Cosenza, casa di cura Misasi: tutte le manovre dei Morrone per incassare di più e “scaricare” i lavoratori non graditi

Coronavirus e assistenza sanitaria, situazioni paradossali succedono a Cosenza, in particolare nella casa di cura Misasi di Cosenza, dove invece di garantire una buona qualità di assistenza verso i tanti pazienti ricoverati senza la vicinanza dei loro familiari, si pensa a risparmiare a danno dei pazienti ricoverati, e vengono messe in cassa integrazione figure professionali indispensabili per fare un lavoro di equipe e per garantire assistenza a persone fisiche che devono riabilitarsi ed essere assistite 24 su 24.

Tutto ciò non può essere fatto perché l’imperativo della famigerata famiglia Morrone (il padre “mammasantissima” e il figlio “parassita” che da “piett’i palumm” ormai è diventatu nu strummulu…) è risparmiare a tutti i costi e costi quel che costi, però la degenza dei pazienti viene pagata profumatamente… Per pazienti con ischemia, ictus, eccetera, la Regione Calabria paga 250 euro di degenza giornaliera, ma invece di pensare di garantire una buona qualità di lavoro, si pensa a risparmiare, si mandano in cassa integrazione i lavoratori (alcuni al 100%, altri al 30%, altri al 20%), da un lato si vuole risparmiare ma dall’altro si fanno assunzioni con consulenze a chi dopo essere andato in pensione continua a percepire cospicui stipendi.

Lo stesso Giancarlo Morrone, fratello del “mammasantissima” e quindi zio di Luca ‘u strummulu, da febbraio 2020 andato in pensione all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza, diventa direttore sanitario, quando c’è già un altro medico che funge da vicedirettore sanitario, tale dottoressa Teresa De Donato, anch’essa andata in pensione in clinica ma comunque anch’essa classificata come consulente con un altro sostanzioso stipendio, allo stesso modo di Giuseppe Ennio Morrone ovvero il “mammasantissima” in persona, andato in pensione alla Regione Calabria ora presente anch’esso in clinica con un altro stipendio da consulente, allo stesso modo del figlio Marco Morrone, fratello gemello di Luca, direttore amministrativo con altro cospicuo stipendio, e così via…

Ma è molto strano che a questi signori non si possano chiedere sacrifici… Loro sono i padroni, ma è assurdo che per i 30 pazienti ricoverati non si possa fare niente per garantire un po’ di dignità – proprio perché i familiari sono assenti – con una adeguata assistenza in termini quantitativi e qualitativi…

Lavorano solo due Oss per piano la mattina, 1 Oss tra il primo e il secondo piano con una figura “jolly” che prende servizio alle ore 15 e che si deve alternare tra i due piani, quando invece sarebbero innumerevoli le cose da fare: prendere la biancheria sporca giù al centralino (spesso chiuso perché i centralinisti sono anch’essi in cassa integrazione…), far salire i pazienti in palestra, cambiare pannoloni e altro…

Certamente i poveri operatori socio sanitari non sono robot, non possono essere onnipresenti, quindi non si può fare l’impossibile: la notte c’è un solo operatore socio sanitario per entrambi i piani, con due infermieri presenti, e sicuramente non è facile fare un lavoro serio se vi sono situazioni sanitarie con pazienti affetti da malattie gravi…

La parola d’ordine è il risparmio, eppure in questi mesi sono state tante le assunzioni fatte per dare risposte al consenso elettorale di Luca Morrone alla Regione, e i sindacati Cgil, Cisl e Snalv stanno denunciando questo problema perché è impossibile utilizzare la cassa integrazione in un ambito sanitario dove si dovrebbero potenziare i servizi e non ridurli.

Intanto, un solo operatore della celeberrima cooperativa Sant’Anna di Carmelo Rota è presente in clinica di pomeriggio… ma cosa può fare un solo operatore per 5 ore per sanificare, e pulire in modo regolare una clinica così complessa? L’aspetto strano – ma fino a un certo punto – però è che i sindacati hanno chiesto l’intervento dell’Asp denunciando tutto ciò ma chi è preposto a far rispettare le regole non vede, non sente, non fa i dovuti controlli, idem i commissari del concordato preventivo che dovrebbero vigilare sulla vera ragione del buon andamento di questa struttura che ha ancora tanti debiti da pagare a fornitori, collaboratori, altri enti, e non si vuole concedere un incontro ai sindacati, pur avendolo richiesto, perché la proprietà della San Bartolo Srl non vuole concederlo…

Ma allora qual è il ruolo dei commissari? E questo La Regina, altro lecchino dei potenti, è il solito pupazzo messo all’Asp per garantire i papponi e i parassiti. E cosa fa il giudice del concordato se i commissari chiudono gli occhi? Cosa si aspetta? Il fallimento della struttura? E cosa fa la tanto chiacchierata Giuliana Bernaudo, responsabile dei controlli delle cliniche private di Cosenza, per fare in modo che vengano rispettati i requisiti necessari di assistenza? Forse la clinica della famiglia Morrone è una clinica amica da non controllare? Ma va…

Cose di straordinaria gravità succedono all’Asp di Cosenza, vista la situazione di continua messa in cassa integrazione dei dipendenti di alcune società e case di cura accreditate di Cosenza. Non si capisce bene, come mai nelle procedure previste per ricorrere alla cassa integrazione dei dipendenti della casa di cura privata Misasi e San Bartolo di Cosenza si riferisce che vi è una riduzione dei guadagni rispetto all’anno precedente alla pandemia, se la casa di cura Misasi gruppo San Bartolo di Cosenza ha firmato un contratto per prestazioni per l’anno 2020 pari all’incirca a 3.300.000 euro (tre milioni 300 mila euro!!!)… Come fanno a dire che hanno perso il 30-40% se comunque l’anno precedente cioè all’anno 2019, hanno incassato circa 3.080.000 euro? Semmai c’è stato un aumento, non certo una riduzione.

Su quale percentuale viene calcolato questo 30-40 % di perdita di utile per ridurre il personale, creare disservizi ai pazienti, mandare in cassa integrazione il personale – chi al 100% chi al 30% chi al 20% – ? Perché non vengono fatte vedere ai sindacati le fatture per verificare le molto presunte perdite della casa di cura Misasi? Forse perché non si vuole far vedere quanto si è incassato?
Perché l’Asp non pubblica né per la casa di cura Misasi e né per nessuna altra struttura accreditata con il SSR le fatture al fine di avere contezza delle prestazioni pagate a seguito del contratto che ogni anno le cliniche stipulano con l’Asp? Perché nelle altre Asp vengono pubblicate le rendicontazioni trimestrali di quanto incassato e a Cosenza non vi è nessuna trasparenza… cosa si deve nascondere?

Lettera firmata