Cosenza non è Bari nè Torino: da noi il voto di scambio non è reato

A Bari e Torino il voto di scambio è un reato. Ad evidenziarlo due inchieste condotte dalla procura di Bari e dalla procura di Torino. L’indagine di Bari è stata avviata dopo il ritrovamento, il 6 ottobre del 2021 in un cassonetto per l’immondizia, di frammenti di fotocopie di documenti d’identità e codici fiscali di cittadini residenti nei comuni di Triggiano e Grumo Appula (Città Metropolitana di Bari), e un consistente numero di fac-simile di schede e volantini di propaganda elettorale. Materiale che per gli investigatori ha assunto, da subito, la prova provata dell’avvenuta corruzione elettorale: i carabinieri si sono praticamente ritrovati in mano la lista dei voti comprati. Infatti secondo le accuse, il sistema messo in atto dagli arrestati nell’operazione “Codice Interno” avrebbe consentito, in occasione delle amministrative del 2020 a Grumo, e di quelle di Triggiano nel 2021, di condizionare le preferenze in cambio di 50 euro per voto. A finire in manette il sindaco di Triggiano Antonio Donatelli e Alessandro Cataldo, marito dell’assessora regionale ai Trasporti Anita Maurodinoia e referente del movimento politico “Sud al centro”, che risulta tra gli indagati. Tutti appartenenti al Partito Democratico.

E non finisce qui a Bari: il ministro Piantedosi ha inviato la commissione d’accesso al comune di Bari dopo la maxi operazione (26/2/2024) che ha portato all’arresto di oltre 130 persone accusate di associazione mafiosa, voto di scambio e di aver favorito le attività dei gruppi criminali. I commissari inviati dal Viminale dovranno inoltre chiarire se nella Amtab (l’azienda di trasporti partecipata al 100% dal Comune), si sono verificate infiltrazioni mafiose, così come sostengono gli investigatori.

A Torino, invece, la procura ha attenzionato le elezioni comunali del 2021. Al centro dell’inchiesta c’è l’85enne Salvatore Gallo, vicino al Pd con la corrente dell’associazione IdeaTo, da lui fondata nel 2008. Gli inquirenti sostengono che Gallo – con la complicità di Roberto Fantini, ex dirigente della Sitalfa (una società controllata dalla Sitaf di Gallo che gestisce l’autostrada Torino-Bardonecchia), nominato nel 2022 dal Consiglio regionale su proposta del Pd come membro di Orecol, un organismo che serve anche a valutare la trasparenza e la legalità degli appalti regionali -, abbia aiutato le aziende appartenenti a esponenti della ‘ndrangheta ad ottenere appalti per le autostrade. Appalti in cambio di denaro e voti.

E se a Bari e Torino il voto di scambio è un reato che viene perseguito quando si scopre, alle nostre latitudini il voto di scambio politico/mafioso oltre che una prassi è considerato un innocente “peccato veniale” che non merita punizione. A Cosenza il voto di scambio nessuno lo considera un reato, ma piuttosto una “ trasgressione sociale”, consolidata nel tempo e giustificata dalla necessità, e per questo immune dal giudizio sociale e giudiziario. Non c’è niente di disonesto nell’acquistare voti a Cosenza, anzi questa prassi che caratterizza ogni tornata elettorale, va considerata come un nobile gesto da parte dei politici verso i tanti elettori bisognosi. Elargire 50 euro, in tempo di elezioni, a chi non ce la fa ad arrivare a fine mese, è un atto di generosità che andrebbe premiato e non punito. È così che la pensano i magistrati a queste latitudini. Altrimenti come spiegare le tante evidenze investigative emerse nelle numerose inchieste che dimostrano, come sostengono molti pentiti di ‘ndrangheta, intercettazioni, e testimonianze dirette, l’avvenuto voto di scambio tra politici cosentini e i clan locali, finite sempre nel dimenticatoio? A differenza di Bari e Torino. Diciamo che a Cosenza il voto di scambio è un reato tollerato così come lo stato, per ragioni di tranquillità e economia sociale, tollerava la vendita di sigarette di contrabbando nei quartieri della Napoli di un tempo. Di fronte all’evidenza del voto di scambio che a Cosenza avviene alla luce del sole, e all’immobilità dei magistrati, non può esserci nessuna altra spiegazione se non questa.

Ma non è il solo reato che i magistrati cosentini e catanzaresi tollerano. Se al comune di Bari il Viminale ha inviato la commissione d’accesso per “fatti” che non coinvolgono minimamente l’attuale sindaco Decaro, a Cosenza i magistrati tollerano pure la presenza costante e pervasiva, dimostrata e riscontrata, di appartenenti a clan che gironzolano liberamente per le stanze del comune a caccia di affari. Guai però, nel caso di Cosenza, a parlare di invio della commissione di accesso: senza offesa per nessuno Cosenza non è Bari, e non è nemmeno Torino.