Cosenza e Rende, il blitz di Gratteri un anno dopo. Franz Caruso e il silenzio dell’incosciente

È prassi consolidata oramai sentire la politica, la società civile, le associazioni antimafia e i cittadini onesti plaudire al lavoro delle forze di polizia subito dopo una clamorosa retata. Gli elogi, i complimenti, gli encomi di solito si sprecano. Tutti a dire: “Lo stato anche in questa martoriata terra c’è. E lo dimostra l’enorme lavoro svolto dai magistrati e dalle forze di polizia a cui va tutto il nostro plauso”. Una espressione – di facciata, sincera, di opportunità, genuina, ad ognuno il suo – che arriva sempre puntuale all’indomani di una massiccia operazione giudiziaria. Succede sempre così, o meglio quasi sempre. Perché a Cosenza nessuno: politica, società civile, associazioni e cittadini, ha inteso pronunciare, nemmeno per salvare le apparenze, una sola parola di elogio al lavoro svolto delle forze di polizia e dai magistrati che hanno provato a liberare la città dal giogo mafioso. Tant’è vero che un anno dopo… tutto è tornato come prima, come se non fosse successo niente. Solo a Rende c’è stata una novità con lo scioglimento del Comune ma proprio perché non se ne poteva più fare a meno… 

A Cosenza, dove siamo tutti sciampagnuni, la politica ha preferito buttarla sul garantismo per nascondere la sua appartenenza culturale e sociale al sistema massomafioso che da tempo governa la città unica di Cosenza/Rende. Se si tratta di fare la faccia bella parlando delle retate delle altre città, non c’è problema a pronunciare la formuletta, ma prendere “posizione”, anche solo per questioni di opportunità, sulle paranze dei fratelli della propria città, potrebbe essere frainteso da qualcuno. L’antico e solido legame tra fratelli massoni, che ha reso Cosenza una “isola felice” all’apparenza, un porto franco per amici in cerca di protezioni giudiziarie e non solo, ha una sacra regola inviolabile: negare sempre la presenza della ‘ndrangheta a Cosenza e di conseguenza l’inesistenza di legami tra la politica e la mafia.

È questo che si nasconde dietro il peloso e strumentale garantismo sfoggiato dalla politica cittadina, sindaco in testa. Non si complimentano perché se lo facessero dovrebbero ammettere che in città oltre il 50% delle attività produttive e commerciali, sono in mano ai clan, e che la ‘ndrangheta è viva e vegeta e lotta insieme a loro. E se la ‘ndrangheta esiste, esistono anche gli intrallazzi con i politici. Perciò Cosenza va difesa, non dai criminali e dai massomafiosi, ma da chi, come la Dda di Catanzaro, vuole infangare, con retate a strascico, l’onore della città appiccicandogli l’etichetta di città dove la ‘ndrangheta entra (dappertutto). Cosenza è un’“isola felice”, e tale deve restare nell’immaginario collettivo, anche a costo di difendere conclamati mafiosi.

A voler ammettere il sincero garantismo del sindaco Franz, che di professione fa l’avvocato, e quindi ha dimestichezza con le ordinanze, che prudentemente non si espone con dichiarazioni di “condanna” nei confronti degli arrestati, una domanda però sorge spontanea: se non puoi esprimerti nel merito sulle brutalità commesse da feroci clan che popolano la città che governi, una parola sulle centinaia di cittadini vessati che non parlano, non denunciano, la vuoi dire? Almeno questo… non fosse altro che per una mera questione di facciata! Se questo non ti è passato neanche per l’anticamera del cervello le cose sono due: o stai zitto perché vuoi rispettare la regole dei fratelli, oppure il tuo è un silenzio da incosciente, vista la gravità della situazione. E gli incoscienti non possono certo amministrare la cosa pubblica.