Cosenza-Catanzaro, la storia del derby. 1985, Piero Romeo e il bandierone

Sale l’attesa per il derby di domenica tra Cosenza e Catanzaro. Un derby è sicuramente la storia di partite avvincenti ma non solo. La storia di un derby è soprattutto passione.

PIERO ROMEO

Alla fine degli anni Settanta Piero Romeo è stato il principale animatore ed ispiratore del movimento ultrà cosentino.

“Le pecore hanno un capo. E le mandrie un cane che sorveglia. Nua sim’i Cusenza e capi un’ni’ vulimu”. (cit. Piero Romeo, capo degli ultrà). Forse era per questo che lo chiamavano tutti “il capo degli ultrà”.

Semplicemente perché, in un mondo nel quale tutti vogliono esserlo, lui non ne voleva proprio sapere e contestava chi lo chiamava così. Alla sua maniera, con quell’ironia tagliente che lo rendeva unico.

Dietro “il capo degli ultrà” c’è la storia di un movimento e di intere generazioni, c’è la storia della città di Cosenza e della sua aggregazione giovanile.

Piero Romeo è stato il nostro capocomitiva in centinaia di trasferte. Non è facile controllare l’esuberanza di tanti ragazzi che comunque sanno che tu sei il punto di riferimento. Il suo scompartimento era la stella polare per chi vagava nei treni di linea il sabato notte per arrivare a Monza, a Brescia, a Modena, a Bergamo, a Bologna e andare a vedere i Lupi.

Lo sguardo di Piero è una delle sensazioni più belle che si possano ricordare dei “primi tempi” di Curva. Raccontarvi del rapporto che aveva con i ragazzi più piccoli significa rievocare scene di vita che ci hanno insegnato i fondamentali del nostro essere uomini. Le storie di Piero sono state quelle più esaltanti per il gruppo.

Piero Romeo ha fatto la storia del movimento ultrà con i raduni, con i rapporti con gli altri compagni. E’ stato quello che si è legato di più a Padre Fedele, anche lì con gli inevitabili alti e bassi che comporta un rapporto con un personaggio così “ingombrante” come il monaco. Ma il lato giocoso di Piero è senz’altro quello che ognuno si porterà dentro per sempre.

I cinquant’anni di Piero Romeo sono stati spesi costantemente per i suoi ideali più belli: quello dell’ultrà vero, che aveva l’appartenenza al gruppo nel sangue, quello della generosità nei confronti di chi non aveva un tetto e di cosa sfamarsi, degli ultimi in generale e quello della buona cucina, il suo mestiere fin da quando era solo un ragazzo.

Abitava a via XXIV Maggio, nel cuore di Cosenza, con i genitori, il fratello Valentino e la sorella Mena. Il sacro fuoco del pallone lo rapisce subito.

Siamo alla fine degli anni Settanta, 1978 per la precisione. Il Cosenza può tornare a giocare al San Vito dopo un anno di squalifica per la drammatica invasione di campo del 1977 in Cosenza-Paganese. E’ allora che un gruppo di giovani cosentini danno vita alle prime forme di tifo organizzato. Nasce il Commando Ultrà Prima Linea ’78. E Piero Romeo è tra i fondatori di quel gruppo insieme all’inseparabile Umberto Bocci, Lello Valente, Pino Martino, Gustino, Giuseppe Russo, Giovanni Iuele, Pino Tarsitano, Giuseppe Milicchio, Paride Leporace e a ragazzi un po’ più piccoli come Luca Ardenti, Sergio Crocco, Nunzio Urso, Francesco Conforti.

E’ in quell’anno che si darà vita a un’aggregazione giovanile che passerà alla storia come una delle più straordinarie stagioni di creatività e innovazione nella città.

L’incontro con Padre Fedele Bisceglia, all’indomani della nascita dei Nuclei Sconvolti, sarà fondamentale per il giovane Piero Romeo. Sono soprattutto il monaco e Piero a volere quella Mensa dei poveri, che fin dall’inizio degli anni Ottanta ha rappresentato un rifugio per tanti uomini e donne in difficoltà.

Piero Romeo è il padrone della cucina. Tocca a lui dar da mangiare a chi non ha la possibilità di farlo in una casa. Una missione umanitaria importantissima per Cosenza, la cui lezione è ancora viva per tante generazioni che si sono succedute nell’animare l’ideale ultrà nella nostra città.

Piero Romeo è stato esempio e punto di riferimento per intere generazioni e non solo in Curva Sud, ma in tutte le Curve d’Italia, per le strade di Cosenza, alla Mensa dei poveri prima e all’Oasi francescana dopo.

Sempre in prima linea, sempre pronto a prendere le decisioni più giuste per il gruppo, lavoratore instancabile quando si trattava di allestire una coreografia importante (come quella del “bandierone” cucito a mano nel 1985 proprio per il derby di ritorno col Catanzaro) e vero pioniere dell’uso dei fumogeni, per i quali aveva un’incredibile passione.

I suoi prepartita sono ormai diventati leggendari. Il suo rapporto con gli ultimi era quanto di più bello potevi goderti ogni volta che lo vedevi parlare fitto fitto o scherzare con Totonno ‘u squalo, Giovanni Grillo, Nunziatina, Mastru Speditu e tanti altri ancora.

Quanto alla coreografia di quel derby del 1985, nel convento di Padre Fedele Bisceglia, il frate ultras ormai conosciuto in tutta Italia grazie al Cosenza, era stato confezionato un enorme bandierone che avrebbe coperto tutta la Tribuna B, dov’erano “sistemati” i supporter rossoblù.

IL BANDIERONE

Mille e duecento metri di stoffa rossoblù, prelevati a ottocento chilometri di distanza.

Per la prima volta in una coreografia, in tutto lo stivale, fa la sua comparsa un bandierone di queste dimensioni.

E’ il 6 aprile 1985, Cosenza-Catanzaro, l’ultimo derby vinto al San Vito dai lupi. Dietro l’idea, ci sono creatività, dedizione, il talento di riuscire a guardare avanti oltre il muro delle convenzioni, precorrere i tempi.

Poi, certo, c’è da aggiungere il pragmatismo tutto meridionale, calabrese, di sapersi arrangiare, di trovare la soluzione giusta. E ci sono le persone ovviamente.

Quelle che ci mettono volontà e sudore, l’intuizione vincente. L’immensa bandiera viene realizzata in una sala del Convento dei Cappuccini alla Riforma, sotto la supervisione di Padre Fedele Bisceglia.

L’artefice, materialmente, è Piero Romeo, antesignano del contributo ultrà alla Mensa dei poveri prima ed all’Oasi francescana  dopo, che con una vecchia macchina da cucire a pedali “Singer” lo confeziona splendidamente. Per la stoffa, invece, si giunge addirittura in Toscana, a Prato, 1600 chilometri fra andata e ritorno in una spedizione su quattro ruote guidata da un altro alfiere dei tifosi silani, Tonino Tocci.

Viene esposto in Tribuna B dove il tifo organizzato si è spostato (non sarà la prima ne l’ultima volta) vista l’importanza dell’evento, per stare più vicini alla squadra e per assicurare all’enorme vessillo di potersi spiegare senza intoppi, per intero, data la sua forma rettangolare. I catanzaresi, in un derby, non li si vedeva dal (udite, udite) 1964, era quindi necessario riservare alle aquile un’accoglienza che difficilmente avrebbero trovato in qualche altro stadio d’Italia. D’altronde, in quanto a coreografie memorabili, sempre in occasioni di match coi giallorossi, ce ne sono delle altre altrettanto spettacolari.

Come dimenticare l’altro bandierone col lupo in mezzo della stracittadina in B dell’annata 88-89, srotolato questa volta in Curva Sud, oppure, in trasferta, le centinaia di palloncini a forma di conigli giallorossi che inondarono la Curva Est del “Ceravolo” nel ritorno di quello stesso campionato?

In fondo, se ci si ferma a riflettere un attimo, questa storia tutta popolare del bandierone è soprattutto l’insegna di qualcosa di più grande che si muoveva all’epoca. Nel 1985 il fervore ultrà che si respira in città sta quasi per raggiungere la sua apoteosi, soltanto tre anni dopo si rivedrà la serie cadetta agognata per un quarto di secolo. C’è un intero movimento che ha voglia di crescere e sperimentare nuove frontiere sportive (e non), arrivare dove prima, da queste parti non si era mai giunti.

Il gusto per i colori, l’effetto scenico, la sorpresa, sono alcuni dei terreni in cui gli ultrà bruzi iniziano a far scuola. Appena le due squadre entrano in campo, alla scambio dei gagliardetti, è spettacolo puro.

Sul bandierone piovono una cascata di coriandoli, in un intreccio di stili da tifoseria sudamericana mischiata, perché no, con una dell’est Europa. Stanno per essere vissute pagine splendide del tifo cosentino e del Cosenza Calcio, ma quella domenica a ridosso della Pasqua, quanti tenevano in alto un oceano di stoffa rossoblù non potevano saperlo. Urlano e gioiscono per il gol atipico di un venticinquenne cetrarese, Alberto Aita. Non sanno che stanno entrando nella storia.

Edotri