Cosenza. De Marco va in pensione, storia di un vice che non divenne mai questore

Tra qualche settimana Raffaele De Marco, il vicequestore più discusso di Cosenza insieme a Pignataro e dopo l’ormai ex dirigente oggi in pensione Alfredo Cantafora, appenderà la divisa al chiodo e saluterà per sempre gli uffici della digos. Con lui se ne andrà non solo una carriera ormai al tramonto, ma anche quel sogno, forse un po’ troppo ambizioso, di lasciare un’impronta indelebile nella storia della questura cosentina. Invece, a quanto pare, di indelebile sono rimaste solo le polemiche e un’aria di fallimento così evidente che perfino il fax della questura pare essersi arreso, smettendo di funzionare per protesta.

De Marco è stato l’incarnazione perfetta del servilismo istituzionale: sempre pronto a saltare sul carro del potere, a farsi trovare disponibile per qualunque iniziativa, purché potesse garantirgli una spintarella verso quella carriera che, però, non è mai decollata. Si è sempre accodato con solerzia al più forte di turno, adattandosi ai desideri del capo come solo un adulatore professionista sa fare. La sua ossessione per “fare carriera” non lo ha mai portato molto lontano. Ma non si può dire che non ci abbia provato: tra multe a manifestanti pacifici, sorveglianze speciali contro attivisti e un controllo quasi maniacale delle proteste pubbliche, De Marco ha fatto del suo meglio per mostrare al questore di turno quanto fosse “utile”. E quanto la sua nomina a capo della digos, nel lontano febbraio del 2020, fosse stata una scelta azzeccata. Il risultato? Un curriculum che somiglia più a una raccolta di figuracce che a un elenco di successi.

Nella sua lunga e costellata di insuccessi carriera, anche il quasi ormai ex vicequestore De Marco non si è fatto mancare, al pari dei suoi predecessori Gerace e Cantafora, il “teorema” sui sovversivi. Solo che il suo, a differenza degli altri, che hanno avuto vita più lunga, è fallito prima ancora di nascere. Come i suoi predecessori, anche De Marco è stato protagonista di un tentativo tragicomico di giustificare misure di controllo sociale che persino la magistratura, in tutti i casi – ma nel suo in modo particolare – ha definito “un insulto all’intelligenza”. Con una città come Cosenza, che affonda nella corruzione e nel degrado, lui, come gli altri, si accaniva contro giovani attivisti con megafoni e anziani lavoratori con cartelli. Del resto, prendersela con i veri potenti richiede coraggio, e De Marco, diciamolo, non ha mai mostrato di averne molto.

E così, mentre si avvicina il giorno della pensione, De Marco si prepara a lasciare la scena. Il suo sogno di gloria? Naufragato, schiantatosi contro lo scoglio dell’incompetenza e della miopia. Nessuno si ricorderà di lui, se non per qualche aneddoto tragicomico.

Ma, finalmente, potrà dedicarsi a una nuova carriera: quella del pensionato modello, pronto a presidiare i cantieri cittadini insieme al suo vecchio mentore, Alfredo Cantafora. Seduti sull’immancabile panchina, armati di cappello e occhiali da sole, potranno osservare i lavori in corso con la stessa attenzione maniacale che un tempo riservavano ai cortei. Tra un sorso di caffè al bar e una critica al muratore “che non sa dove mettere le mani”, si sentiranno finalmente utili. Chissà, forse lì, tra improbabili consigli tecnici su come spostare una ruspa e commenti sarcastici sulla lentezza dei lavori, troveranno quella realizzazione personale che la digos non gli ha mai regalato. Dopotutto, anche guardare i cantieri richiede un certo talento… e almeno stavolta nessuno potrà criticarli per incompetenza.

 

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