Cosenza, l’omicidio di Antonio Ruperti e la deriva del vicequestore declassato

Ci hanno provato in tutti i modi a sminuire l’omicidio di Antonio Ruperti nel quartiere di Torre Alta a Cosenza, del quale oggi ricorre il primo anniversario (una messa in suffragio sarà celebrata stasera alle 19 nella chiesa di San Francesco Nuovo a via Popilia). Hanno scritto e detto che il ragazzo non aveva la patente, che la moto in sella alla quale è stato ucciso è di un pregiudicato e non ha la copertura assicurativa e finanche la revisione (sic!). Hanno provato e stanno provando ancora, con dedizione e abnegazione degna di miglior causa, a sostenere che la “colpa” è del destino cinico e (soprattutto) baro. Ma nonostante tutti questi sforzi, a parte quei quattro giornalisti di regime che non indagherebbero neanche se qualcuno puntasse loro una pistola alla tempia, non hanno convinto nessuno. I cosentini, da quel maledetto sabato 9 settembre dello scorso anno, quando vedono qualche poliziotto in giro – specie in borghese -, non fanno niente, ma proprio niente, per nascondere il loro disappunto e la loro sfiducia. Qualcuno gli mostra anche i denti e loro lo percepiscono e ne soffrono. Perché, per fortuna, non sono tutti uguali. 

Il problema delle forze di polizia è che c’è uno spirito di appartenenza così forte che sono davvero pochi quelli che hanno il “coraggio” – o se preferite i coglioni – di denunciare i colleghi “mele marce” che gettano discredito sulla divisa e sul corpo. E quel sabato mattina di un anno fa a Torre Alta il capo pattuglia che aveva la responsabilità di quello che si faceva dentro la Jeep Renegade bianca di servizio alla questura di Cosenza non ha fatto il suo dovere.

Cataldo Pignataro – questo il nome del capo pattuglia – sulla carta è un vicequestore, perché avendo ricoperto questa carica a Crotone e a Corigliano-Rossano gli spetta di diritto, ma a Cosenza è tornato dopo 4 anni con un pesante declassamento (lo hanno messo a dirigere l’Ufficio… Immigrazione), all’indomani di un disarmante fallimento nella maggiore città dello Jonio.

CHI E’ CATALDO PIGNATARO (https://www.iacchite.blog/cosenza-lomicidio-di-antonio-ruperti-chi-e-il-capo-pattuglia-pignataro-gia-vicequestore-a-crotone-e-rossano/)

Pignataro per molti anni ha diretto Squadre mobili, volanti e pattuglie e ha coordinato indagini di polizia, ha superato ormai la soglia dei 50 anni e di conseguenza non si può dire che non abbia esperienza. E’ un personaggio eccellente, nonostante il fallimento a Rossano, e nessuno dei suoi colleghi se la sente di menarlo in testa e di affibbiargli la responsabilità dell’omicidio del ragazzo. Lo difenderanno fino alle estreme conseguenze, gli hanno già dato in “omaggio” la testa del giovane agente che gli faceva da autista, non prima di aver verificato che – male che vada – sarà condannato per omicidio… stradale. Ma quello di Antonio non è un omicidio stradale ma è un omicidio vero e proprio magari colposo, ma non certo un omicidio stradale che al nostro paese significa incidente stradale.

Lo spirito di appartenenza e la buona immagine della corporazione della polizia sono più forti di tutto e in questi casi si deve andare fino in fondo, anche a costo di essere guardati in cagnesco dalla gente. E Cataldo Pignataro va difeso fino alla fine e costi quel che costi. Così vanno le cose nel nostro paese, non solo a Cosenza ed è già una mezza “rivoluzione” che qualcuno abbia tirato fuori il nome e abbia fatto vedere a tutti la faccia del vicequestore declassato associata all’omicidio di un ragazzo. Ai tempi del giornalismo di regime e asservito ai poteri forti forse più che una “rivoluzione” è un miracolo e pubblicare la foto della questura con lo sfondo del vicequestore che ha giocato a Starsky&Hutch in pieno centro cittadino è solo il nostro doveroso tributo alla memoria di Antonio, che da lassù si sta ancora chiedendo perché è toccato proprio a lui essere oggetto della deriva umana più che professionale di un poliziotto frustrato e senza dignità.