Cosenza ripiomba nel buio culturale degli anni Ottanta

Diciamolo: quello che stiamo vivendo è il punto più basso, culturalmente parlando, che la città di Cosenza abbia mai toccato. Negli ultimi vent’anni Cosenza ha subito una spaventosa regressione culturale che ha trasformato quella che fu l’Atene della Calabria in una sorta di villaggio tribale dove regna la villania e l’oscurantismo. Un lento e inesorabile declino culturale che inizia con il vuoto cosmico creato dalla giunta Perugini, seguito dalle vacue e effimere politiche culturali occhiutiane, e che prosegue ancora oggi con la monopolizzazione familistica di ogni attività culturale da parte di Nicola Adamo. Un ventennio fatto di lustrini e paillettes, dietro i quali nascondere clientelismo e corruzione, che ha catapultato Cosenza indietro nel tempo, cancellando dall’immaginario collettivo molti dei radicati riferimenti culturali e valoriali un tempo punti fermi per la formazione intellettuale e sociale dei cosentini. Cosenza non ha più punti di riferimento culturali e politici a cui guardare, né stelle comete da seguire per trovare la giusta via, e i cosentini navigano a vista. E nel mare magnum dell’ignoranza è facile perdersi.

Cosenza sembra essere ripiombata indietro di oltre 40 anni. E precisamente nei favolosi, per alcuni, meno favolosi per altri, anni 80, quando, in città, i riferimenti culturali erano sostanzialmente sintetizzati in due parole: malavita e palluni. Erano gli anni in cui impazzava la più feroce guerra di ‘ndrangheta che Cosenza abbia mai vissuto. Decine e decine di morti ammazzati, sparatorie giornaliere e coprifuoco, e la domenica tutti allo stadio a tifare per i Lupi, perchè a quel tempo: a duminica era ddu palluni. Ed è in questo contesto sociale che si stagliava la figura del malavitoso, l’unico modello culturale da seguire in quegli anni. Cinque gli elementi caratterizzanti del malandrino di quell’epoca: baiaffa, capizza, machinuni, o moto di grossa cilindrata, sciampagna e discoteca privè. Una figura accattivante che, nel vuoto culturale di quegli anni, catturava l’immaginario di tutta la gioventù, quella ricca e quella povera, fiera di imitarne modi e atteggiamenti, e a vantare appartenenza a questo o quel malavitoso.

Per quanto ancora oggi lo stile di vita del malavitoso non sembri essere cambiato, sempre spadaccino, tuttu atteggiu e spridu, quella che sembrava essere stata relegata ai margini della società, ovvero la subcultura malandrina, oggi ritorna prepotentemente a dominare la scena culturale cosentina. Ogni settore della vita sociale cittadina è ritornato a nutrirsi di quella subcultura mafiosa fatta di attinenza formale a codici e regole che farneticano di onore e rispetto. E questo grazie anche alla lunga storia del “porto delle nebbie”, leggi procura e tribunale di Cosenza, che ha sempre garantito impunità a potenti, mafiosi, corrotti e collusi, instillando nella testa della gente che il crimine paga, e che non conviene essere onesti quando in città vige la legge del più forte. Non essendoci più autorevoli riferimenti culturali da seguire, il malandrino ritorna ad essere l’unico modello a cui ispirarsi. E oggi, a differenza degli anni ottanti quando i malandrini sparavano, ci si può sentir tali consumando chilate di cocaina, senza la necessità di sfoderare pistole e coltelli.

Infatti, oggi, l’uso, o meglio l’abuso di pezzata, di bianca, di bamba, di neve, in città, rappresenta un passaggio obbligato per tutti coloro i quali, e sono tantissimi, vogliono rappresentarsi agli occhi degli altri come un vero malandrino. Se non pippi non sei nessuno, e non ti puoi atteggiare a spadaccino, che è il principale modello culturale a cui si ispirano i giovani cosentini di oggi. Bisogna pomparsi di anfetamine per entrare nel ruolo di malandrino, e provare l’euforica sensazione di sentirsi capaci di tutto, pronto allo scontro con chiunque. E per calarsi nei panni del navigato malandrino, anche quando si ha solo 20 anni, con chissà quante “storie” alle spalle, bisogna consumare tanta pezzata. E pù si pippa, e più si viene apprezzati dal resto del branco. Tanto chi pippa, così come accadeva negli anni ottanta, non è considerato un tossico. I tossici sono solo gli eroinomani. Non certo chi “ha le palle di pippare”.  E se negli anni Ottanta pippavano solo i figli di papà e i malandrini, oggi, la cocaina, è alla portati di tutti, ricchi e poveri. È questo il modello culturale più diffuso oggi a Cosenza. Che può essere sintetizzare così: “a Cusenza tutti Pietro Savastano (Gomorra) finu a quannu un cala a botta…”. Una trappola mortale per chi ci casca.