La città di Cosenza è ancora sgomenta per la tragica morte del giovanissimo Antonio Ruperti, 17 anni, speronato e ucciso da un’auto civetta della polizia nella giornata di sabato nel quartiere di Torre Alta mentre era alla guida di una moto di grossa cilindrata. Più passano le ore e più diventano chiare le sconcertanti logiche che hanno portato all’incidente fatale per il ragazzo. I genitori hanno presentato formale denuncia contro i tre poliziotti che erano a bordo della Jeep Renegade accusandoli di avere intenzionalmente speronato la moto sulla quale viaggiava Ruperti. La prima azione della procura di Cosenza, in perfetto stile porto delle nebbie, è stata quella di indagare un solo poliziotto ovvero quello che è risultato alla guida della Jeep. Si chiama Gianmario Minervini. Secondo quanto si è appreso, al vaglio degli inquirenti ci sarebbe anche un video di alcune telecamere di sorveglianza del luogo che potrebbe chiarire l’esatta dinamica dell’accaduto. Intanto, la procura ha affidato l’incarico dell’autopsia sul corpo del ragazzo al medico legale Bernardo Cavalcanti.
In questa sede, tuttavia, non ci interessa approfondire le dinamiche del tragico scontro ma invece cercare di capire come mai quei tre poliziotti si trovavano lì e di conseguenza, chiarire anche chi era il capo pattuglia di quella sciagurata mattina e a quali ordini – ammesso che ce ne fossero – rispondeva. Il capo pattuglia è un nome eccellente del panorama della polizia calabrese: si chiama Cataldo Pignataro, ha 51 anni, è di Cariati e attualmente nella questura di Cosenza si occupa dell’ufficio Immigrazione. Una circostanza che suona subito molto strana, dal momento che non si capisce cosa c’entri l’ufficio Immigrazione con una molto presunta operazione di polizia sul territorio cittadino. Insieme a lui un tale del quale si conosce solo il cognome, Carelli, ma che dev’essere in qualche modo vicino a Pignataro e l’utile idiota, verosimilmente l’agente più giovane, messo alla guida del mezzo, Gianmario Minervini.
Decisamente difficile pensare che il questore o ancora peggio il capo della squadra mobile o la procura di Cosenza o addirittura la Dda di Catanzaro potessero avere investito di un’operazione l’ufficio… Immigrazioni. E però, il prode Pignataro ormai da qualche giorno aveva preso di mira con la sua squadriglia un soggetto gravato di precedenti penali, Valentino De Francesco, e la sua moto. I tre lo pedinavano e sabato mattina hanno deciso di affondare il colpo, non si sa bene non solo eseguendo quale ordine (se non quello proveniente dalla testa di Pignataro) ma anche in base a quale folle logica di indagine.
Le immagini delle telecamere ci diranno qual è stata la dinamica dell’incidente ma a questo punto non possiamo fare a meno di tracciare un profilo di questo capo pattuglia. Cataldo Pignataro ha avuto il suo primo incarico di rilievo al Reparto mobile della polizia di Reggio Calabria, dove si è fatto le ossa, per poi passare alla direzione della Squadra volante della questura di Crotone. Proprio nella città pitagorica Pignataro ha fatto carriera in poco tempo: dalla Squadra volante è approdato alla Divisione anticrimine fino a diventare vice capo della Squadra mobile – incarico ricoperto per 10 anni – e Dirigente dello stesso ufficio ovvero vicequestore aggiunto per altri tre anni. Da Crotone, Pignataro è approdato nel 2015 a Cosenza, dove è stato nominato dirigente dell’Ufficio volanti della questura e poi dirigente dell’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico.
Il definitivo salto di qualità arrivava, tuttavia, nel 2019, quando Pignataro è stato chiamato a dirigere il commissariato di polizia, diventando il vicequestore della terza città della Calabria. A gennaio 2023 Pignataro è stato sollevato dall’incarico e da qualche mese era stato evidentemente declassato all’Ufficio Immigrazione, notoriamente cimitero degli elefanti per poliziotti in bassa fortuna.
Non è difficile raccogliere, soprattutto tra Crotone e Rossano, testimonianze tutt’altro che entusiasmanti del suo lavoro in questura. Nella città di Pitagora, sono in molti a ricordare i suoi metodi non proprio ortodossi quando si trattava di punire i deboli e la sua deferenza nei confronti dei personaggi influenti. Per non parlare delle complicità e degli errori a volte pacchiani e grotteschi nelle indagini.
A Rossano invece tutti conoscono le sue diatribe con il sindaco Flavio Stasi, che non gliele ha mai mandato a dire e che ha polemizzato con lui in maniera anche virulenta quando si è trattato di fomentare controlli “sceriffeschi” in occasione in particolare di un concerto molto partecipato del gruppo rock Negrita. Pubblichiamo di seguito un post su FB di Stasi, che chiariva in maniera disarmante i metodi di Pignataro. Siamo nel 2021.
Pignataro a Rossano non è durato molto tra lupare bianche e dilagare incontrastato della criminalità con decine e decine di macchine incendiate: meno di quattro anni e poi un calcio nel sedere all’alba dei suoi 50 anni per ritornare a Cosenza con un ruolo decisamente marginale all’Ufficio Immigrazioni. Dev’essere per questo che il prode Pignataro, sentendosi fuori dai giochi, ha provato a muovere le acque in maniera autonoma e maldestra nel tentativo di ritornare alla ribalta con qualche operazione mirata. E siamo a quella terribile mattinata di sabato quando Pignataro, alla guida della sua strampalata “squadraccia” ha concepito il pedinamento della moto di De Francesco sfociato nell’omicidio di Antonio Ruperti. La palla adesso passa al questore in primis e poi alla procura di Cosenza: ci devono spiegare cosa ci facevano a Torre Alta a bordo di un’auto civetta il capo dell’Ufficio… Immigrazione, un suo fedele scudiero e un malcapitato ragazzo al quale adesso vogliono addossare tutte le colpe. Per quanto ci riguarda, non molleremo la presa e ci sentiremo soddisfatti solo quando tutti quelli che devono pagare per l’omicidio di Antonio avranno pagato. E i superiori di Pignataro non potranno far finta di non aver visto perché – è bene ricordarlo – il soggetto di cui sopra è solo una mela marcia e non rappresenta certo la totalità dei poliziotti onesti e responsabili che fanno il loro dovere.