Se c’è una cosa che abbiamo imparato in tutti questi anni di denuncia è che a Cosenza niente è come appare. Specie in materia di Giustizia. Abbiamo imparato a capire che ogni azione mossa dalla nostra procura non è mai finalizzata alla ricerca della verità o della Giustizia. Ogni iniziativa nasconde sempre qualcosa di non detto, di opportunistico, di utilitaristico, di strumentale, mai niente fa riferimento solo ed esclusivamente al dovere istituzionale, all’etica professionale, alla morale sociale, al bisogno di legalità, alla necessità di non permettere a pochi di rubare il futuro di tanti.
Lo abbiamo detto tante volte: non siamo contro la magistratura ma contro certa magistratura. Quella che agisce per il proprio tornaconto personale e che baratta le proprie prerogative istituzionali per sete di potere e di denaro. Quella che si allea con i corrotti e permette loro di derubare il popolo. Se in una società non funziona la Giustizia è difficile anche che tutto il resto funzioni. Perciò il ruolo del magistrato è importantissimo. Se non è una persona onesta, corretta e ligia al dovere, sono guai.
Il magistrato altro non è che un dipendente dello stato, al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi che la nostra società si è data attraverso le proprie istituzioni. E solo a questo deve essere fedele. Perché è sulla Costituzione che giura. Ed invece assistiamo da decenni all’uso improprio delle proprie funzioni per fini personali o peggio ancora criminali.
E il tribunale di Cosenza, almeno per noi, è l’esempio più lampante di come la Giustizia non è al servizio del popolo, ma si adopera solo a tutelare una ristretta cerchia di potenti personaggi politici corrotti e masso/mafiosi vari. A smentire questa nostra tesi ci hanno provato sia il procuratore Spagnuolo che la dottoressa Manzini, con la super visione di quel personaggio inutile che è il presidente del tribunale, la dottoressa Mingrone, i quali, dopo una nostra lunga e serrata campagna stampa contro la corruzione in Comune e non solo, sono stati costretti ad agire, contro alcuni dei colletti bianchi che da tempo razziano risorse pubbliche per donarle, dietro compenso, a mafiosi e prenditori di ogni sporta. Facendo passare il tutto come una azione intrapresa per la loro spiccata coscienza sociale e per la conoscenza investigativa che hanno del malaffare presente nella gestione della cosa pubblica. Come a dire: non è vero che noi non ci muoviamo contro i corrotti come dice Iacchite’, e la prova sono i tre mesi di interdizione dei dirigenti comunali accusati di spezzettare gli appalti per favorire le ditte amiche e mafiose. Oppure: non ci limitiamo ad indagare solo chi fuma spinelli, ma anche i furbetti del cartellino e i professori che taroccano i titoli di studio.
Queste inchieste, seppur avvenute, non solo non significano quello che mediaticamente Spagnuolo vorrebbe far passare, ovvero il suo impegno contro la corruzione, ma addirittura avallano ancor di più la nostra tesi. Perché sono inchieste condotte a metà, dove si sacrifica qualcuno perché è la folla che lo chiede e si tutelano gli amici degli amici. E poi di che sacrificio parliamo? Tre mesi di interdizione a Pecoraro! Roba da far ridere i polli. Infatti in questa inchiesta non esiste nessuna indagine patrimoniale sui dirigenti e gli imprenditori indagati. Nessun blocco dei conti correnti, niente di niente. Solo una vacanza di tre mesi pagata dai cittadini ai dirigenti. La domanda sorge spontanea: come è possibile che la procura accusi i dirigenti di aver favorito, per denaro o altro, ditte amiche e mafiose, e poi nessuno della procura si prende la briga di vedere dove sono finiti i soldi delle mazzette?
Non solo, sempre nell’inchiesta sugli appalti spezzatino, esce di scena il capo della banda ovvero Potestio, così definito 18 mesi fa dalla Manzini che gli inviò un avviso di garanzia accusandolo di aver favorito la Medlabor e altre ditte in cambio di denaro e favori. Ma nell’inchiesta sugli appalti spezzatino, per magia, sparisce Potestio.
Dieci giorni prima dell’operazione sugli appalti spezzatino, avevamo pubblicato una foto che ritrae Potestio, il pm Cozzolino e il presidente del consiglio comunale Caputo a cena. Avevamo detto che quell’incontro serviva per tutelare Potestio da questa operazione, e Cozzolino era il garante. E così è stato: Potestio esce di scena incolume. Dunque una inchiesta a metà. Con l’aggravante, per la procura, della presa per il culo dei cittadini. Questa inchiesta non serve a niente, né a punire i veri colpevoli, né a fare Giustizia. Tipico di Spagnuolo.
Ancora: nell’inchiesta sui professori con i titoli di studio taroccati, Spagnuolo avvisa 33 di loro, ma dimentica di dirci da chi hanno comprato i diplomi. Chi prendeva i soldi e chi nel provveditorato li copriva. Siamo dovuti intervenire ancora una volta noi per fornire ai cittadini la notizia per intero. Tant’è che abbiamo scoperto che dietro a tutto questo colossale imbroglio ci sono due cognomi noti alla città e alla procura: Serafini/Bonofiglio. Ovviamente Spagnuolo si è guardato bene dal fare i loro nomi, e come al solito ha indagato l’ultima ruota del carro.
Questi da me appena esposti sono dati oggettivi, non ipotesi, che confermano che in procura, nonostante queste inchieste farlocche, nulla è cambiato. Loro malgrado sono stati costretti a procedere perché pressati dall’opinione pubblica e dall’evidenza dei reati. Ma solo per tutelare loro stessi da eventuali inchieste della DDA. Siamo sempre allo stesso punto. E la corruzione e l’impunità continuano a dilagare come se niente fosse successo. Perché, alla fine, non è successo proprio un bel niente.
GdD