Coronavirus, Fase 2. Come ripartiremo? Ipotesi e consigli

di Fiorenza Sarzanini, Martina Pennisi e Monica Guerzoni

Fonte: Corriere della Sera

Turni per lavorare e turni per entrare nei negozi. Distanza di sicurezza e dispositivi di protezione obbligatori per chi ha contatti con il pubblico. Nella «fase 2» dell’ emergenza da coronavirus – che potrà cominciare dal 4 maggio – le abitudini quotidiane dovranno cambiare in maniera radicale rispetto al passato. È la condizione per poter ripartire, dunque governo e scienziati sono certi che i cittadini accetteranno le nuove regole, così come hanno fatto per questa lunga quarantena. Ripresa «lenta e graduale», la strategia non cambia.

Ma durante la riunione con il comitato tecnico scientifico il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato chiaro: «La tutela della salute resta al primo posto, però i motori del Paese non possono restare spenti troppo a lungo». È preoccupato «per la tenuta psicologica dei cittadini, per l’ ordine pubblico e per l’ impatto delle chiusure sull’ economia». Sa bene che «la curva dell’ epidemia si è stabilizzata, dunque entriamo nella fase della massima attenzione, che ci impone a mantenere prudenza e rigore».

E dunque nel discorso ai cittadini che farà nei prossimi giorni, annuncerà il nuovo decreto con l’ulteriore proroga dei divieti di spostamento fornendo però una speranza con il via libera alla riapertura di alcune aziende la prossima settimana. «Non possiamo rischiare che la curva dell’ epidemia si alzi di nuovo, perché non possiamo permetterci di ripartire da capo», dirà Conte, consapevole che la «fase 2» potrà iniziare solo dopo il ponte del 1° maggio.

Per far tornare in attività imprese, aziende e studi professionali le misure di sicurezza dovranno prevedere il minimo dell’ affluenza negli uffici. Ecco perché bisognerà privilegiare lo smart working, mentre per chi va in sede si dovranno prevedere turni alternati divisi per orario o per fasce giornaliere. Il metro di distanza dovrà essere sempre garantito, dunque lo spazio tra le postazioni dovrà essere più ampio. La stessa regola si applicherà ai negozi e a tutti gli altri settori che prevedono la presenza dei clienti.

Vuol dire che per fare acquisti sarà necessario mettersi in coda – come adesso davanti a supermercati e farmacie – ma soprattutto entrare scaglionati. Per andare dal parrucchiere, nei centri estetici e in tutti gli altri luoghi che prevedono un contatto diretto o comunque ravvicinato, sarà invece necessario prendere appuntamento in modo da essere soltanto in due per stanza: lavoratore e cliente.

Agli scienziati Conte ha rivolto una richiesta specifica: «Elaborare un programma sulla “fase 2”, con l’ ausilio di esperti di modelli organizzativi del lavoro, sociologi, psicologi, statistici» per arrivare a «modelli di convivenza con il virus». E questo certamente prevederà l’obbligo per i lavoratori che hanno contatti con il pubblico di indossare guanti e mascherine. Dispositivi che anche i cittadini dovranno avere sempre con sé in modo da poterli utilizzare quando si trovano con altre persone o devono entrare nei negozi.

Uno dei criteri per allentare i divieti di spostamento potrebbe riguardare le fasce di età prevedendo per le categorie più fragili come gli anziani e i malati alcune limitazioni.

Anche per questo gli scienziati dicono no a una riapertura di asili, scuole e università. Si tratta infatti di far muovere 12 milioni di persone: otto milioni e mezzo di studenti, un milione di docenti e uno di personale, più i genitori. Dunque se riparlerà a settembre.

La curva epidemica e dunque l’ indice di contagio R0 rimane la bussola da seguire perché, come ha sottolineato il ministro Luigi Di Maio «se sbagliamo i tempi torniamo in lockdown e ricominciamo da capo».

Le prime riaperture saranno soprattutto simboliche, come le librerie e le cartolerie. Gli scienziati hanno allentato un po’ sulle attività produttive a basso rischio basandosi su una graduatoria rispetto ai codici Ateco. Agricoltori, edili e cassieri sono categorie a rischio basso o medio basso, mentre a medio alto o alto sono camerieri d’ albergo, addetti alle mense e parrucchieri. Per la App esistono due opzioni da portare avanti in parallelo con i test, per poi proporre il download della migliore a tutta la popolazione.

Gli esperti della task force stanno analizzando i dati anonimi e aggregati messi a disposizione dalle piattaforme Web e rimangono in contatto con l’ iniziativa Pan-European privacy preserving proximity tracing di 130 scienziati da 8 Paesi comunitari per verificare la possibilità di partecipare a una soluzione unica per la Ue al posto di singole applicazioni per ogni Stato.

E poi riferiranno alla ministra per l’Innovazione Paola Pisano. Dell’ app (o delle due app) sappiamo che il download dovrebbe essere volontario e che grazie al Bluetooth potrà rilevare i codici degli smartphone che ha incrociato. In caso di positività di un individuo, gli altri verranno avvisati senza che l’ informazione sull’ identità del malato possa essere ricostruita.

Qui «finisce» il tracciamento digitale e inizia la gestione dei pazienti e di chi deve stare in quarantena da parte delle strutture sanitarie: per provare a contribuire al contenimento del virus, quando l’ applicazione sarà disponibile dovrà viaggiare in parallelo alla capacità di fare tamponi in modo capillare e tempestivo.

Il ministro della Salute Roberto Speranza sta lavorando «per rafforzare la rete sanitaria per l’ assistenza territoriale ai malati e la cura domiciliare anche perché la App dovrà mettere in contatto le persone “positive” con i medici attraverso la teleassistenza». Ma tutto questo sarà impossibile da realizzare senza avere test attendibili.

Ecco perché il ministro Francesco Boccia è tornato a incalzare gli scienziati affinché dicano quali sono i test attendibili e ha evidenziato la necessità di «omogeneizzare le regole sui test per tutte le Regioni e per portare a mille tra medici e infermieri la task force da spostare negli ospedali Covid». Il governo ha distribuito circa mille ventilatori e vigilerà sul fatto che siano sistemati esclusivamente nei reparti specializzati. Nella «fase 2» bisognerà infatti avere luoghi sicuri dove poter curare nuovi malati in modo da poter escludere il rischio di un’ altra epidemia.