Cosenza. 30 anni dall’operazione Garden: le amare verità di Facciolla e Lupacchini

di Saverio Di Giorno

Era il 10 ottobre 1994 quando è scattato il blitz che avrebbe poi dato il via al maxiprocesso Garden. Ad ordinare gli arresti l’allora procuratore distrettuale di Catanzaro Mariano Lombardi e il Pubblico Ministero antimafia Stefano Tocci. Il maxiprocesso Garden è stata un’anomalia giudiziaria e storica. Un unicum sotto ogni punto di vista. E sarebbe appunto da studiare nei manuali di storia di diritto se non fosse che gli effetti di quelle anomalie si producono tutt’ora.

La storia del processo Garden è soprattutto la storia dei suoi registi palesi e occulti, dei suoi protagonisti e delle vittime mai chiarite. Anzi, come ha detto il magistrato Eugenio Facciolla pochi mesi fa alla Ubik di Cosenza, chi – in quegli anni – si è girato dall’altra parte ha fatto carriera, arrivato alla pensione con plausi e complimenti, chi non si è girato dall’altra parte, ne paga ancora le conseguenze. Erano i giorni del pensionamento di Spagnuolo. Queste poche righe basterebbero a riassumere la storia dei 30 anni che portano ad oggi, ma vale la pena guardare anche gli angoli di quegli anni. https://www.iacchite.blog/cosenza-le-verita-di-facciolla-come-un-pugno-nello-stomaco-a-tutta-la-citta-sommersa/

Gli antefatti

Il processo Garden era stato preceduto da una serie di fatti di sangue importanti. Questa è la sequenza: nel 1980 l’omicidio di Giannino Losardo, nell’82 l’omicidio dell’avvocato Sesti, nel 1985 quello del direttore del carcere Cosmai. Nel 1986 De Rose diventa il primo pentito cosentino. Anticipa molti dei fatti che emergeranno nel Garden e verrà poi “dimenticato” in carcere nonostante la collaborazione. I due clan (Perna e Pino) sigleranno una pace che ormai dopo anni tutti definiscono una sceneggiata. Una teatralità al bar Due Palme. In realtà era stata siglata con l’accordo della procura e degli avvocati. Nel 1990 il consigliere DC Chiappetta viene ammazzato a Rende. Un omicidio siglato da entrambi i clan.

In questo clima si muovono bande armate che si strutturano in clan, avvocati, magistrati in rapporti di affari con i clan e ovviamente imprenditoria. E sono proprio questi i protagonisti che maneggeranno e smonteranno il processo che scatta all’alba del 10 ottobre 1994.

Il Garden è il maxiprocesso della dissociazione.

Cosenza – e la sua provincia – è l’unico territorio in cui la strategia della dissociazione ha (parzialmente) funzionato e il teatro è il processo Garden. Di quegli anni sono pochissimi quelli che non hanno giocato e flirtato con le procure (tra i pochi spicca Franco Perna).

Per dissociato si intende colui che «rende piena confessione di tutti i reati commessi e si adoperi durante il processo per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o per impedire la commissione di reati connessi». Cioè, parla so di sé stesso. Viene invece considerato un collaboratore di giustizia colui che discioglie o recede dal gruppo, si consegna fornendo ogni informazione sulla struttura e sull’organizzazione dell’associazione o della banda, «rende piena confessione di tutti i reati commessi e aiuta l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati commessi per la medesima finalità ovvero fornisce comunque elementi di prova rilevanti per l’esatta ricostruzione del fatto e la scoperta degli autori dello stesso».

E alla Ubik – in occasione della presentazione del libro SODOMìA –  Facciolla parte proprio da questo dato anomalo. Facciolla arriva al Garden nel ‘97: “Mi trovo con più collaboratori che imputati normali. Il foro era stato bravissimo perché avevano portato la dissociazione che usavano nel terrorismo nei processi di mafia. Si presentavano con il proprio avvocato contestandosi solo la propria partecipazione in qualche fatto di sangue”. E poi ancora: “Rendevano dichiarazioni alla DDA di Catanzaro e in parallelo alla Procura di Cosenza con un inquinamento totale. La gestione dei pentiti è stata sempre accompagnata dalle polemiche sul loro patrimonio. Ci fu chi recuperò soldi in usura a Garofalo. Nel processo alla fine finì condannato solo Garofalo”. 

Lo stesso Garofalo ricostruisce l’episodio (presente anche in un’interrogazione parlamentare): “I miei soldi li recuperarono i carabinieri (Giurgola). Ora dimmi: quanto è diverso con quello fatto con Pino che era diventato, nel frattempo, collaboratore anche lui? Capisci che tutti abbiamo avuto l’impressione di poterci giocare molte carte. Pino recupera 750 milioni di lire e poi incidentalmente comincia a ritrattare tutte le dichiarazioni riguardanti l’omicidio Chiappetta”. (da SODOMiA). I mafiosi capiscono che si possono inserire in un contesto di guerra tra Procure come descritto da Facciolla: da un lato quella di Cosenza e dall’altra la DDA.

Il punto di inizio: da Silvio Sesti al foro arrivista

È però Lupacchini che ricostruisce il clima nel quale emerge il processo Garden e lo fa risalire ad un punto preciso. L’omicidio dell’avvocato Silvio Sesti. “La problematica di rapporti si aggravò ulteriormente a seguito dell’omicidio dell’avvocato Silvio Sesti, che determinò l’occupazione del proscenio da parte di una ristretta cerchia di avvocati, che si appropriarono dello spazio lasciato libero dal collega assassinato. Mentre l’avvocato Sesti era un penalista vecchio stampo anche con un certo nome e proiettato sulla piazza romana, coloro che trovavano nella sua morte ragione di crescita e di affermazione sono di fatto avvocati i quali operavano esclusivamente sul territorio di Cosenza e che si segnalarono nel 1991 per avere inscenato il primo lungo sciopero della categoria solo per sbarazzarsi di un collegio di magistrati che voleva condannare alcuni pregiudicati evidentemente graditi alla loro categoria.” (prefazione di Otello Lupacchini a Sodomìa).

Ed è proprio questo il foro che si adopera a trovare e portare pentiti che inquineranno tutto il processo Garden. E chi sono questi avvocati? Li elencano per nome e cognomi gli stessi collaboratori spiegando bene gli accordi: “C’erano gli avvocati stipendiati da noi: Marcello Manna, Pugliese, Sorrentino ad esempio, che dirigono tutto, montano la strategia dicendo di fare dissociazione. Poi c’erano Sammarco, D’Ippolito tutti stipendiati”. L’importante è non prendere l’ergastolo perché a conti fatti alla fine ti fai diciannove anni. Il falso dissociato deve accusare ma come dico io, in maniera morbida. Sammarco e Manna si davano da fare in procura. D’Ippolito, legato ad un sistema di massonerie, poteva arrivare in vari uffici” (Gli atti ripresi nel libro  in cui si trovano questi nomi e i riferimenti all’avvocatura sono molteplici: Bevilacqua, Garofalo persino Pino inizialmente https://www.iacchite.blog/cosenza-quando-manna-era-stipendiato-dai-clan-per-le-soffiate/. Il pm Tocci aveva aperto indagini sugli stessi avvocati parallelamente finché non fu sostituito da Facciolla

Il caso Cosmai e gli altri fino a Losardo

Lo stesso Facciolla ricorda un episodio in particolare. Quello dell’omicidio Cosmai: cartina di tornasole per capire i giochini dell’avvocatura. Così ricorda Facciolla: “Cosmai, qualcuno (il riferimento non può che essere a Mario Spagnuolo, ndr) lo ha ricordato come episodio più rilevante della sua carriera: cosa falsa. Non c’è traccia di tale attività, si tratta del procedimento Missing che portai avanti io. Il collegio difensivo capitanato da Marcello Manna fa istanza, del tutto anomala, chiedendo che non fosse Eugenio Facciolla a rappresentare l’accusa nel processo di appello Missing. Poi continuai io arrivando a condanne definitive”. Quel qualcuno seppur mai nominato sembra facile da ricondurre, appunto, a Mario Spagnuolo. Che ha avuto anche il “coraggio” di rilasciare formali interviste in tal senso… Il caso Cosmai finirà senza colpevoli a Bari. Non è l’unico caso che affonda nelle sabbie mobili pugliesi. E proprio al Garden nel dibattito emergono dichiarazioni che nessuno coglie, ma vengono velocemente depotenziate. “… Al processo Garden – dice ancora Facciolla – ho modo di ribadire molte altre cose già dette, come i ganci che trovarono i Bartolomei per farsi scarcerare. Fu trovata la stessa strada a Bari, che fu usata da Muto per l’omicidio Losardo. C’erano le entrature. Furono pagati 70 milioni ad un avvocato”. Anche per questo l’omicidio Losardo è ancora impunito. Il collegamento tra questi omicidi e quali furono questi avvocati è una pista mai esplorata.

I magistrati rapaci

Ma torniamo al Garden perché oltre al foro emerge il ruolo di un magistrato. Anzi di due. Questa volta è Lupacchini che – ancora nella prefazione del libro – ricostruisce l’evoluzione dei rapporti tra Catanzaro (pm Lombardi) e Cosenza (Spagnuolo): “Potrei addirittura spingermi a rendere testimonianza circa l’evoluzione dei rapporti fra il dottor Mariano Lombardi, per anni procuratore capo a Catanzaro, e il dottor Mario Spagnuolo, a partire da quando costui era sostituto procuratore (anziano) a Cosenza, evocato da alcuni passi di quel racconto. Ho avuto modo, infatti, di compulsare documenti noti, del resto, lippis et tonsoribus, quantunque prodigiosamente sfuggiti, per anni e anni, all’attenzione selettiva dei titolari dell’azione disciplinare. Documenti ben più convincenti, oltretutto perché redatti in tempi non sospetti, della successiva prospettazione riduzionista della portata dello scontro, fra loro, offerta dallo stesso dottor Lombardi nell’intento di rimuovere l’immagine del proprio aggiunto, d’inquirente rapace ed onnivoro, sempre pronto ad utilizzare il grimaldello delle indagini e del processo per l’omicidio di Pino Chiappetta, incurante delle prerogative funzionali e dei danni che potessero derivare alle strategie processuali, all’immagine e alla credibilità professionale dei colleghi della direzione distrettuale antimafia, dalle proprie spregiudicate scorrerie investigative, troppo spesso in linea con la “strategia offensiva” enunciata dalla “delegazione degli avvocati di Cosenza”, disegnata addosso al dottor Mario Spagnuolo nelle note sia del dottor Mariano Lombardi sia del dottor Stefano Tocci”. 

I magistrati Facciolla e De Magistris danno una lettura molto simile dell’evoluzione di Lombardi. Per Facciolla “Mariano Lombardi all’epoca e almeno all’inizio mi seguiva molto, Luigi (De Magistris) lo sa perché in alcune occasioni abbiamo lavorato nello stesso ufficio, poi come ebbe a dichiarare Lombardi stesso in un giornale locale qualcosa era cambiato. Fu costretto a scaricarmi in poche parole”.

Per De Magistris “il procuratore Lombardi non era una cattiva persona. Lui inizialmente aveva stima per chi vedeva come onesto. Lombardi non potette fare più niente quando toccammo con le attività investigative Pittelli”.  In realtà già ai tempi del Garden molti pentiti cercarono di arrivare tramite Manna al potente avvocato Pittelli e solo in anni recenti un’informativa del ROS ha confermato tale legame. Il ruolo di Lombardi cambiò a tal punto che quando nel 2005 Lupacchini scrisse la sua famosa inchiesta Mariano Lombardi a mezzo stampa disse: “Attenzione, perché rispetto all’inchiesta Lupacchini, se questa non ha avuto esiti dobbiamo ringraziare Pittelli, quindi, cerchiamo di non aggredire l’avvocato giudiziariamente…”. 

Quel processo ha segnato i successivi anni. Durante quegli anni il foro con la complicità di alcuni magistrati produce decine di pentiti. Nella terra conosciuta per avere la mafia con meno pentiti al mondo, se ne trovano centinaia. La pace dopo la guerra tra clan sulle cui macerie si originava il processo era stabilita dai capi clan ma approvata dalle toghe. E sono queste toghe arriviste e magistrati rapaci che smontano un processo, determinano impunità, recuperano soldi e soprattutto faranno carriera determinando anche i successivi anni. Sono quelli gli uomini che poi si trovarono ai posti di comando negli anni successivi (quelli Lupacchini e quelli di De Magistris) quando erano emersi da quelle acque torbide e inquinate. Che hanno prodotto segreti, insabbiamenti e quindi armi di ricatto.