Cosenza, saltate prima che sia troppo tardi (di Sergio Nucci)

di Sergio Nucci

Sulla bacheca di un amico mi sono imbattuto nel “principio della rana bollita” di Noam Chomsky, un filosofo linguista americano che offre, con questo suo teorema, una spiegazione alla condizione umana, assuefatta ormai alle frustrazioni, ai soprusi e alle ingiustizie di tutti i giorni.

Il principio, vale la pena di leggerlo, così recita: “Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone”.

Un ragionamento lucido, ineccepibile. Piano piano la rana si è assuefatta fino a diventare vittima di quello che non aveva riconosciuto come il male: il caldo.
Bene. Trasponiamo il ragionamento alla nostra società ed ai nostri tempi. Tutto quello che di negativo capita intorno a noi, perché non riconosciuto come negativo, progressivamente ci indebolisce e ci rende incapaci di una benché minima forma di ribellione. E questo perché all’inizio solo in pochi hanno la capacità di riconoscere il torto, il male, la prevaricazione, la violenza.
La riconosciamo solo dopo quando è troppo tardi e quando qualsiasi reazione sarebbe, se non inutile, tardiva.

Quante cose sono accadute intorno a noi senza impensierirci, quante cose sono state sottovalutate, quante cose abbiamo pensato potessero avere un rimedio. E a quante cose ci siamo assuefatti colpevoli il nostro egoismo e la nostra indolenza.
Ciò che emerge dal principio di Chomsky è proprio la mancanza di reazione in ciascuno di noi per tutto quello che accade. Perché ci viene sottoposto in piccole e continue dosi, tanto da renderci indifferenti alle cose più deprecabili e detestabili.

L’uomo è un animale di abitudine ma dovremmo capire che è l’abitudine ad ucciderci. Il non interrogarci, l’accettare supinamente, il mettersi comodi tanto la vita va così. E finisce allora che accettiamo che altri scelgano per noi i nostri rappresentanti, che altri decidano se dobbiamo avere o meno una ferrovia o un’autostrada degne di questo nome, che altri utilizzino la giustizia a seconda di chi colpisce o chi tutela, e che altri ancora dispongano della vita nostra e dei nostri cari.
E poi c’è chi rimane sognatore e spera che le cose possano cambiare e come i cani ulula alla luna.

A questi mi rivolgo. A quelli che pensano che del sito dell’ospedale al cittadino frega poco se poi i servizi al suo interno sono da terzo mondo. A coloro che pagano le tasse per vedere sgorgare l’acqua dai propri rubinetti. A quelli che rivendicano i propri diritti perché sanno che non sono favori. A quelli che non hanno una casa o un lavoro e pensano che i soldi per quella casa e quel lavoro qualcuno li utilizzerà rubando loro la speranza.
A quelli che continuano a chiedere per sapere, consci che nessuno risponderà mai loro.
A loro dico saltate prima che sia troppo tardi.