Cosenza, ponte di Calatrava: ciao Maurizio, guardali da lassù e fatti una risata

Il muro d’omertà è caduto dopo quattro mesi. Tanti ce ne sono voluti prima che la procura di Cosenza, meglio nota come porto delle nebbie e i carabinieri della Compagnia di via Popilia ammettessero che Raffaele Maurizio Tenuta, l’operaio di 53 anni morto dopo 120 giorni di terribile agonia, era stato vittima di un incidente sul lavoro nel cantiere nel quale si stava realizzando quella cagata pazzesca del ponte di Calatrava. Oggi è trascorso esattamente un anno dall’inaugurazione del ponte che collega il niente col nulla e il primo pensiero della giornata non può che andare a lui. 

Siamo stati tra i primi a dare la notizia della morte dell’operaio, che era ricoverato da aprile 2017 nel reparto di Rianimazione dell’ospedale dell’Annunziata in gravissime condizioni (http://www.iacchite.com/cosenza-incidente-sul-lavoro-operaio-muore-4-mesi-agonia/).

Ed era infatti il 7 aprile 2017 quando i carabinieri della Compagnia di Cosenza avevano annunciato ai media l’apertura di un’inchiesta sul caso di un incidente sul lavoro avvenuto in un cantiere di Cosenza. Si era saputo soltanto che l’azienda in questione trattava materiale edile e che l’operaio versava in gravi condizioni, tali da renderne necessario il ricovero nel reparto di Rianimazione dell’Annunziata.

Ad andare dai carabinieri per denunciare l’accaduto era stata la moglie di Raffaele “Maurizio” Tenuta ma la sua versione dei fatti non era stata del tutto convincente. La donna infatti aveva dichiarato che il marito era caduto accidentalmente da un albero ma era del tutto evidente che cercava solo di proteggere il congiunto. Poi, dopo qualche giorno, probabilmente dopo aver verificato che le condizioni del marito non miglioravano, la donna si è ripresentata dai carabinieri, affermando che Raffaele Tenuta era caduto da un mezzo pesante nel cantiere nel quale stava lavorando, quasi certamente in nero. 

Poi non c’era ancora la certezza rispetto al cantiere dove si era verificata la tragedia anche se era chiarissimo il cognome degli imprenditori ovvero la famiglia Chiappetta. E infine finalmente è uscito fuori che la morte di Maurizio Tenuta è avvenuta in quel maledetto cantiere del ponte di Calatrava ed è chiaro a tutti che per ben quattro mesi nessuno ha osato dire la verità. Fino alla morte dell’operaio. La procura-porto delle nebbie ha iscritto nel registro degli indagati, per il reato di omicidio colposo ed omissione di soccorso, Alberto Chiappetta, amministratore della Nuove Pavimentazioni srl, società alle cui dipendenze prestava attività il lavoratore deceduto, l’imprenditore Antonio Chiappetta, e due dipendenti della stessa azienda, Roberto Spadafora e Giuseppe Covello.Di quella inchiesta, come da scontato copione, non si è saputo più nulla. Esattamente un anno fa, nel giorno dell’inaugurazione di questo ecomostro utile solo alla speculazione edilizia, Maurizio ha guardato da lassù tutti questi truffatori e delinquenti e il loro stuolo di lecchini e cortigiani e lo ha fatto con un sorriso amaro disegnato sulla bocca…

Che si è trasformato in una risata gigantesca quando il suo sguardo ha incrociato il muso da vecchia del cazzaro, la sagoma da pagliaccio della Catizone e quell’altra – molto simile – della signora Santelli, che non conosce l’Isis e nega l’esistenza della povertà ma soprattutto quando ha inquadrato il ghigno di quell’altro lecchino che ha comprato le corde per il suo circo, che non merita neanche di essere chiamato per nome. Ma anche quando ha individuato tra la folla quei buffoni che festeggiavano incuranti della sua morte e indossavano la stessa camicia bianca quando guardavano l’antenna del ponte: il cazzaro, il “padrone” di Catanzaro, il quaquaraquà di Rende e un’altra faccia di culo accodata a questi tre buffoni. 

Oggi, nel giorno del primo anniversario dell’inaugurazione, il pensiero non poteva non volare a Maurizio, sacrificato per questa opera utile solo ai papponi e ai parassiti sociali di Cosenza. Siamo umani non cazzari.