Cosenza, sparatoria al B-Side: l’incredibile storia di Andrea Molinari

Ha trascorso otto anni della sua vita in carcere, condannato dal Tribunale di Cosenza ed in modo particolare dal giudice Maria Antonietta Onorati per un reato che non ha mai commesso. La storia di Andrea Molinari in città la conoscono tutti, così come tutti sanno che non è stato lui a sparare quella maledetta notte del 28 ottobre 2006 al B-Side di Rende contro un buttafuori del locale, che è rimasto ferito gravemente.

Eppure Andrea Molinari è finito in galera, dopo poco più di due settimane dai fatti, ma non c’è stato verso di far cambiare idea in diversi anni a quel giudice che lo aveva marchiato per sempre, seguita a ruota però da altri tre giudici che non ne hanno voluto sapere. In un primo tempo in Appello e in Cassazione ma successivamente anche in sede di revisione del processo dopo che il teste-chiave aveva ritrattato le accuse contro Molinari.

La storia di Andrea Molinari è un altro concentrato incredibile di malagiustizia che si è materializzato con il solito muro di gomma che si frappone tra chi è innocente e il sistema giudiziario completamente corrotto e negligente. Una storia da far accapponare la pelle, che Iacchite’ ha deciso di raccontarvi. Per filo e per segno.

Proprio in questi giorni, a distanza di ben undici anni, gli avvocati Paolo Pisani e Giovanni Cadavero, difensori di Molinari, si sono visti respingere presso la Corte d’appello di Salerno la sacrosanta istanza di revisione del processo avverso la sentenza definitiva della Corte d’appello di Catanzaro per il tentato omicidio avvenuto al B-Side di Rende. Una sentenza di condanna a 10 anni di reclusione ormai già espiata per intero dal Molinari.

Ma ritorniamo a undici anni fa, precisamente alla notte del 28 ottobre 2006 nel locale B-Side di Rende. Si scatena una sparatoria nella quale vengono esplosi almeno cinque colpi di arma da fuoco con una pistola semiautomatica calibro 9×21 alcuni dei quali feriscono gravemente un buttafuori, che riesce miracolosamente a raggiungere l’ospedale di Cosenza in fin di vita e successivamente a salvarsi.

Da subito i carabinieri della Compagnia di Rende, giunti sul posto, aprono un’indagine che dopo 20 giorni dall’accaduto porta all’arresto dell’allora ventinovenne Andrea Molinari.

Le “prove” raccolte contro di lui sono quattro. La prima è un’intercettazione ambientale nell’ospedale di Cosenza tra il ferito e alcuni interlocutori. durante la quale “spunta” il nome di Andrea Molinari. La seconda è una telefonata anonima alla caserma dei carabinieri di Rende, nella quale l’interlocutore senza nome dice che a sparare è stato “il coreano”. La terza è una felpa sequestrata in un’auto in uso ad un amico di Molinari, sulla quale viene rinvenuta una sola particella di polvere da sparo dopo l’esame del Ris di Messina avvenuto a sei mesi dai fatti.

L’ultima, la più “schiacciante”, sarebbe il riconoscimento dell’indagato da parte di un testimone oculare di nome Corrado Pucci, dipendente del locale con mansioni di barman, che in un primo tempo riconosce Molinari su un book fotografico all’interno della caserma dei carabinieri di Rende. Poi, dopo un mese dall’arresto, lo riconosce durante il corso di un incidente probatorio sempre all’interno della caserma dei carabinieri di Rende. Conferma tutto: “Sì, è lui!”. E il gioco è fatto: poker servito, il “colpevole” è in carcere, il caso è risolto e vissero tutti felici e contenti… Compreso Molinari nelle vesti di feritore, mancato assassino, detenuto e scontato colpevole nonostante fin dall’inizio, prima nella caserma dei carabinieri e poi in tutti i tribunali dov’è stato processato e in tutti e tre i gradi di giudizio, la sua versione sia rimasta sempre uguale: sono innocente.

L’epilogo delle sentenze però racconta un’altra verità. In primo grado il Tribunale di Cosenza, davanti ad una richiesta di 12 anni di carcere, gliene infligge “solo” 13… Soprattutto per i vari “moventi” ipotizzati, in primis dalla procura, perché essendo ubriaco voleva per forza entrare nel locale. Di diverso avviso il Tribunale di Cosenza, che ipotizzava invece i futili motivi mentre poi nel dispositivo di sentenza l’ipotesi è addirittura di regolamento di conti in ambito paramafioso.

Il giudice Maria Antonietta Onorati gli ha dato 13 anni di carcere, roba che di solito avviene con gli omicidi. Un giudizio tanto inflessibile quanto completamente falso. Una sentenza vergognosa in perfetto stile porto delle nebbie dove si è forti con i deboli e deboli con i forti. E in questa storia non c’è dubbio che il debole sia Andrea Molinari.

Sentenza poi riformata dalla Corte d’appello di Catanzaro a “soli” 10 anni e 3 mesi di carcere perché sono venuti meno i futili motivi. E quindi, con motivazioni serie mai specificate e mai individuate in nessuna sentenza su come sarebbe maturata la sparatoria, si arriva alla sentenza definitiva confermata anche dalla Suprema Corte di Cassazione: caso chiuso, arrivederci e grazie. E quel ragazzo, che all’epoca dei fatti aveva meno di trent’anni, si è ritrovato senza sapere come trentottenne, con la prospettiva di passare ancora altri anni senza libertà tra domiciliari, obblighi di firma e sorveglianza speciale.
Una vita segnata per sempre da un fatto che non ha mai commesso e da una sentenza senza né capo né coda. Roba da impazzire.

Oggi, da uomo totalmente libero e dopo aver espiato per intero la sua “condanna”, Andrea Molinari ha deciso che finalmente è arrivato il momento di raccontare la sua storia e di dire anche la sua versione, visto che finora non ha mai potuto farlo. Ma questa, appunto, è un’altra storia.

1 – (continua)