Cosenza, a cena dal cazzaro. Gratteri sapeva dove andava: ecco le prove

Dice il buon Cafiero De Raho, già procuratore capo della DDA di Reggio Calabria, ed oggi procuratore nazionale antimafia: «Prima giocavo a tennis, oggi non lo posso più fare perché anche quello determina entrare in un circolo, avere rapporti con persone. Cosa penserebbe il cittadino se mi vedesse insieme a persone che io reputo perbene ma che invece hanno rapporti che io ignoro. Penserebbero tutti ad una Procura inaffidabile».

La vita di un magistrato antimafia è una missione che va svolta con molto spirito di servizio, diceva Giovanni Falcone, confinato insieme all’amico Paolo Borsellino sull’isola dell’Asinara. Chiusi in una “cella” a lavorare. Quando si è davvero in prima linea le rinunce diventano d’obbligo. Non c’è teatro, ristorante, socialità, per chi affronta a viso aperto e per amor di Giustizia il malaffare mafioso Anche i rapporti familiari spesso ne risentono. E’ il prezzo che pagano i tanti magistrati impegnati nella lotta alle mafie. Per loro è difficile spostarsi anche per prendere un gelato con la famiglia. Gli unici amici che hanno sono gli uomini della scorta.

Spesso questi magistrati si trovano, loro malgrado, a dover fare delle “scelte dolorose”, come quella di sottrarre tempo agli affetti familiari, perché consapevoli delle proprie responsabilità e della delicatezza del loro lavoro che, causa le tante carenze amministrative e politiche, inevitabilmente li conduce a questo bivio. E solo chi ha uno sviluppato spirito di servizio, che tradotto vuol dire avere una coscienza sociale e civile, riesce a sopportare tutti questi sacrifici. Solo chi è sinceramente leale e fedele, al cittadino e alla Costituzione, imbocca la strada giusta, consapevoli di tutto ciò che questa scelta comporta.

E’ chiaro a tutti che queste scelte derivano da un “dovere” morale, etico, deontologico. E non da una legge dello stato. Frequentare o no il circolo del tennis, è una scelta fatta sulla base di questi valori e dell’importanza che ognuno gli attribuisce. Nessuno vieta al dottor De Raho di giocare a tennis, ma se questo dovesse, per qualsivoglia motivo, procurare “problemi” al suo lavoro, o addirittura inficiare l’immagine della procura, a questo punto bisogna necessariamente fare una scelta: e il dottor De Raho ha scelto di “tutelare le istituzioni” che rappresenta. Perché un magistrato anche quando non è in servizio resta un autorevole rappresentante delle istituzioni.

In una sola parola è solo questione di “opportunità”. E’ opportuno andare a cena nel locale di Occhiuto? E’ questa la domanda che dobbiamo rivolgere al dottor Gratteri.

Uno può dire: ma scusa, Occhiuto non è un mafioso al 41 bis, è il sindaco della città, è una persona perbene fino a prova contraria. Quindi perché Gratteri non può cenare in quel ristorante?

Una domanda legittima da parte di chi non conosce i fatti. Perché al di là della morale, dell’etica, e della deontologia (e scusate se è poco), un procuratore capo della DDA più importante, assieme a quella di Reggio, d’Italia, la questione della “natura” del luogo dove mette piede se la deve porre a prescindere.

Gratteri aveva il dovere, sempre morale, etico, deontologico di chiedere alla questura, ai carabinieri, al suo amico Pellegrini: ma questo posto di chi è?

E il ristorante di Occhiuto non è il luogo ideale da frequentare per il procuratore capo della DDA, perché Gratteri sa bene che su di lui c’è una investigazione in corso.

Non è opportuno mangiare nel ristorante della persona che molti pentiti chiamano in causa per questioni di voto di scambio, e non solo. E Gratteri non può far finta di non sapere questo. Prova ne è il fatto che nelle stesse carte (i verbali dei pentiti Foggetti) che lo hanno portato per la terza volta a chiedere l’arresto del consigliere regionale Orlandino Greco e di Aldo Figliuzzi, ci sono anche i nomi di Occhiuto, Manna, Paolini. Quindi se ha letto il nome di Orlandino Greco, ha letto di sicuro anche quello di Occhiuto, perché stanno nello stesso verbale (vedi foto). Di fronte a questo, ognuno fa la propria scelta: c’è chi ha deciso di non giocare più a tennis e chi ha deciso di cenare nel ristorante di Occhiuto.

Ecco le carte: il verbale della DDA di Catanzaro dove appare il nome di Occhiuto redatto nel 2015. Verbale che oggi si trova dentro un fascicolo che è al vaglio investigativo proprio dall’ufficio diretto da Gratteri. Non può dire che non sapeva. E non c’entra niente, per quel che riguarda il lavoro del pm, se Occhiuto è già stato condannato, o se è incensurato. Quello che conta per il pm è la verifica dei fatti, e fino a che questi non saranno accertati non è costume dei magistrati frequentare le persone sulle quali indagano.

C’era o non c’era Occhiuto, diventa relativo di fronte al comportamento pubblico che deve mantenere un integerrimo magistrato. Del resto siamo abituati a vedere pm che cenano insieme ad indagati. Vedi Cozzolino e Potestio.

Non diciamo che Gratteri volutamente è andato in quel locale, ma di sicuro è stato superficiale nella scelta. Tutto qui. È una questione di opportunità.