Cosenza corrotta: i tanti omissis dei pentiti

Da quando è iniziata l’esperienza di Iacchite’ ho letto più verbali io che tutti i pm di Cosenza messi insieme. Migliaia di pagine che raccontano la storia criminale, e non solo, della città degli ultimi vent’anni. Vizi e virtù di una malavita in perenne contraddizione con se stessa. Una malavita sui generis quella cosentina che più volte ha provato a “costituirsi” in ‘ndrina, anche riuscendoci, conservando però quello “spirito libero” –  tipico delle bande criminali che si compongono all’occorrenza e con presenze ogni volte diverse – che di fatto cozza con i rigidi codici del perfetto ‘ndranghetista.

Il “locale” di ‘ndrangheta inteso come rigido ed impenetrabile contenitore di segreti, frequentato solo da pochi malandrini di provata fede ‘ndranghetistica, a Cosenza diventa, diciamoci la verità, un porto di mare. Chi entra, chi esce, chi passa da una parte all’altra, chi si pente e c’è lo stesso, chi allarga, chi stringe. Ed è questo prendere “alla leggera” l’affiliazione da parte delle cosche cosentine, a differenza del resto delle altre ‘ndrine sparse in Calabria che mantengono ancora vivo il rispetto del codice di affiliazione, che le ha rese vulnerabili sotto tutti i punti di vista, producendo, proprio perché il vincolo di affiliazione non è sentito, un esercito di pentiti.

E non è solo una questione di vincoli parentali o compartimenti stagno – presenti nelle altre ‘ndrine sparse in Calabria – ad arginare il fenomeno del pentitismo laddove tale legami sono presenti, perché a Cosenza la presenza di congiunti  all’interno della stessa cosca è frequente.  Di fratelli che accusano fratelli da noi ce ne sono a dire basta. E’ una questione di mentalità e cultura mafiosa, una tradizione che a Cosenza non esiste. L’essere legati ad una cosca da un vincolo di affiliazione mafiosa, oggi, come ieri, a Cosenza, non comporta più il “non poter tornare indietro”. Nella cosca, dove prendono chiunque, ci stai dentro il tempo che ti serve e per quello che devi fare e poi ognuno a casa sua. E se capita che vogliono fotterti e per salvarti devi vendere qualcuno, non ci pensi su due volte a farlo. Questa è la mentalità. Mero opportunismo criminale.

In questa accozzaglia indefinita, fatta di infamità, traggiri, carrette, complotti, comparaggi e scomparaggi, spiccano due tipi di malandrini a Cosenza: da un lato, i pochi che con le loro capacità sono riusciti a spiccare il volo verso lidi più remunerativi, e salotti ben frequentati, rivisitando in chiave moderna gli arcaici codici del perfetto malandrino; dall’altro la rozzezza che caratterizza i più.  Che vedono “nell’affiliazione” la possibilità di “sfogare” la frustrazione di “non essere nessuno”, esercitando quella ‘nticchia di effimero potere derivante da questa condizione, su qualche disgraziato morto di fame pari loro.

In altre parole: a Cusenza a tanti piace atteggiarsi a malandrino, anche se da questo non ricavano economicamente niente. E pur di essere definiti tali (malandrini) accettano di essere sfruttati, utilizzati e poi buttati via da chi, a differenza loro, sempre criminalmente parlando, il cervello lo fa funzionare. Ed infatti pochi sono colori i quali sono riusciti a stringere accordi con certa politica, e ad entrare nei giri di denaro che contano. Tutto il resto vive di spaccio, furti, strozzo, estorsioni, rapine, truffe, e ogni imbroglio possibile e immaginabile. Tant’è che tra i malandrini a guagna vera a Cusenza a tenunu in pochi, gli altri si arrangiano. “A malavita” per alcuni significa fare denaro, per altri ha un significo letterale: condurre una mala vita fatta di galera, sofferenze, rinunce, privazioni, ignoranza e miseria.

Questo il “motivo di fondo” di una narrazione che però è parziale. Perché la parola che in migliaia di pagine di verbali ricorre spesso è “Omissis”: formula latina (abbreviazione di ceteris omissis, ablativo assoluto: ‘omesse le altre cose’) con cui, nel riportare un testo, un atto o un documento, si avverte che sono state tralasciate parole o frasi ritenute non necessarie, o perché coperte da segreto.

Ho letto verbali di interrogatorio di quasi 40/50 pagine dove le pagine omissate erano più di tre quarti dell’intero verbale. Per una pagina in chiaro ce ne sono tre omissate. Questa è la media. Ed è proprio dietro gli omissis che si nascondono le verità più scomode di questa narrazione. Che va al di là del mero racconto delinquenziale fatto di episodi delittuosi e di chiamate in correità in questo o quel reato. Dietro gli omissis c’è il vero racconto criminale di questa città. Dietro gli omissis si nascondono gli insospettabili, i colletti bianchi, i politici corrotti. La vera ‘ndrangheta della città.  Ecco perché quella scritta fino ad ora è solo una parte del “romanzo criminale” cittadino. Manca ancora la parte migliore. E pare che qualcuno abbia già intinto la penna nell’inchiostro degli omissis per iniziare a scrivere il nuovo capitolo.