Cosenza, rogo a corso Telesio: anche gli incendiari possono dormire sonni tranquilli

Che l’impegno della procura di Cosenza è tutto rivolto ad “acchiappare” qualche pusher, chi dissente e chi fuma qualche spinello, lo abbiamo capito tutti. Pur’i petri i mianzu a via. Ma pensavo che di fronte ad una barbarie come quella di bruciare vive tre persone e un cagnolino potesse esserci un sussulto di dignità da parte del procuratore capo Spagnuolo e del suo braccio destro, il sostituto Manzini. Un crimine senza precedenti a Cosenza.

Passi l’impunità per i corrotti contro i quali non hanno mai mosso un dito, se non per mera apparenza, necessaria per dare l’idea alla gente che in procura la Legge è uguale per tutti. Ma possono dormire sonni tranquilli. Passi il prosciutto sugli occhi per non vedere che siamo “governati da una cupola massonica/mafiosa”. Una organizzazione criminale – composta per lo più da ‘ndranghetisti che “lavorano” nelle istituzioni – che esiste in ogni angolo, anche quello più remoto, della Calabria e non solo, tranne che a Cosenza. Per la procura di Cosenza la ‘ndrangheta in città non esiste. Intesa come quella “dei colletti bianchi”. Anche perché quelli con la coppola e la lupara non ci sono più. Passi tutto, anche questo, ma non questa orribile strage.

Le indagini condotte dal pm Greco con la supervisione dell’aggiunto Manzini sin dall’inizio sembravano avessero imboccato la pista giusta, ma ora pare si siano arenate. O quantomeno hanno subito un forte rallentamento. Va da se che la fase tecnica delle indagini necessita dei suoi tempi, ma che questo non sia una scusa, come spesso accade in procura, per costruire una soluzione a tavolino che salvi “capre e cavoli (loro)”, o per paura di incorrere in qualche intoccabile.

E’ chiaro che stabilire da dove sono partite le fiamme e che tipo di “innesco” è stato usato, è fondamentale. Anche se tutti i testimoni sentiti dalla procura convergono su questo punto: le fiamme sono partite dal portone d’ingresso. Stessa cosa dicono i vigili del fuoco, stessa cosa indicano i cani molecolari che hanno rinvenuto tracce di liquido infiammabile, negli stessi punti indicati dalla perizia dei vigili del fuoco. Ora si tratta di capire che tipo di accelerante è stato usato: benzina, alcool, gasolio o altro. Il dato è certo: qualcuno ha appiccato il fuoco volutamente, ora si tratta di stabilire chi e perché.

Qualunque sia il risultato di questo esame non modifica e non inficia la bontà dei racconti dei testimoni che dicono di aver visto i tre gridare aiuto dal balcone, segno evidente che le fiamme sono partite dall’ingresso. Fiamme che, stando sempre al racconto dei tanti testimoni, i tre non hanno potuto appiccare per alcuni semplici motivi. Se fossero stati loro ad appiccare il fuoco si sarebbero lasciati una via di fuga: matti sì, ma non fino al punto di bruciarsi vivi da soli. E poi c’è il dato che le fiamme si sviluppano a salire dal portone in maniera repentina, segno evidente che nell’arco di 15 minuti le fiamme sono diventate impenetrabili. Chi stava sopra non aveva nessuna possibilità di fuga, e potrebbe essersi accorto del fuoco anche 10/15 minuti dopo l’accensione. Quando oramai era troppo tardi per tentare una fuga.

Dunque gli orari tornano, eccome se tornano. Il fuoco è stato appiccato verosimilmente attorno alle 16,30 di quel venerdì 18 agosto, come riferiscono diversi testimoni. Che notano fumo e fiamme dai loro appartamenti senza capire bene l’origine del fuoco e cosa sta succedendo. Solo dopo le urla, la gente scende in strada.

In meno di 15 minuti le fiamme, aiutate dall’accelerante e dai cumuli di rifiuti ed abiti dismessi presenti nel luogo, si sarebbero propagate alte tanto da diventare un vero e proprio muro di fuoco. I tre, capita la gravità della situazione, siamo attorno (verosimilmente, stando alle testimonianze) alle 16,45, si affacciano dal balcone in cerca d’aiuto e qualcuno inizia a chiamare i soccorsi. Alcuni testimoni riferiscono di aver provato per diversi minuti a chiamare il 115 prima di avere un contatto che avviene alle 16,59. E in 20 minuti i vigili arrivano sul posto: sono le 17,19. Quando tutto era oramai compiuto. Dunque, in poco più di mezzora le fiamme divampano per tutta l’antica torre campanaria del Duomo, bruciando tutto ciò che contiene, comprese le povere vite dei tre malcapitati.

Se in meno di mezzora le fiamme bruciano tutto, è la conferma che il fuoco si è propagato ad una velocità impressionante. Perciò i tre non hanno avuto scampo. È bastato accorgersene pochi minuti dopo l’accensione del fuoco, per non avere più una via di fuga.

Qualcuno della procura si chiede: ma le 16,30 di pomeriggio non sono un orario desueto per commettere un reato? C’è il rischio che qualcuno possa vederti.

Per quanto legittima sia la domanda, altrettanto facile è la risposta. Innanzitutto era venerdì 18 agosto con una temperatura di 45 gradi. Chi conosce Cosenza sa che in giro a quell’ora ci sono solo i cursuni. E’ come se fossero le 4 di notte del 16 novembre. E poi potrebbe essere uno che bene conosce il quartiere e sa come muoversi. Una presenza che, anche se notata, non desta sospetto. Qualcuno che può essersi “confuso” con i tanti accorsi sulla scena della tragedia.

Individuare gli esecutori materiali di questa strage non sarà facile, anche se il quadro probatorio indica una pista, ma se questo è l’impegno – quello di trovare scuse come l’orario in cui è stato acceso il fuoco, che significa un po’ lasciarsi una porta aperta per poi poter dire sono stati loro ad accendere il fuoco –  anche gli incendiari assassini, così come i corrotti, i mafiosi, possono dormire sonni tranquilli.