Fine Vita, Dibattito a Mezza Voce: la Curia risponde, ma la città tace
Dopo l’approvazione della mozione Venneri, i medici cattolici di Crotone alzano la voce contro il suicidio assistito. Ma il confronto resta sbilanciato: mancano le altre metà del dolore, e della verità.
Fonte: U’Ruccularu
CROTONE – Il 29 maggio scorso, il Consiglio comunale di Crotone ha approvato una mozione proposta dalla consigliera Dalila Venneri, che impegna il sindaco a sollecitare la Regione Calabria per una legge sul fine vita.
Una mozione simbolica, certo, ma che ha acceso una miccia etica e politica capace di far detonare un dibattito a lungo rimosso.
O ALMENO COSÌ SI PENSAVA.
In realtà, il dibattito non è scoppiato affatto in aula consiliare. È esploso nei corridoi silenziosi della Curia.
A firmare il controcanto, i medici cattolici della sezione diocesana AMCI, che hanno diffuso un articolato documento di netta opposizione al suicidio assistito.
“Il dolore non si batte eliminando i pazienti”, recita il titolo ripreso dalla stampa locale.
E così, ancora una volta, la narrazione si piega su una sola direzione.
LA POSIZIONE CATTOLICA: CURARE SEMPRE, MORIRE MAI
Il documento, firmato dal Consiglio Direttivo dell’associazione medica cattolica, fa riferimento a principi consolidati della dottrina e della deontologia medica, richiamando il Giuramento di Ippocrate e gli articoli del Codice Fnomceo.
Il medico, secondo questa visione, è sempre e comunque al servizio della vita, anche quando non può guarire.
Nessuno spazio per il suicidio assistito, né per l’eutanasia. Né giuridico, né morale.
Le parole sono forti. Si parla di “deriva etica”, “ingiustizia morale”, “esecutori della morte”.
E si evoca un curioso parallelo: mentre in Toscana si approvava la prima regolamentazione del suicidio assistito in Italia, a Sanremo un cantautore commuoveva il pubblico con una canzone sulla cura di una madre demente. “Peccato che Sanremo non è in Toscana”, chiosa la bioeticista cattolica Chiara Mantovani, citata nel documento.
Ma che legame c’è tra una canzone, un Festival della Canzone e il diritto all’autodeterminazione terapeutica? Nessuno. O, meglio, solo retorico.
UN DIBATTITO A SENSO UNICO
Se è comprensibile e legittimo che la Chiesa locale prenda posizione secondo la sua visione, è più problematico che la stampa locale rilanci in blocco questa voce senza controbilanciamenti, trasformando un documento di parte in una cornice assoluta del dibattito.
La mozione della consigliera Venneri viene citata, ma non spiegata.
Non viene riportata nessuna dichiarazione della proponente anche se, mormora qualcuno, la consigliera ha presentato solo mozioni inutili e che farebbero perdere tempo in un consiglio comunale già sciatto e che non si occupa di Crotone. Si battono il petto in chiesa nelle processioni, ma parlano di suicidio assistito. Sarà felice il Vescovo Torriani quando deve sedersi vicino Voce alle cerimonie pubbliche.
Nessun confronto con chi, da posizioni laiche o bioetiche differenti, potrebbe sostenere che scegliere come e quando morire in condizioni di sofferenza estrema non è un atto contro la vita, ma un atto di amore verso sé stessi.
Nessuna voce di pazienti, familiari, medici favorevoli alla depenalizzazione o esperti in diritto costituzionale.
Nessun riferimento alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sul caso Cappato/Dj Fabo, né alla Legge 219/2017 sul consenso informato.
Nel silenzio dell’informazione pluralista, la città resta spettatrice passiva.
Una voce sola occupa lo spazio pubblico e istituzionale: quella della Curia.
Il rischio è quello di trasformare un tema civile e sanitario in un dogma religioso.
LA MOZIONE: ATTO SIMBOLICO O RICHIESTA REALE?
Nell’articolo originale si legge che la delibera non ha valore operativo. È vero.
Ma nel contesto di un vuoto legislativo nazionale, le mozioni comunali servono a creare pressione politica, stimolare il dibattito pubblico e offrire rappresentanza a chi, nella malattia, chiede dignità e libertà.
È un atto culturale e democratico, non solo “preparatorio”.
Che Crotone, città afflitta da emergenze sanitarie strutturali, si interroghi sulla morte dignitosa è un segnale di maturità.
Che la risposta arrivi solo da un documento ecclesiastico, e non da un confronto pubblico più ampio, è invece un segnale di arretratezza culturale.
IL NODO ETICO: PLURALISMO VS. ASSOLUTISMO
I medici cattolici affermano che in una società pluralista non si può far coincidere morale e diritto.
Eppure, il loro documento – come l’articolo che lo rilancia – trasforma una posizione etica in giudizio assoluto, rigettando qualsiasi tentativo di pluralismo normativo come una minaccia.
Ma chi tutela il diritto di chi non si riconosce nella morale cattolica?
Chi rappresenta il malato terminale che, lucidamente, chiede di non soffrire più?
Dove sono le parole di chi ha accompagnato un proprio caro fino alla fine tra atroci dolori, invocando invano cure palliative efficaci?
Il documento non lo dice. L’articolo nemmeno.
UNA CITTÀ, DUE DOLORI
Il vero problema non è che i medici cattolici si esprimano – fanno bene, è il loro diritto.
Il problema è che a Crotone sembra esserci spazio solo per quel tipo di dolore: quello che si redime nella sofferenza, che trova senso nella croce, che non contempla la libertà come conforto.
Eppure, anche l’altro dolore – quello muto, lucido, disperato – merita cittadinanza.
Anche la sofferenza che sceglie di fermarsi prima di consumare tutto merita ascolto, rispetto, presenza.
Un dibattito serio sul fine vita non può ridursi a una nota della Curia rilanciata come verità morale.
Deve essere pubblico, pluralista, civile.
Deve ascoltare tutte le voci.
Anche quelle che non commuovono a Sanremo.
In una città dove c’è chi ancora soffre in silenzio, è doloroso togliere la possibilità di scelta.
Chi è sano decide per chi soffre.
Chi crede decide per chi non crede.
Chi non muore decide per chi vuole morire con dignità.
Se questo è il dibattito cittadino, più che fine vita, è fine del pluralismo.