Cosenza, dirigenti e dissesto finanziario: “uno-due” micidiale. Occhiuto al tappeto

di Michele Giacomantonio

Questi non sono nodi che vengono al pettine, questi sono cappi che si stringono al collo dell’amministrazione comunale, ma che impiccano pure la città intera.

Un “uno-due” pugilistico da schiantare al tappeto chiunque: ieri la delibera della Corte dei Conti che certifica la voragine debitoria del Comune di Cosenza, oggi la sentenza del Consiglio di Stato che boccia definitivamente lo stesso Comune nella sua scelta di assumere come dirigenti gli amici e non quanti avevano affrontato e superato un concorso. Al Consiglio di Stato bastano 15 pagine per spiegare che il sindaco non poteva assumere come dirigenti chi più gli piaceva, ma quei cittadini che avevano le loro competenze.

Questo chiarisce come il concetto di meritocrazia – che dovrebbe essere assai caro alla destra che guida la città – a Palazzo dei Bruzi sia stato inteso in modo flessibile e personalistico. I giudici della Quinta sezione scrivono con brutalità che al Comune si ordina “di immettere in ruolo i ricorrenti entro il termine di 90 giorni” e nel caso di “persistente inottemperanza” viene nominato come “commissario ad acta il Prefetto di Cosenza, al quale i ricorrenti potranno rivolgersi direttamente una volta scaduto il termine concesso per l’adempimento”.

Fine dei giochi, dunque. Era una sentenza attesa, che giunge dopo molto tempo, ma che ripristina il diritto e la ragionevolezza. Ma pure la speranza di chi si ostina a credere che il governo della città non sia un fatto privato, ma piegato alle norme e al bene comune. Ora per il sindaco si apre una questione politica. Deve assumere undici funzionari vincitori di concorso, ma per fare spazio a queste persone chiederà ai dirigenti assunti per chiamata diretta di sgombrare le scrivanie? Si tratta a ben guardare anche di una questione economica, perché volendo tenere in organico i nuovi dirigenti e i vecchi, quelli vincitori del concorso e quelli chiamati secondo criteri fiduciari, chi comanda a Palazzo dei Bruzi dovrà spiegare come questo impegno sia compatibile con le casse del comune. E qui la questione della sentenza del Consiglio di Stato finisce per saldarsi con la delibera giunta ieri dalla Corte dei Conti, che racconta di una città sull’orlo del baratro.

“Si rileva – si legge nella delibera –  che il Collegio dei revisori ha evidenziato il grave deficit di liquidità dell’Ente, causa del continuo ricorso all’istituto delle anticipazioni di tesoreria, con conseguente esposizione a costi eccessivi per interessi passivi verso il tesoriere.” In altre parole l’allarme lanciato dice che i soldi sono finiti, anche perché gli stessi revisori hanno rilevato che “nel 2017 il Comune non restituisce, a fine esercizio, cospicue anticipazioni di tesoreria (circa 12 milioni di euro)”.

C’è nelle carte prodotte dalla Corte dei Conti quasi un intento pedagogico, quando per esempio si legge che “Il ricorso al piano di riequilibrio non si esaurisce in un mero piano di estinzione rateizzata dei debiti in un esteso arco di tempo, ma prevede l’adozione di misure strutturali che evitino il riformarsi dei debiti. Si deve cioè dimostrare di poter garantire in prospettiva un equilibrio economico-finanziario veritiero e durevole nel tempo”. La Corte dei Conti dice al Comune che deve essere credibile e non deve eludere i richiami, che sono stati frequenti e inascoltati. Per esempio a pagina 20 della Delibera si legge che “Il Comune di Cosenza è stato più volte intimato al rispetto del suddetto piano di rientro, da ultimo con diffida del 07/09/2018, in quanto risultava inadempiente per n. 6 rate (€. 465.741,66).” Sembra dunque che non pagare le rate concordate per rientrare dal debito sia la cifra di questa amministrazione. Adesso il Comune ha dieci giorni (partendo da ieri) per spiegare che sarà in grado di tappare le falle e proseguire la navigazione. Intanto sul corso principale della città bizzarri pupazzi colorati spiegheranno  ai cittadini che tutto va a meraviglia.