“Oggi sabato 30 novembre 2024. Finisce novembre, siamo quasi a Natale. Io oggi mi sento più bene e calmo, grazie all’uscita che abbiamo fatto ieri con il pulmino. Tutto questo mi ha fatto scaricare il nervosismo, perché sempre chiuso in queste sbarre di Villa degli Oleandri, con assenza di umanità tra noi, lupo mangia lupo. Poi ti disturbano la notte quando dormi. Stanotte mi sono venuti a chiedere una sigaretta alle 3,30. Si è arrabbiato pure l’operatore di turno…”.
Si interrompe così quello che, secondo la direzione della clinica Villa degli Oleandri, sarebbe l’ultimo scritto di Salvatore. A sei mesi dalla sua morte, e solo dopo ripetute richieste da parte dei familiari, la struttura ha finalmente restituito gli “effetti personali” che erano in giacenza: una computisteria con la scritta in copertina “Salvatore Iaccino – Top Secret”. Di quella computisteria risultano scritte solo le prime tre pagine. Altre risultano strappate. Insieme ad essa: un foglietto volante, un quaderno senza copertina con qualche rima sparsa e per lo più vuoto, e un foglio di computisteria strappato dalla spillatura, con una sola pagina scritta. In totale: quattro pagine scritte.
In tre mesi Salvatore (partendo da agosto, mese in cui arriva agli arresti domiciliari presso la clinica, e stando alla data dell’ultimo scritto, 30 novembre) avrebbe prodotto appena quattro paginette. E questo è già il primo dato che cozza con la verità sulla sua morte e con la realtà. Perché tutti lo sanno: Salvatore una computisteria di 80 pagine la riempiva in meno di mezz’ora. A modo suo, ma la riempiva. Un fiume in piena. E, sempre secondo la data dell’ultimo scritto, dal 30 novembre fino a quel maledetto 17 febbraio, non avrebbe più scritto nulla. Silenzio assoluto. E qui siamo all’apoteosi del dubbio.
È semplicemente incredibile che in sei mesi di detenzione, Salvatore abbia prodotto solo queste quattro paginette. L’impressione — che nasce non solo dalla lunga e ingiustificata attesa per la restituzione dei suoi effetti personali, ma soprattutto dalla restituzione di una sola computisteria — è che qualcuno abbia volutamente preso tempo. Per far sparire tutto ciò che Salvatore ha scritto. Perché magari conteneva accuse, nomi, fatti degli orrori perpetrati nella clinica ai danni dei pazienti.
Del resto, le quattro paginette riconsegnate non contengono nulla di compromettente. Nulla di diretto. Nulla che possa disturbare. Se non, forse, una frase: “La casa di cura Villa degli Oleandri è diventata immangiabile, troppo costosa, è ridotta a un cumulo di macerie e degrado”. Troppo poco per chi conosceva Salvatore. Troppo poco per chi sa cosa succede tra le mura chiuse di certi luoghi.
È legittimo, a questo punto, chiedersi se davvero si sia trattato di suicidio. Perché più si va avanti, più diventa evidente che qualcosa non torna. Le incongruenze si sommano, le omissioni si stratificano, e le risposte — quelle vere — non arrivano mai.
La clinica Villa degli Oleandri ha restituito ai familiari solo brandelli della vita di Salvatore. Quattro pagine sterili, svuotate, spuntate. Il resto? Scomparso. Sparito come se non fosse mai esistito. Ma chi conosceva Salvatore sa che non era il tipo da tacere, tantomeno da smettere di scrivere. E allora viene da chiedersi: chi aveva interesse a far sparire i suoi scritti? Chi aveva paura delle parole di Salvatore?
La verità, forse, è molto più semplice — e molto più spaventosa — di quanto ci vogliano far credere. Salvatore non si è tolto la vita. Salvatore è stato ucciso lentamente, ogni giorno, da un sistema che fa della sedazione l’unica forma di cura. Era sottoposto a dosi massicce di psicofarmaci, come molti altri pazienti. In quella clinica, i farmaci girano come caramelle. A volte prescritti, troppo spesso lasciati alla libera autodeterminazione di persone in piena crisi psichiatrica. Una prassi scellerata, ma comoda. Perché sedare è più facile che ascoltare. Intontire è più comodo che curare. E in un luogo dove il disagio psichico è considerato solo una seccatura, l’obiettivo non è guarire, ma non avere rotture.
Così, quando Salvatore ha smesso di respirare, la verità sarebbe stata troppo pericolosa. Pericolosa per la clinica, che ha già alle spalle altri decessi per overdose. Pericolosa per i medici, per la dirigenza, per chi avrebbe dovuto vigilare. E allora, ecco l’alibi perfetto: un suicidio. Il lenzuolo al collo, il gesto estremo, la chiusura comoda. Nessuna indagine seria. Nessun approfondimento. Solo silenzio.
E la Procura? La Procura continua a voltarsi dall’altra parte, come ha sempre fatto. Lascia che tutto resti lì, impigliato tra le scartoffie e la nebbia dell’indifferenza istituzionale. Ma qui non si tratta di un “caso sfortunato”: qui c’è un sistema che uccide, copre e ricomincia. E finché questo sistema resterà impunito, nessun Salvatore sarà mai al sicuro. Perché in certi luoghi, la cura è solo una messinscena. E la morte, troppo spesso, è l’unica a dire la verità.








