Antonio Ruperti, il ragazzo di 17 anni ucciso da un’auto civetta della polizia sabato scorso a Torre Alta, per tutti i suoi amici era “Totò”. E di amici coetanei ne aveva tanti se è vero, com’è vero, che al suo funerale nella chiesa di Cristo Re a via Popilia ce n’erano forse più di un centinaio. Quegli stessi ragazzini che, sul luogo dell’omicidio, ormai da sabato notte, continuano il loro mesto pellegrinaggio portando palloncini, fiori di plastica, biglietti ed altro. L’altra sera, alla vigilia del funerale, fuochi d’artificio e musica dei neomelodici napoletani a palla. Stamattina, davanti alla chiesa di Cristo Re, moto e motorini parcheggiati sul sagrato e magliette per Totò che “resterà sempre nei nostri cuori”. Alla fine della cerimonia motori accesi e altri cinque minuti di fuochi d’artificio in pieno giorno, poi la sfilata delle moto dietro il carro funebre.
Ma non solo: anche tante richieste di “Giustizia per Totò”, così come c’era scritto su quello striscione che penzolava dalla sopraelevata di fronte al Tribunale di Cosenza lunedì mattina e che qualche zelante poliziotto ha provveduto a rimuovere in tutta fretta. E l’inevitabile “stesa” davanti alla questura al grido di “assassini”.
Non c’è dubbio che ci siano gravi responsabilità della polizia nell’omicidio di Antonio Ruperti e il “pesce grosso” in questa tragica storia abbiamo già avuto modo di individuarlo: si chiama Cataldo Pignataro, qualifica di vicequestore ma incarico di capo dell’Ufficio… Immigrazione, capo della pattuglia che a bordo dell’auto civetta quel sabato mattina si trovava a Torre Alta e ha finito con lo speronare la moto sulla quale viaggiava Totò. Pignataro non pagherà per quest’omicidio; hanno già trovato il capro espiatorio nel giovane agente autista e dimostreranno, con i loro potenti mezzi, che quello di Totò è stato un incidente. Punto e basta.
Al di là della giustizia, che a Cosenza peggio che in altre parti d’Italia è una barzelletta, di queste drammatiche giornate restano molti “flash”. Qualcuno dice, forse anche a giusta ragione, che sarebbe interessante capire cosa fanno e cosa cercano questi ragazzini, che molto spesso finiscono nelle grinfie di clan mafiosi e delinquenti senza scrupoli che li usano a loro piacimento. Probabilmente, dopo la tragedia, oltre al dolore per aver perso un amico, c’è anche la voglia di immedesimarsi in chi ancora minorenne guidava senza patente e senza assicurazione una moto di grossa cilindrata e aveva un ruolo di spicco nell’organizzazione.
Ora, senza voler apparire a tutti i costi come censori dei cosiddetti media di regime, se la televisione ci martella con serie tv come Gomorra o Mare fuori, è naturale che queste sono le conseguenze “culturali”. Non ci si può scandalizzare e noi non ci scandalizziamo, anche perché vediamo le serie tv e in fondo rappresentano quello che accade realmente non solo a Napoli e dintorni ma in tutto il Paese. E la “stesa” di cui sopra con i motorini l’hanno vista proprio in queste serie tv, non certo da altre parti.
Poi però si dovrebbe aprire anche un capitolo sugli sbirri frustrati che giocano a fare Starsky&Hutch (celeberrima serie televisiva americana degli anni Ottanta) in pieno centro e che mandano allo sbaraglio – così come i delinquenti fanno con i ragazzini – giovani agenti magari bravi a guidare come quello che adesso è indagato per l’omicidio di Totò. E anche in questo caso ci sono i media di mezzo: anche la serie tv americana con Starsky&Hutch ha creato dei “mostri”, che però non hanno 16 o 17 anni ma ne hanno più di 50. Carne all’ammasso in entrambi i casi? Probabilmente sì. Questa è la società che ha creato la politica corrotta e lo stato deviato. O se preferite la trattativa mafia-stato. Perché ormai non si capisce dove comincia uno e finisce l’altro. E la questura di Cosenza che continua a negare che il vicequestore declassato fosse lì a Torre Alta a fare il fenomeno è perfettamente paragonabile ai ragazzini allo sbaraglio che fanno la “stesa”: sono due facce della stessa medaglia.