Cosenza, porto delle nebbie. Claudia Pingitore, un giudice al servizio di Occhiuto

Come la pensiamo sulla retorica espressione “le sentenze non si commentano”, lo abbiamo spiegato tante volte: le sentenze noi le commentiamo, perché a scriverle non sono entità divine infallibili, ma esseri terreni con la toga, portatori, al pari di tutti gli esseri viventi su questo pianeta, di tutte le fragilità umane di cui il buon Dio ci ha fatto “dono”. Commentare quello che scrive un giudice non è un esercizio “sovversivo” come vorrebbe l’ipocrita retorica istituzionale, funzionale solo a coprire l’ennesimo privilegio della casta più potente d’Italia, piuttosto un sano esercizio democratico. Come dire: il giudice ha sempre ragione, anche quando per tutto il resto del mondo, ha palesemente torto. E di sentenze taroccate, infami, ingiuste, comprate, arbitrarie, illegittime, discutibili, la storia del Tribunale di Cosenza, meglio conosciuto come il porto delle nebbie, è piena. Il giudice, per chissà quale “scienza”, è persona al di sopra di ogni sospetto a prescindere, e il suo operato, al pari di quello di Dio, insindacabile.

Ovviamente commentare una sentenza non vuol neanche dire mettere in dubbio le qualità umane e l’etica professionale del giudice “estensore”. L’onestà è dote diffusa tra i magistrati, su questo non ci piove, ma la percentuale di infami, massomafiosi e corrotti è abbastanza rilevante, e il dubbio, davanti a sentenze “ambigue”, diventa legittimo, senza però generalizzare: tanti sono i magistrati nel Tribunale di Cosenza dotati di spessore professionale, empatia sociale, e di un alto senso civico che svolgono il loro lavoro con dedizione, fedeltà allo stato e alla Costituzione, anche se il loro silenzio rispetto  “all’andazzo” in Tribunale, che ben conoscono, qualche perplessità la suscita, e si può anche capire il perché. Mettersi contro certi potenti personaggi, significa chiudersi ogni possibilità di carriera. Il rispetto della gerarchia massonica (camuffata dalle correnti) all’interno della casta dei magistrati, è una regola che nessuno può infrangere. L’unica cosa che possono fare i magistrati onesti è tenersi alla larga dal “sistema”, ma non possono certo dar loro battaglia, più che omertà, in questo specifico caso, si può parlare di vera e propria paura. Perché un magistrato corrotto e sodale di una paranza massomafiosa è più pericoloso di 1000 feroci ‘ndranghetisti. Può distruggere la vita anche ad un altro magistrato, figuriamoci ad un “normale” cittadino.

In questa situazione può capire anche agli onesti di sbagliare in buona fede, proprio perché i giudici sono umani come noi, ed è per questo che una sentenza, che a rigor di logica-giuridica appare “sbagliata”, non va necessariamente letta come il risultato di un accordo sottobanco: non sempre le “conclusioni” del sillogismo giudiziale, sono in “sintonia” con la premessa maggiore e quella minore. È il libero “convincimento del giudice” bellezza! Anche se, e questo va detto, quando un giudice “sbaglia”, non si tiene conto del “danno” prodotto. Tutta passa in cavalleria. A loro tutto è perdonato, anche quando rovinano la vita a qualcuno. Ma resta il fatto che una sentenza non condivisa, se spiegata con sincera logica, è più facile da accettare, magari a denti stretti, senza dover ricorrere al vecchio ma sempre arzillo adagio: qui corruzione ci cova. Sbagliare (in buona fede) è umano (e i giudici, ripetiamolo, sono umani), è la perseveranza dei corrotti che ci fa paura e ci fa dubitare ogni qualvolta ci troviamo di fronte a sentenze assolutorie di colletti bianchi, la cui attività criminale è sotto gli occhi di tutti, che spesso e volentieri cozzano con la logica – giuridica, oltre ad essere palesemente incoerenti. Ed è il caso delle sentenze emesse in queste ultime settimane nei confronti dell’ex sindaco Mario Occhiuto.

E per meglio capire facciamo un esempio pratico (potremmo farne decine e decine di questi esempi) di come funziona la Giustizia a Cosenza: prendi un giudice proveniente da una importantissima famiglia massone che risponde solo agli amici degli amici, tipo Claudia Pingitore (oppure Branda), e mettila a presiedere una “corte”: l’assoluzione, per Occhiuto, è garantita, sempre e comunque.

Vediamo come. Occhiuto lanciò accuse gravi – tempo fa, attraverso un post sulla sua pagina FB in occasione della presentazione della candidatura a presidente della Provincia di Cosenza – nei riguardi di Pino Gentile, in particolare, scrisse: “Opponetevi alle pressione mafiose (di compà Pinuzzu), e rifiutate i voti della mafia e di Gentile”. Frase che compà Pinuzzu ritenne lesiva del suo onore, denunciando Occhiuto.

Inizia il processo: a giudicare Occhiuto, Claudia Pingitore. Il pm manco a dirlo chiede l’assoluzione di Occhiuto e la Pingitore assolve il sindaco con questa motivazione: “scrivere mafioso su FB non è reato”, l’accostamento mafia Gentile non è diffamatorio, perciò il fatto non sussiste. Bene.

Stesso giudice, Claudia Pingitore, altra situazione: Occhiuto parte lesa (ma poteva essere, Manna, Potestio, che tanto per la Pingitore è lo stesso) Iacchite’ imputato. La frase incriminata: “il sindaco più intrallazzino del mondo” o nel caso dell’avvocato Manna: “l’avvocato è un esperto di fughe di notizie e di mazzette”. Il pm chiede l’assoluzione per Iacchite’ non ravvisando nessun estremo di reato, ma per la Pingitore il reato c’è e va punito: 2 mesi di reclusione.

Ad ognuno le proprie conclusioni, indipendentemente dalla simpatia o antipatia per Iacchite’. Qui stiamo parlando se Legge a Cosenza è uguale per tutti, e a veder questo significativo esempio, pare proprio di no. Quello che vale per Occhiuto, non vale per gli altri. La Giustizia della Pingitore è solo al servizio dei fratelli di loggia, e per la sua stretta cerchia sociale. Ed è a questi miseri magistrati che noi rivolgiamo le nostre “feroci critiche”, non certo a tutti i magistrati. Magistrati che hanno trasformato le aule di Giustizia in un “mercato delle vacche”, dove le sentenze si comprano tanto al chilo, che agiscono alla luce del sole nella totale impunità. Aveva ragione Giulio Andreotti a porsi la domanda: ma perché la stupenda frase «la giustizia è uguale per tutti» è scritta alle spalle e non davanti ai magistrati? La risposta è semplice: se ce l’hai avanti la devi per forza leggere, e te ne devi ricordare, ma se è alle tue spalle, puoi anche far finta, come fa la Pingitore, di non averla letta, e fare un po’ come ti pare.