Cosenza. Il blitz di Gratteri un anno dopo. Tra le paranze tanti confidenti e non solo pentiti

Tra le tante conferme che arrivavano all’indomani del blitz di Gratteri (del quale in questi giorni si celebra il primo anniversario), sul funzionamento e sui personaggi che animano il “sistema massomafioso cosentino”, di cui tutti conoscevano e conoscono l’esistenza, vale la pena evidenziare, per gli scettici a nonna e per chi si riempie la bocca di onore, dignità e cultura mafiosa, una peculiarità che caratterizza la mala cosentina: rendere, spontaneamente, confidenze, sugli affari sporchi dei rivali, alla polizia. Certo, questo succede ovunque, in tutte le paranze c’è sempre qualche confidente, ma non ai livelli di Cosenza. Basta ricordare che la mala cosentina si appresta a battere il record mondiale di pentimento, 150 pentiti “per chilometro quadrato”, un primato destinato a superare ogni aspettativa in attesa di ricevere ancora altri nuovi “cantari” dall’ultima retata. Da Barone e Porcaro in poi… 

Senza andare troppo lontano, e per meglio comprendere il livello di squallore e infamità che qualifica il mondo malavitoso, lasciamo che a confessare la diffusa pratica di confidente nelle paranze, che trova riscontro nelle intercettazioni del blitz di Gratteri, sia proprio un ex malandrino che questo “mestiere” lo conosce bene. Era il 2015 quando una microspia, posizionata in casa Abbruzzese registrava una conversazione tra Celestino Abbruzzese alias Micetto, e la moglie Palmieri Anna. Da lì a poco sarebbe scattato il blitz condotto dalla Dda di Catanzaro coordinato dall’allora aggiunto dottor Bombardieri (oggi procuratore capo della procura di Reggio Calabria), “Job center” contro l’intera rete di spaccio capeggiata proprio da Micetto. Un blitz che divenne processo e che portò alla condanna di tutti gli arrestati (13 anni e 4 mesi per Micetto e 10 anni per Anna Palmieri), insieme alla solita fila di pentiti, compresi Micetto e signora.

Micetto è figlio d’arte. Il padre è il capo indiscusso del cosiddetto clan degli zingari specializzati nel traffico di droga. La loro è una storia criminale di tutto rispetto. A quei tempi Micetto si atteggiava a boss della città. E guai a chi sgarrava. Teneva a stecchetto i suoi pusher, spesso costretti a spacciare perché tossicodipendenti, e non ammetteva concorrenza, di cui usava liberarsi facendo delle confidenze agli “sbirri”. Si cantava i pusher che non gli stavano bene. Micetto è sempre stato un pentito e un confidente della polizia, e a dirlo non siamo noi (sottolineiamo), ma il dottor Bombardieri (allora sostituto alla Dda di Catanzaro) durante la conferenza stampa dell’operazione Job Center. Queste le parole del dottor Bombardieri: “L’organizzazione ha dimostrato di saper gestire bene lo spaccio nel centro storico cosentino. Avevano una cassa comune, un’organizzazione verticistica e hanno perfino denunciato un soggetto, Zicaro, alle forze di polizia per farlo arrestare, visto che stava acquistando troppa importanza. Quando Zicaro fu fermato, Micetto e famiglia fecero una vera festa, con tanto di squilli di tromba, a casa loro, che abbiamo immortalato in un’intercettazione ambientale”.

Il figlio del boss che di giorno faceva il malandrino e la sera il confidente, ed è lui stesso a dirlo. È così che funziona tra gente di questa risma: fanno gli amici finchè gli conviene, e poi ti vendono per meno di cento lire. A confermare la diffusa presenza di confidenti nella mala cosentina  e le parole di Micetto, qualora ce ne fosse bisogno, una intercettazione tra due soggetti arresti nel blitz di Gratteri. È il 27 ottobre 2018, e gli investigatori intercettano una conversazione tra Andrea Greco e Pietro De Mari noto come “Coccobill”. Il Greco racconta all’amico quello che gli è accaduto il giorno prima: «Ieri, i carabinieri ad un posto di blocco, mi hanno smontato (…) venti pezzi ho buttato… Quello della Giulietta mi aveva già bloccato qua sotto! Meno male che sono stato intelligente! Come sono scappato (…) me ne sono scappato dietro il bigliardo! Menomale che il compare tuo l’aveva già buttata sotto là! Però inculachilé l’hanno trovata dopo». «Te l’hanno accollata?» chiede De Mari a Greco che risponde: «E come fanno ad accollarmela? (…) io ho detto, tu trovi un morto a cento metri ed è il mio il morto, che stai dicendo!?

Ed è a questo punto che De Mari, dopo aver ascoltato il racconto, capisce che qualcosa non torna. Sembra quasi che i carabinieri sapessero già dello spostamento dello stupefacente, e che fossero lì in attesa del passaggio del Greco. E dice chiaramente all’amico: “Ce li mandano (…) non lo vuoi capire che ce li mandano!”. Ecco, i due si spiegano così l’episodio, non c’è dubbio che i carabinieri erano lì per via di una soffiata. E non serve un pentito per dire, a chi sceglie questa ignobile vita, che se non finisci in galera per chissà quale fortuna, stai tranquillo che prima o poi trovi chi ti ci manda. E non sono gli sbirri!