Cosenza, il sogno è realtà: Braglia come Di Marzio e Sonzogni

Classe 1955, toscano di Grosseto, Piero Braglia alla fine ha conquistato tutta Cosenza. Del resto, la sua carriera parla chiaro: ha al suo attivo cinque promozioni, una Coppa Italia di Lega Pro e 25 anni di panchina sulle spalle. Mica pizze e fichi.

Da giocatore ha indossato le casacche di Fiorentina, Catanzaro (dal 1978 al 1984 quasi sempre in Serie A), Triestina e Catania.

Braglia ha poi ottenuto quattro promozioni dalla Serie C (o Lega Pro) alla B con Catanzaro, Pisa, Juve Stabia e adesso Cosenza e ha vinto un altro campionato dalla C2 alla C1, con il Montevarchi. In bacheca anche una Coppa Italia di Lega Pro, vinta con la Juve Stabia nella stagione 2010/11, quando ottenne il “double” (campionato e coppa) alla guida delle “vespe”. A Cosenza è il quinto allenatore che conquista la promozione in Serie B. Escludendo la “preistoria” ovvero Renato Vignolini e Julius Zsengeller, comunque due nomi importanti per il calcio, è riuscito a eguagliare le imprese di due grandi allenatori carismatici come Gianni Di Marzio e Giuliano Sonzogni.

Braglia ha iniziato la sua carriera da tecnico con la Bibbienese, allenando poi Colligiana, Rondinella, Sangiovannese, Montevarchi, Pontedera, Foggia, Chieti, Catanzaro, Pisa, Lucchese, Frosinone, Taranto, Juve Stabia, Lecce e Alessandria. Braglia è sbarcato sulla panchina del Cosenza dopo una lunga carriera vissuta alla sua maniera, col coltello tra i denti e il sangue negli occhi. Non è un diplomatico e nemmeno un eccentrico: se lo si dovesse categorizzare in una specie di allenatore, non si farebbe peccato a inserirlo in quella dei “sanguigni”. E tutta un’aneddotica sulla sua storia lo conferma.

Piero Braglia vive le partite con il trascinamento emotivo di un tifoso, anche più. La sua squadra del cuore è quella che allena e la difende oltre le righe, perché mal tollera le ingiustizie e non nasconde quello che pensa. Così, quando alla guida della Juve Stabia si vide negati due rigori solari contro il Lanciano, protestò veementemente con l’arbitro e si “guadagnò” quasi due mesi di squalifica per ingiurie e spintonamenti nei suoi confronti.

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Solo un carattere forte e ruggente può avere certi slanci di agonismo, quell’ardore che si spera riesca a trasmettere ai ragazzi di cui ha appena ereditato il corpo ma soprattutto la mente. Come quando, nel secondo tempo di Novara-Juve Stabia, scoccò un bacio al pubblico di casa e alzò un eloquente dito medio in direzione della tribuna.braglia

“Ma il bacio era rivolto a mia moglie”– dichiarerà in seguito – e sul dito medio smentisco categoricamente”. Tesi non convincente per il giudice sportivo, che gli comminò due giornate di squalifica confermate in appello. I suoi vulcanici atteggiamenti spesso lo hanno fatto finire sul libro nero del martedì mattina, in particolare a Pisa quando si è beccato per ben tre volte una squalifica con la stessa motivazione: “Comportamento offensivo nei confronti dell’assistente di gara”. È accaduto dopo Pisa-Grosseto, Atalanta-Pisa e Pisa-Pontedera.

Anche le sue dichiarazioni raramente producono banalità. L’accento tipicamente toscano lo aiuta ad aggiungere verve ad ogni parola pronunciata.

In passato diverse volte ha dato materia prima alla carta stampata. Quando gli venne chiesto del mancato approdo sulla panchina della Salernitana, rispose con un pizzico di ironia ed un velo di polemica: “Sarà che non ho il carattere…”. Altrettanto schietto e coraggioso nel bacchettare la piazza pisana a muso duro“Attorno alla mia squadra c’è stupidità” o nel ripudiare senza troppi complimenti i suoi trascorsi da tecnico del Taranto“A me del Taranto non frega assolutamente nulla. Ho solo preso soldi ed è stato il minimo. Avrei piacere a salutare un paio di persone e basta. Le altre? Se non le vedo sto meglio”.Potremmo andare avanti ancora citando le accuse rivolte pubblicamente al presidente del Pisa: “Battini si circonda di certa gente che non capisce un c…zo di calcio. Se non apprezza il mio lavoro, sa benissimo cosa fare”.

Ma forse può bastare una frase per riassumere Piero Braglia in tutto il suo essere personaggio: “Dicono che non sia adatto alla B, e tanto meno alla A? Me ne frego. Se devo mettermi in giacca e cravatta per andare avanti, non ci sto. Forse lo dicono perché ogni tanto mi faccio buttare fuori ma, comunque sia, io sono quello che sono e non scendo a compromessi con la mia coscienza”.Tornando all’attualità, l’impresa del Cosenza è soprattutto la vittoria di Piero Braglia. Un trionfo che cancella le delusioni con Lecce e Alessandria (campionato dominato e poi gettato via nella passata stagione ed esonero a tre giornate dalla fine). Il quarto sigillo in questa categoria. Un trionfo partito da lontanissimo. Da una posizione di classifica deficitaria (due punti nelle prime cinque partite) prima, dal primo turno playoff poi. Sei scogli da superare. Come l’eroe di un film che abbatte ostacoli a ripetizione prima del lieto fine. Sì, perché quella del Cosenza è una favola senza fine. Una favola dal titolo semplice: Serie B.