Corruzione, l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini condannato a sei anni. Ora tremano anche il cazzaro e Robertino

Nella serata di ieri Il Fatto Quotidiano ha riportato la notizia della condanna in primo grado da parte del Tribunale di Roma all’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini relativamente al processo New Eden per corruzione aggravata dalla circostanza della transnazionalità. Si tratta del processo immediatamente precedente a quello nel quale Clini è stato rinviato a giudizio insieme al sindaco di Cosenza Mario Occhiuto alias il cazzaro e alla compagna Martina Hauser, detta anche la zarina dei Balcani e la cui prima udienza è prevista per il prossimo mese di ottobre. Si tratta in sostanza dello stesso tipo di appalto in un’altra nazione straniera (la Cina in questo caso) ma comunque con lo stesso metodo corruttivo e con lo stesso Tribunale, quello di Roma, a giudicare. Le ipotesi di reato sono dunque identiche e tutto questo rappresenta un pesantissimo campanello d’allarme – per usare un eufemismo – non solo per il cazzaro ma soprattutto per il fratello Robertino, che ambisce ad essere il candidato del centromafia – scusate del centrodestra – alle prossime elezioni regionali in Calabria. Ma ecco il testo dell’articolo di ieri sera de Il Fatto Quotidiano. 

Sei anni di carcere, uno e mezzo in più rispetto a quanto aveva chiesto la procura. È la sentenza emessa dai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Roma per Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente del governo di Mario Monti. L’accusa è corruzione aggravata dalla circostanza della transnazionalità in riferimento ad un finanziamento da 54 milioni di euro concesso dal dicastero per il progetto New Eden che riguardava la riqualificazione di una zona dell’Iraq. Stessa condanna anche un professionista di Ferrara, Augusto Calore Pretner. Per entrambi la Procura aveva sollecitato una condanna a 4 anni e sei mesi…

Il progetto, denominato New Eden, prevedeva interventi di bonifica in alcune zone della Mesopotamia. L’indagine era arrivata all’attenzione di pm di Roma dalla Procura di Ferrara per competenza territoriale. I finanziamenti erano stati erogati dal dicastero, a favore del progetto e gestito dalle società ‘Ong Iraq Foundation‘, prima, e ‘Nature Iraq‘, poi, per la riqualificazione del territorio iracheno. Secondo l’accusa, parte dei fondi sarebbe stata distratta dalla loro finalità da Clini quando era direttore generale del dicastero.

Le indagini, condotte dalla Guardia di finanza di Ferrara, erano partite dall’individuazione di un flusso di false fatturazioni provenienti da una società cartiera con sede in Olanda, a favore della Med Ingegneria srl, studio ferrarese i cui vertici risultano indagati per una frode fiscale da un milione e mezzo di euro. Le fatture di Med Ingegneria facevano capo a due organizzazioni non governative con sede negli Stati Uniti, la Nature Iraq (cui partecipava lo Studio Galli Ingegneria di Padova di cui è socio Pretner) e Iraq Foundation. Sono le due ong che nel 2003 stipularono un accordo bilaterale con gli uffici del ministero dell’Ambiente, poi rinnovato nel 2008 per altri cinque anni. Obiettivi del programma di cooperazione erano il ripristino ambientale e il controllo dei fenomeni di piena e gestione integrata dei bacini idrografici del Tigri e dell’Eufrate. Di quella attività però il Nucleo di polizia tributaria non trovarono alcun riscontro. Per quel progetto le due ong chiesero 57 milioni all’Ambiente, ottenendone 54.

Tra settembre 2007 e gennaio 2011 parte di quelle somme finirono, secondo quello che sostenevano gli inquirenti nel 2014, in conti “direttamente riconducibili ai due arrestati”. Una parte dei soldi del ministero, incassati da Nature Iraq, erano stati accreditati su un conto ad Amman in Giordania, per poi partire in direzione dell’Olanda, verso la società Gbc con fatturazioni per operazioni inesistenti. Questa tratteneva una commissione del 5% per poi girarli neiparadisi fiscali delle Isole Vergini e dei Caraibi. Da qui la somma, decurtata di un altro 2%, ripartiva per la Svizzera per essere depositato “in conti correnti di prestanome direttamente riconducibili agli indagati”. Questa la tesi dell’accusa alla quel i giudici di primo grado hanno dato ragione.