Cosenza, clinica Misasi: i Morrone si arrendono, applicano il contratto Aiop e negano le manovre contro i dipendenti

“La casa di cura “Misasi” di Cosenza (di proprietà della famiglia Morrone, che ha nei politici Ennio, ex parlamentare e Luca, consigliere regionale, i rappresentanti di spicco, ndr) applichi subito i contratti collettivi sottoscritti con i sindacati maggiormente rappresentativi. La struttura deve rispettare la legge”.

È quanto chiedono la segretaria Generale FP CGIL, Teodora Gagliardi, e la segreteria regionale della categoria, al commissario alla sanità calabrese, Saverio Cotticelli. Ed è proprio quest’ultimo che adesso, dopo aver constatato la delicatezza e la gravità della situazione, ha preso l’impegno formale per dirimere e sbrogliare il nodo attorno alla casa di cura “Misasi”, di Cosenza, nella quale la FP Cgil denuncia ad alta voce di nuovo come la struttura applichi i contratti “Anpit”: per il sindacato, si tratta di contratti “pirata” in quanto difformi rispetto al regolamento attuativo della legge 24/2008.

Problemi gravi, non da poco, per chi subisce le difficoltà del rapporto lavorativo: infermieri, oss, personale medico ed amministrativo, costretti alla riduzione di una serie irrinunciabili di diritti retributivi, sindacali ed individuali.

Inoltre, la scelta della società è in pieno contrasto con quanto dichiarato dagli organi competenti dell’ASP di Cosenza e della Regione Calabria, ponendo un secco divieto al dumping contrattuale, il quale determina l’applicazione di contratti impropri e di conseguenza una riduzione delle tutele dei lavoratori. Uno stop al dumping contrattuale e sociale affermato con forza grazie al lavoro di squadra portato avanti con la Funzione Pubblica Nazionale, che segue questa vertenza con la consapevolezza che nella nostra terra il ruolo del Sindacato assume un valore fondamentale, denunciando chi pensa di tenere in ostaggio i lavoratori e tenta di mettere in atto un clima teso all’interno della struttura.

Dal momento in cui la Società San Bartolo ha comunicato la modifica unilaterale del contratto, il sindacato ha messo in evidenza l’esistenza di condizioni che impediscono tale variazione, e ha ribadito con forza che solo chi è in grado di assicurare condizioni contrattuali e professionali dignitose deve poter far parte del sistema sanitario regionale.

Inoltre, quanto sopra è pienamente ribadito dalla sentenza 466/2017 del Tar Calabria, ottenuta grazie allo sforzo della FP CGIL Calabria che ha chiesto ed ottenuto dal giudice amministrativo di pronunciarsi sul punto vedendosi accolte tutte le sue richieste.

Il dispositivo ha evidenziato, in maniera chiara ed inequivocabile, che ai fini dell’accreditamento delle strutture sanitarie private, nel sistema sanitario regionale calabrese, il personale tutto, sanitario e non, non può essere governato da altre forme contrattuali diverse dalla contrattazione collettiva di settore.

Il concetto era già espresso nella legge regionale n. 24 del 2008, disatteso inopinatamente dall’allora Commissario ad Acta, con la complicità del Dipartimento della Salute della Regione Calabria, e conseguentemente il DCA n. 81 del 2016, che sul punto aveva ideato e realizzato una sorta di liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro calabrese, censurato ed annullato dalla sentenza del TAR Calabria richiamata.

La strada da percorrere è quella di una sanità che ponga fine alla disparità di trattamento fra operatori che svolgono le stesse funzioni nel pubblico e nel privato. È incredibile che, mentre stiamo per raggiungere questo obiettivo al tavolo nazionale, con la sottoscrizione del contratto AIOP-ARIS, nella nostra Regione si cerca di tornare indietro sulle spalle dei lavoratori.

La FP Cgil continuerà a stare accanto ai lavoratori, a chi subisce gli effetti di una prepotenza contrattuale che trasforma sempre di più i lavoratori in merce di scambio e in vittime di logiche aziendali, soprattutto in un momento in cui proseguono le intimidazioni verbali e di altro tipo.

Fin qui la Cgil. Subito dopo la nuova presa di posizione del sindacato, i Morrone hanno inviato una missiva alla stessa Cgil e alle autorità nella quale, con una faccia di bronzo pari soltanto alla loro malafede, negano spudoratamente di aver messo in essere le loro squallide manovre per applicare il cosiddetto “contratto pirata”. I dipendenti, giustamente, vogliono che la pubblichiamo per avere la prova provata della gran faccia di culo che hanno questi due soggetti sempre più impresentabili e corrotti. A futura memoria.