Se è vero, come è vero, che la “prova” della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato si forma in aula nel contraddittorio tra le parti al cospetto di un giudice terzo, nella vicenda della retromarcia di Roberto Porcaro, da profani, ci chiediamo: se ha deciso di non collaborare più con la giustizia, i tanti verbali da lui sottoscritti che fine faranno? Se Roberto Porcaro non ripete le accuse verbalizzate negli interrogatori con i pm della Dda di Catanzaro davanti a un giudice, la prova della colpevolezza degli imputati, per quel che riguarda le sue chiamate in correità, può dirsi formata? Se c’è o non c’è in aula, se collabora o no, quel che ha detto ha detto, e vale, oppure no? Di sicuro la questione sarà oggetto di approfondite discussioni giuridiche, roba da azzeccagarbugli, e c’è da scommetterci che gli avvocati della difesa stanno già lavorando sul come rendere nulli i verbali di Porcaro, qualora decidesse in maniera definitiva di non collaborare più con la Giustizia.
Certo è che Porcaro, a differenza di Turboli che ha dichiarato in aula di essersi inventato tutto, rendendo i suoi verbali nulli all’istante, una porticina se l’è lasciata aperta. Ha solo manifestato la sua volontà di non collaborare più. Ma non ha specificato se per sempre, o solo momentaneamente. Non ha rinnegato quello che ha dichiarato, e non ha ancora nominato il suo nuovo avvocato di fiducia. Il che lascia presupporre che è in attesa di una qualche risposta. Che deve arrivare dai magistrati della Dda che lo hanno in “custodia”. E se l’esito dovesse essere negativo per Porcaro si aprirebbe un interrogativo grande quanto l’universo: ufficializzare la sua definitiva volontà di non collaborare più con la Giustizia, alla prossima udienza, come ripicca per non essere stato accontentato, oppure ritornare sui suoi passi, accettare la definitiva sconfitta, e rimettersi nelle mani dei magistrati.
Pentirsi o pentirsi questo è il dilemma, per Roberto Porcaro. Nel primo caso la ripicca gli costerebbe la perdita di tutti i benefici previsti per i collaboratori di giustizia. Dovrà scontare la sua pena in totale isolamento da tutto il resto della popolazione carceraria. Nel migliore dei casi dovrà scontare 30 anni in qualche sezione per pentiti e ex pentiti, con la perdita definitiva di tutti i privilegi carcerari a cui era abituato. Sarà sempre sottoposto al regime del “divieto d’incontro”. E i suoi contatti saranno limitati solo “agli addetti ai lavori”. Insomma una specie di 41 bis per pentiti che si sono pentiti di essersi pentiti. Una scelta che necessita di una motivazione forte. Anzi fortissima. Che potrebbe scaturire anche da un presupposto diverso da quello di aver fatto una richiesta estrema non accolta dai magistrati. Magari ha ricevuto minacce, consigli, e proposte a cui non può dire di no. Anche a costo di passare il resto della vita in isolamento con il marchio di pentito.
Ne secondo caso, tutto sarebbe più facile per Porcaro. Gli basta solo accettare il fatto che non è più lui a decidere quello che si deve fare. Deve abituarsi all’idea che non è più un boss, e non potrà mai più ritornare ad esserlo. La sua credibilità come uomo d’onore, se mai l’ha avuta, vale meno di zero. E non tanto per i picciotti cosentini che non riconoscono il pentimento come infamia, ma i per pesanti contatti che Porcaro aveva stabilito con agguerriti e storici clan di ‘ndrangheta del reggino. Porcaro è un ragazzo intelligente e non può certo aver pensato di fare marcia indietro per essere di nuovo ammesso nei ranghi del crimine con i gradi di generale, sta trattando qualcosa, e si sta giocando le sue carte. Ma sa che se la partita non dovesse vincerla, dovrà trovare un modo per trattare di nuovo con i magistrati. Di finire in isolamento per 30 anni non è certo lo scopo di questa sua “strategia”. Accettare, eventualmente, le condizione imposte dai magistrati, è l’unica via percorribile per Porcaro. Ma lui spera nel peso delle sue dichiarazioni che potrebbero costringere i magistrati ad accettare una “mediazione”, ed è su questo che punta. Come finirà lo sapremo presto. Il 29 settembre sarà di nuovo chiamato a testimoniare in aula, e quel giorno Porcaro dovrà dire chiaramente da che parte sta.