Cosenza. Michele Padovano, Denis Bergamini e gli irripetibili anni Ottanta nel docufilm di Sky Sport

Michele Padovano, Cosenza e gli irripetibili anni Ottanta. “Innocente”, il docufilm di Sky Sport dedicato all’odissea dell’ex attaccante coinvolto in una clamorosa vicenda di malagiustizia, ha riservato una particolare attenzione al suo percorso cosentino dal 1986 al 1990 e ci ha reso orgogliosi dei migliori anni della nostra vita e della nostra passione rossoblù. Michele Padovano ha trascorso 17 anni da incubo e finalmente è uscito da quella brutta storia senza nessuna macchia e completamente riabilitato ed era giusto che anche i media più importanti gli restituissero almeno un po’ di quello che gli è stato ingiustamente sottratto in tutti questi anni.

Nel docufilm c’è tutta l’essenza del nostro Michele Padovano, icona e simbolo di quel gruppo meraviglioso che ci ha liberato da un “sogno” durato 24 anni e nello stesso tempo ci ha portato ad un passo dalla Serie A, l’altro “sogno” dal quale purtroppo non ci siamo liberati nonostante lo abbiamo sfiorato ancora per altre tre volte negli anni Novanta e nel 2001.

Federico Ferri e Silvia Vallini, che hanno diretto la produzione, hanno tirato fuori un piccolo capolavoro, che col tempo inevitabilmente acquisterà ancora più valore. Michele è tornato idealmente in quella cella del carcere di Bergamo dove ha trascorso tre mesi di detenzione dopo i primi dieci giorni in regime di isolamento a Cuneo ed è da lì che inizia il suo racconto. Perché si trovava in carcere il 9 luglio del 2006 quando la Nazionale italiana del suo allenatore Marcello Lippi e dei suoi compagni di squadra Ciro Ferrara e Alessandro Del Piero si laureava Campione del mondo. Un ricordo agrodolce perché, all’epoca, nessuno aveva pensato di mandare neanche un telegramma a Michele: un rimprovero in punta di piedi perché oggi nel docufilm appaiono a lungo sia Ciro Ferrara sia Alex Del Piero, con i quali ha condiviso tante avventure nelle quali era entrato, oggi come allora, sempre in punta di piedi.

Insieme a lui raccontano questi lunghi 17 anni soprattutto Adriana Atzei, sua moglie, e Denis, suo figlio, che ci accompagnano passo passo nelle fasi che hanno contraddistinto l’ascesa, il crollo, il calvario ma soprattutto la rinascita del nostro Padovano, il nostro Campione. Unitamente ai preziosi avvocati che lo hanno seguito in tutta l’odissea.

Michele e Adriana ci spiegano come questa storia kafkiana nasce da un’amicizia sincera con Luca Mosole ovvero il faccendiere che li ha messi nei guai per una storia assurda di intercettazioni clamorosamente travisate. I cavalli di Mosole che diventano panetti di droga, le locazioni immobiliari e i documenti che diventano improbabili pilastri di un teorema senza né capo e né coda ma che tuttavia ha raggiunto l’obiettivo: quello di affossare Michele Padovano. Vittima sacrificale ad appena qualche mese dal gran casino di Calciopoli, che aveva coinvolto proprio la squadra con la quale aveva raggiunto l’apice della sua carriera: la Juventus, la Vecchia Signora, che nel 2006, travolta dallo scandalo, era stata spedita in Serie B. E nel racconto successivo emergerà anche la figura controversa di Luciano Moggi, che ha portato Michele alla Juve e con lui ha vissuto la storia più bella: la Champions League del 1996. Ma prima c’è altro da raccontare.

Quando sullo schermo appare la scritta “1986” capiamo subito che sta arrivando Cosenza. Michele ripercorre la sua carriera e la prima tappa importante è Cosenza. Serie C del Sud. Adriana ricorda che all’inizio per loro, torinesi, solo pronunciare la parola “Cosenza” significava lontananza: “In macchina quando abbiamo appreso che Michele sarebbe passato al Cosenza piangevamo insieme: è stata la prima volta che l’ho visto piangere”.

“Sono arrivato il venerdì (era il 14 novembre 1986, ndr) – attacca Michele – e ho esordito due giorni dopo nell’attesissimo derby contro il Catanzaro. C’erano trentamila persone allo stadio, non avevo mai visto niente di simile, arrivavo da Asti dove a guardare le partite gli spettatori si contavano…”. E quella partita ce la ricordiamo anche noi, purtroppo amaramente, perché il Cosenza perse 1-3 in virtù della doppietta di Palanca, per giunta entrato dalla panchina. Padovano aveva preso il posto di un talento cosentino, Walter Mirabelli, del quartiere di via Popilia, che aveva segnato di testa il gol del temporaneo pareggio, ma prima della mezzora in uno scontro aereo non aveva avuto paura di metterci la faccia prendendosi un gran calcione in pieno viso e riportando la frattura del setto nasale.

Cambia la scena e appare sul video Oloferne Carpino, storico giornalista della Rai calabrese, che chiede a Padovano di raccontargli quella memorabile doppietta in tre minuti al San Vito contro il Campobasso a maggio del 1988, che in pratica aveva dato la certezza della promozione in Serie B del Cosenza di Gianni Di Marzio. “Calcio d’angolo di Bergamini, Lucchetti spizza dietro e per me è stato facile segnare”. Anche allora c’erano 30 mila persone al San Vito. Ma Michele Padovano il gol più importante lo aveva segnato qualche settimana prima – il 17 aprile – al vecchio “Vestuti” di Salerno, quando il Cosenza aveva espugnato per la prima volta nella sua storia il fortino granata nonostante calci, pugni e sassaiola al pullman prima della partita. Il docufilm “pesca” alla grande quel gol indimenticabile: sul lungo rinvio del prode Giovanelli, la palla arriva a Padovano che si trova davanti il portiere Renzi, che esce con la gamba alzata per intimorirlo. Ma Michele non ha paura, si butta, tocca la palla e lo batte e poco male se si prende una tacchettata sul quadricipite: ci vuole ben altro per metterlo al tappeto. E da quel giorno a Cosenza inizia una festa che si protrarrà ininterrottamente fino a metà giugno. Che bei tempi!

Appaiono volti familiari. Michele e Ciccio Marino, il suo compagno e amico numero 1 a Cosenza: un bellissimo legame che non poteva non essere ricordato, anche se non c’è la voce di Ciccio. C’è invece quella di un altro “Ciccio”, che in realtà si chiama Gianluca e fa Presicci di cognome ma che ormai tutti chiamano così perché Michele l’ha ribattezzato ed è il suo migliore amico del Nord (suo compagno di appartamento per tre anni prima di “Berga”): anche questo è un legame splendido. E non poteva mancare Gigi Simoni, il portiere con il quale ha condiviso oltre agli anni di Cosenza anche quello di Pisa. Tocca a lui descrivere le sue grandi qualità tecniche e atletiche: Michele Padovano era un attaccante “esplosivo”: scatto bruciante, progressione irresistibile e sinistro mortifero. “Quando partiva… non lo fermava nessuno” sintetizza Gigi. La spina dorsale di quella squadra era formata proprio da quei ragazzi del Nord scoperti da Roberto Ranzani: Simoni, Presicci ma anche Claudio Lombardo, Sergio Galeazzi, Maurizio Lucchetti e naturalmente Denis Bergamini.

E qui il docufilm di Sky Sport si sofferma con il dovuto risalto perché l’omicidio di Denis Bergamini ha inevitabilmente segnato la storia di Michele: un dolore immenso che si tocca ancora con mano. E un ricordo indelebile portato avanti dal figlio, che si chiama Denis come lui. Adriana ne tratteggia il ritratto con grande tenerezza: “Era l’amico di tutti, era solare. Pensa che quando chiamavo al telefono e Michele non c’era, parlavo per delle ore con lui, ci raccontavamo tante cose, sono stata orgogliosa di aver dato a mio figlio il suo nome”.

Poi sul video scorrono le immagini e le voci di quel delitto. Santi Trimboli, altro storico giornalista Rai, ricorda che Denis prima dell’agguato aveva chiesto al brigadiere Barbuscio di poter essere identificato avendo intuito quello che stava per accadergli. Michele racconta ancora una volta quella maledetta telefonata che lo aveva turbato al Motel Agip prima di andare al cinema dove lo aspettavano gli assassini compresa Isabella Internò, oggi condannata a 16 anni per quella che è solo una parte della verità.

Padovano non ha dimenticato che la famiglia degli assassini insieme allo scadente avvocato scelto dalla massoneria deviata ha cercato di tirarlo dentro a questa storia, asserendo che avrebbe portato Bergamini sulla “cattiva strada”. Accuse assurde ma veicolate anche dai media nazionali, per giunta quando era in carcere a Bergamo, quasi come se fosse complice dell’omicidio. “Ho sofferto molto per questa storia” sintetizza Michele, che era presente il 1° ottobre nel Tribunale di Cosenza quando la presidente della Corte d’Assise Paola Lucente ha letto il dispositivo della sentenza che condanna Isabella Internò a 16 anni di reclusione per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis Bergamini. E così passano in rapida successione il volto di Donata Bergamini, l’abbraccio con Michele e le parole dell’avvocato Fabio Anselmo, il legale ferrarese che ha vinto un processo quasi impossibile e che chiude il cerchio con la frase pronunciata nella sua arringa finale: “Quando parlate di Padovano, sciacquatevi la bocca”. E’ l’ideale chiusura del percorso cosentino di Michele Padovano ma ci sono ancora tante altre storie che meritano di essere raccontate e che racconteremo presto. Napoli, Ciro Ferrara, Pino Daniele e soprattutto la Juve, Luca Vialli e la Champions League.