesso al carattere fiduciario della sua nomina che gli avrebbe impedito (come, in effetti, è stato) di chiamare la Regione alle proprie responsabilità (che sono tante e gravi!).

Quello di Caldiero, in realtà, non era solo il tentativo di mettere una pietra tombale sugli ultimi sei anni di cialtronesche ruberie perpetrate ai danni delle ex ASI, ma anche una concreta e succulenta prospettiva: compensi d’oro per il liquidatore, un ingente patrimonio da svendere nelle sue parti più appetite, infrastrutture da cedere in mano privata o para-pubblica ed il resto… gettato alle ortiche. Con buona pace dei dipendenti e dei creditori. Con buona pace anche della storia ultra sessantennale delle ASI, volute nel lontano 1957 dal Presidente della Repubblica che le istituì con proprio decreto. Ma la Calabria dei mostri è questa.

Vediamo, però, di mettere un po’ di ordine nella intricata vicenda.

La Regione, celate le proprie vere intenzioni dietro una legge-farsa (la legge regionale 24/2013), fa il proprio dirompente ingresso nelle ASI nell’agosto del 2013 con la nomina del primo commissario targato Scopelliti.

La stessa Regione, per mano del detto commissario, estromette praticamente i direttori generali ASI nonostante la norma dica ben altro e prende a spadroneggiare per i successivi diciotto mesi, calpestando persino la legge-farsa appena approvata.

Dopo un po’, arriva il Lupo della Sila o Palla Palla se preferite, che, lungi dal fare chiarezza sulla legge-farsa e sui suoi veri autori che conosce perfettamente, procede alla nomina del secondo commissario; un inutile servo suo omonimo, ben presto costretto alle dimissioni perché -sebbene inutile- non era un vero e proprio criminale.

Oliverio passa quindi alla nomina del terzo commissario, una donna, Rosaria Guzzo, all’altezza del suo capo e silana come lui.

La signora spende e spande per ben tre anni e diviene famosa per le sue missioni in Marocco dove, secondo il suo tristo cervello, può intessere rapporti commerciali a favore delle imprese calabre.

Si reca a Marrakech e pure a Casablanca accompagnata dal suo fido scudiero, l’ingegnere vibonese Filippo Valotta, e pensa bene -Madonna mia!- di allestire una sede africana del CORAP con tanto di contratti di locazione ed acquisto di arredi.

L’intraprendente manager, viene bloccata nelle sue ambizioni solo perché coinvolta in Lande Desolate  e sospesa dai pubblici uffici.

Ma, niente paura! Palla Palla passa alla nomina di un quarto commissario, l’ingegner Salvino che non vede l’ora di scappare, assorto com’è da ben altro incarico. Salvino, infatti, fa qualche altro piccolo danno e va via.

E’ sempre Oliverio che procede, con solo qualche annetto di ritardo, alla nomina del direttore generale del CORAP, organo previsto dalla legge-farsa, individuandolo nel braccio destro del commissario Guzzo: lo stesso ingegner Valotta, distintosi evidentemente per la sua particolare resilienza comprensiva di pelo sullo stomaco e assai appoggiato dall’assessore-professore Russo.

Il neo Direttore, dopo aver strepitato per avere le stellette, si dimette dopo poco, terrorizzato dalla possibilità (che qualcuno gli riferisce) che la Magistratura, rompendo gli indugi, sia prossima ad  intervenire per far luce nel groviglio di inconfessabili assurdità di cui egli stesso è stato co-autore

Oliverio, temendo a buona ragione un crollo emotivo del neo DG, lo surroga alla svelta, ricorrendo di nuovo ad un commissario (il Caldiero, per l’appunto), dimentico che dalla procedura di selezione avviata per la scelta del direttore generale, per quanto farlocca, residua una graduatoria dalla quale sarebbe suo dovere attingere per sostituire il dimissionario direttore.

Giorgio Sganga

Ma questo sarebbe troppo normale e, quindi, quale subentrante del dimissionario direttore generale del CORAP, a costo di commettere un bell’abuso di ufficio, viene preferita la nomina di un quinto commissario: l’astuto dottor Sganga di Paola che, però, per la prima volta nella sua vita (e questo dà la misura del tutto), nonostante Oliverio abbia già firmato il decreto, non accetta l’incarico.

Sganga, quindi, prima di togliere il disturbo, tratta la nomina del suo compagno di una vita, Caldiero, sul quale offre le più ampie garanzie: un professionista tosto, esperto liquidatore, di casa in parecchi tribunali dai quali entra ed esce con particolare disinvoltura. Un nome, insomma, una garanzia.

Oliverio, convinto anche da Irto, sottoscrive la nomina di Caldiero, ormai certo che i guasti prodotti dalla sua giunta non prospettano che una soluzione: la liquidazione coatta; ovvero un bel colpo di spugna sugli ultimi sei anni, quasi cinque dei quali passati sotto il suo comando. Caldiero, in effetti, in tale prospettiva, sembra l’uomo giusto al posto giusto.

Caldiero è anche dirigente del Pd e non ci pensa neanche a richiamare la Regione ai propri doveri né ad approfondire gli accadimenti legati alla gestione commissariale che lo ha preceduto.

Non si fa domande e non cerca risposte e, attorniato dagli ex maggiordomi della Guzzo, in segno della più totale continuità, procede come un treno verso la liquidazione coatta, non senza prima pubblicare una manifestazione di interesse per ricercare un “esperto” in grado di rendere parere sull’applicabilità al CORAP di “una soluzione negoziata, eventualmente anche di tipo concorsuale”.

Poi, se ne dimentica, rompe gli indugi, e scrive egli stesso una norma di modifica della legge-farsa (la n. 24/2013) che introduce l’istituto della liquidazione coatta amministrativa, prima inesistente.

Si tratta, per l’appunto, della legge regionale 47/2019 cassata l’altro ieri dalla Consulta.

Ma torniamo per un altro momento al nostro excursus.

La legge n. 24 approvata nel 2013 (la cd legge sull’accorpamento delle ex ASI) dall’allora maggioranza del Consiglio regionale il cui obiettivo -specchietto per le allodole- era quello di promuovere una <<maggiore efficienza del sistema amministrativo regionale>>, non avrebbe potuto a quel tempo contemplare la liquidazione coatta perché sarebbe stata una contraddizione in termini.

E, infatti, la esclude: “senza che sia esperita alcuna procedura di liquidazione –art. 3, c. 7 della legge-farsa”.

Però, a distanza di sei anni dalla nomina del primo commissario targato Scopelliti, qualcuno pensa che le finalità della legge 24/2013 siano cadute nel dimenticatoio e che non sarà difficile convincere l’ignaro Consiglio regionale che ˂˂SI!˃˃, la liquidazione coatta ben si confà ai “criteri di razionalizzazione, efficienza, economicità e specializzazione dell’attività amministrativa”, presupposti fondanti di quella legge-farsa.

Ma -Santo Iddio!- non sarebbe stato più “economico” annoverare le ASI nell’elenco degli enti per i quali la legge-farsa ha previsto la liquidazione?  No, non sarebbe stato vantaggioso. Meglio prima spolpare un po’ le famigerate ASI e -dopo- con calma, avviarle al triste epilogo sperando nell’ennesima distrazione del governo nazionale. Tanto, si sa, nell’immane confusione che regna sovrana al decimo piano, tirare il bandolo della matassa è pressoché impossibile: anche questo, in fondo, è un metodo di lavoro come un altro.

D’altronde, laddove avessimo potuto contare su una Giunta un minimo “efficace, efficiente e trasparente”, non saremmo arrivati a questo punto. Infatti, la stampa non ha fatto mistero delle ruberie permesse ai “commissari nominati”, ma nessuno ha mosso un dito se non qualche sparuto consigliere regionale le cui interrogazioni sono rimaste lettera morta. Liquidate coattivamente anche quelle, senza rimorsi.

I marescialli di Oliverio, insomma, hanno disposto di tutto: dai terreni consortili devoluti spesso in “regalie”, alle infrastrutture (com’è avvenuto nel caso del depuratore di Gioia Tauro che, da solo, avrebbe potuto sorreggere tutte e cinque le ex ASI); dalle sue risorse finanziarie (si pensi al denaro sprecato per allestire la sede CORAP marocchina di Marrakech!) a quelle umane (dipendenti promossi o bocciati o finanche sospesi a seconda della fede e/o delle attitudini).

Tragedie e commedie, insomma, che hanno tutte un minimo comune denominatore: l’interesse di cosche e di gruppi di vario potere a cui certe ASI stavano sullo stomaco. Vedi, ad esempio, la IAM (nelle cui mani è caduto il depuratore di Gioia Tauro, per il quale la Guzzo ha sottoscritto un “concordato in continuità” che pesa sul Bilancio per ben 12 milioni) o l’ex Assessore regionale Nola, sottoscrittore di un atto transattivo che gli ha definitivamente passato i terreni dell’ASI cosentina in agro di Castrovillari, occupati abusivamente per anni dallo stesso ex Assessore. Solo quest’ultimo particolare trattamento sarebbe stata materia di ben altra indagine che non quella di recente promossa dalla Procura di Gratteri sugli stipendi dei tre dirigenti amati dalla Guzzo.

Storie tristi, insomma, soprattutto se si pensa che la Calabria ospita il Presidente della Commissione Antimafia, il senatore Morra, il quale, avendo capito che la ‘ndrangheta ˂˂non è piovra, ma camaleonte˃˃, evidentemente non ne distingue il colore quando l’animale si infiltra nelle istituzioni.

Quindi, a fine 2019, dopo anni in cui non è stata data una sola risposta alle molteplici interrogazioni degli onorevoli regionali che chiedevano conto su che diavolo stesse succedendo nel CORAP, Caldiero convince tutti a tornare in Consiglio perché questo copra le malefatte dei marescialli di Oliverio; esponendo così, tra l’altro, i consiglieri ad una più che prevedibile azione per danni.

Troppo facile invocare il mantenimento dei livelli occupazionali e, nel contempo, avviare l’Ente verso la liquidazione. Quando le tragedie si ripetono si cade nella farsa, e in questo caso il “re” della presa in giro è stato interpretato -stavolta- dal Presidente Irto. Quello stesso Irto che, affermando (parole sue) che ˂˂il Consiglio regionale si è sempre più legato ai simboli della fede religiosa˃˃, dimentica, forse, che la fede a cui deve sentirsi più legato –anzi, obbligato- è quella pubblica.

Nicola Irto

Irto, né giurista né economista, non solo si convince ma diventa paladino della soluzione circa la grave situazione creata e voluta dai marescialli di Oliverio, e quindi non ci pensa un attimo a gettare sul lastrico 100 dipendenti, già fortemente penalizzati dal ritardato introito degli stipendi e, quel che è più grave, dal mancato versamento dei contributi previdenziali (la qual cosa, come sappiamo, nel resto d’Italia, costituisce un reato grave).

Davvero il rappresentante della massima assise della Calabria (aspirante candidato a governatore nelle prossime elezioni regionali) ha potuto reputare che buttare i creditori (quelli autentici) in un lago di sangue fosse azione degna di quella che ancora ci ostiniamo a chiamare “l’istituzione regionale”?

Ci avviamo alla conclusione con una domanda: davvero per la Regione non esisteva un’altra soluzione? No, perché l’alternativa era quella giusta (e quindi da scartare) ovvero l’obbligo di riconoscere il proprio dovere. Questo è racchiuso in poche parole: ˂˂Ripiano del debito e Piano di risanamento garantito˃˃.

Adesso la sentenza della Consulta che ha squarciato il velo dell’omertà in cui sono avviluppate tante, troppe, vicende regionali (ivi compresa la vicenda dell’accorpamento delle ex ASI), chiamerà alle proprie responsabilità più di uno: dal Presidente agli assessori e dirigenti dei dipartimenti vigilanti fino ai consiglieri che hanno permesso la devastante pagliacciata.

Ma gli impuniti che ci governano avevano pensato -cose da pazzi!- di rinominare Caldiero commissario straordinario del CORAP redivivo; non paghi evidentemente della tracotante ignoranza del soggetto che ci ha fatti arrivare al punto in cui siamo arrivati. Caldiero, infatti, decaduto nella qualità di commissario straordinario per effetto della Del.GR. n. 32/2020 a firma della compianta Iole Santelli, ha bisogno per continuare nella sua mission, di un nuovo atto di nomina. Così avremo avuto finalmente un’inedita figura: quella del commissario straordinario/commissario liquidatore/commissario straordinario di un Ente. Il cosiddetto co-li-co: il colico del CORAP. Bello, no? Ma alla fine anche alla Regione Calabria hanno avuto un po’ di vergogna e hanno nominato un tale che si chiama Bellofiore… Che sarà certamente un prestanome ma è sempre meglio di Caldiero. Povera Calabria nostra!