CARBONE 100 I racconti di una vita. Fotografie dal 1954 al 1990 è un progetto a cura di Martina Cavallarin proposto dalla project manager Marilena Sirangelo e da Archivio Mario Carbone ed Elisa Magri, in collaborazione con Galleria Nazionale di Cosenza, Liceo Classico B. Telesio, RiMuseum – Università della Calabria e MAON Museo d’arte dell’Otto e Novecento.
Mario Carbone, nato a San Sosti, Cosenza, nel 1924, è una delle figure più rappresentative della fotografia e del cinema documentario italiano del XX secolo. Il suo obiettivo ha catturato con sensibilità e acume i grandi mutamenti sociali e artistici del Dopoguerra, raccontando per immagini la realtà italiana con uno sguardo che ha saputo unire la testimonianza visiva all’analisi sociale.
CARBONE 100 I racconti di una vita. Fotografie dal 1954 al 1990 è un progetto che celebra l’eredità culturale di Mario Carbone attraverso un’esposizione diffusa in più sedi:
La Galleria Nazionale di Cosenza accoglie il nucleo centrale del progetto, con foto e documentari che raccontano il rapporto di Carbone con artisti e performer che hanno segnato il mutare dello scenario artistico del Novecento. Tra le opere più significative, la documentazione delle performance tenutesi in occasione del Decennale del Nouveau Réalisme a Milano nel 1970 e della Settimana Internazionale della Performance a Bologna nel 1977 tra le quali spicca l’iconica Imponderabilia di Abramović e Ulay, azione nella quale il nudo non è semplicemente un elemento estetico, ma un potente strumento per smantellare le barriere tra spettatore e performer, tra Arte e Vita.
Un viaggio nell’Italia meridionale vista attraverso immagini che ne ritraggono riti e tradizioni, è l’esperienza che si compie visitando il RiMuseum dell’Università della Calabria che espone foto dal grande valore antropologico, e la Biblioteca Stefano Rodotà del Liceo Classico B. Telesio di Cosenza. Qui gli scatti del soggiorno in Lucania compiuto con Carlo Levi testimoniano i luoghi di Cristo si è fermato a Eboli.
Il MAON ospita una giornata di studio sulla resilienza e sul legame fra arte e rinascita, con un focus sulle fotografie dedicate al terremoto del Belice del 1968 e successiva ricostruzione, e la realizzazione a Gibellina nel 1990 dell’installazione La montagna di sale di Mimmo Paladino.
Mario Carbone è l’emblema di una stagione culturale di grande fermento, popolata da figure il cui pensiero, rivolto ai temi sociali, non è stato da questi circoscritto poiché in grado di tradurre la realtà dell’uomo dalla sua condizione più intima ed esistenziale al suo movimento collettivo e disordinato. Figure come Pier Paolo Pasolini, Giulio Carlo Argan, Elsa Morante e altri, che hanno fatto della disamina della cultura sociale il loro spazio d’azione. E Mario Carbone ha catturato questo spazio, questa realtà, questo movimento, con la mente e con la macchina, nel ruolo di fotografo, direttore della fotografia e regista, grazie anche alla casa di produzione D.A.R.C. da lui fondata.
Nel corso del secondo Novecento ha prodotto l’immaginario di contenuti che ancora oggi ci descrive e ci identifica, in un modo che egli stesso ha definito “intuitivo, spontaneo e non meditato”. Dal viaggio con Carlo Levi in Lucania nel 1960 alle prime immagini dell’alluvione di Firenze del 1966, il cui docufilm Firenze, novembre ‘66 gli valse prestigiosi riconoscimenti tra cui il Premio San Marco al Festival di Venezia e il Nastro d’Argento per la miglior fotografia in bianco e nero.
E ancora i grandi sconvolgimenti del ’68 italiano come il terremoto del Belice e la manifestazione studentesca di Valle Giulia a Roma. Testimonianze che, proprio come la documentazione artistica che ha impiegato larga parte della sua produzione, si lasciano interpretare per il solo privilegio, dato e dovuto, di rappresentare un periodo troppo denso di relazioni e troppo esteso di avvenimenti per essere descritto solo con le parole. Ecco allora che le immagini di Mario Carbone vengono in soccorso depositando contenuti, sedimentando sensazioni, accompagnando la presenza della storia.